Ecco chi è Raffaele Cantone, la popstar della legalità

Da Expo al Campidoglio, il capo dell’Anac vigila su tutti i dossier più caldi. Corteggiato dalla politica, il pm antimafia è assoluto protagonista mediatico, tra elogi, critiche e invidie

«Se dovessi scegliere un nuovo giudice per X Factor prenderei Raffaele Cantone». Così parlò Mara Maionchi, intervistata nel salotto di Tv Talk. Per scherzo, ma non troppo. D’altronde le cronache lo segnalano ovunque, sempre in campo. Candidato dai media al Quirinale e al Campidoglio, ma anche a un paio di ministeri. Matteo Renzi lo ha portato a Washington per l’ultima cena ufficiale con Obama. Il magistrato anticamorra, attuale presidente dell’Autorità Anticorruzione, è una «popstar della legalità», per usare le parole di Susanna Turco sull’Espresso. A lui l’ex premier ha affidato, o scaricato, i dossier più caldi del suo percorso governativo. Dall’Expo al Giubileo. La sua Anac si occupa di ricostruzione post-terremoto e G7 di Taormina, passando per il Codice degli appalti, la metro C di Roma e le nomine Rai. Uomo per tutte le stagioni.
Profilo basso e sobrio, quello del pm antimafia. Cordiale e disponibile. Mette una buona parola su tutto, dalla sanità alla corruzione. Non senza tralasciare Mani Pulite e Consip. Controlla gli appalti, bacchetta la politica sul salvataggio del senatore Minzolini sulla mancata regolamentazione delle lobby, si esprime con ragionevolezza sulla legalizzazione della cannabis, parla di Milano «capitale morale» Ai convegni e nei salotti televisivi, il supermagistrato classe 1963 dialoga e consiglia. Misurato, non per questo reticente.

“Sono un secchione. Faccio il mio dovere con dignità e orgoglio: per me appartenere alla magistratura è un privilegio. Quando ero in Procura, se ci fossero stati i tornelli di cui tanto si parla oggi, mi sarei arricchito con gli straordinari”, raccontava nel 2008. Prima che arrivassero la chiamata di Renzi e gli onori romani. Entrato in magistratura nel 1981, ha lavorato alla Direzione Antimafia e alla Cassazione. Già sostituto procuratore del Tribunale di Napoli, ha combattuto i boss ed è stato costretto a muoversi con la scorta per le minacce ricevute dalla criminalità organizzata. Ha fatto parte di task force e commissioni speciali per il governo Monti e Letta. Insegnato all’Università e pubblicato su riviste scientifiche. Ha pure affiancato Stefano Accorsi dietro le quinte della fiction Il clan dei camorristi, per aiutarlo nell’interpretazione del ruolo di un magistrato.

Ha pure affiancato Stefano Accorsi dietro le quinte della fiction Il clan dei camorristi, per aiutarlo nell’interpretazione del ruolo di un magistrato

Figura specchiata e rispettata. A tal punto che la sua giacca è stata tirata da più parti, con una certa insistenza. Nel 2011 il Partito Democratico le ha provate tutte per convincerlo a candidarsi a sindaco di Napoli. L’idea, lanciata da Roberto Saviano, fu accolta dagli applausi scroscianti dei dirigenti del Nazareno. Veltroni e Bersani, ma non solo. «Cantone è una risorsa che il centrosinistra deve cercare di valorizzare», diceva Andrea Orlando. «Lo trovo forte, intelligente, la sua scelta sarebbe un momento di svolta», dichiarava Dario Franceschini. Un corteggiamento serrato, ma senza successo. Il magistrato ha continuato a fare il suo lavoro. Così a palazzo San Giacomo è sbarcato l’amico e collega De Magistris.

Alla chiamata di Matteo Renzi, che nel 2014 gli ha cucito addosso la neonata Autorità Anticorruzione, non ha detto di no. Al quartier generale dell’Anac, Palazzo Sciarra, due passi da via del Corso, lavorano 300 persone tra cui molti uomini della Guardia di Finanza. All’ufficio protocollo di Anac nel solo 2016 sono arrivati 166mila atti. Ogni giorno, riferisce Liana Milella su La Repubblica, piovono 7-800 segnalazioni.
L’Autorità Anticorruzione lavora molto, su tanti fronti. Garante di legalità nell’Italia del malcostume. Quella in cui, nel solo 2016, sono triplicati gli appalti pubblici irregolari per un valore complessivo di 3,4 miliardi di euro. Intanto Cantone è diventato protagonista mediatico. L’Espresso l’ha eletto l’uomo dell’anno 2014. Il suo nome inizia a circolare per i ruoli più disparati. Nel 2015 in ambienti vicini a Pd e M5s lo evocano in chiave Quirinale. Cantone viene inserito nella lista dei dieci nomi sottoposti da Beppe Grillo al voto online degli attivisti Cinque Stelle. Ottiene 3.341 voti, piazzandosi sesto su dieci. Il suo nome balla anche per l’incarico di commissario capitolino dopo la defenestrazione di Marino. Qualcuno lo suggerisce come candidato sindaco. Cantone finisce pure nel totonomi per il ministero della Giustizia. E dopo le dimissione di Lupi, lo accostano alla poltrona del ministero dei Trasporti. «Candidatura mediatica», nicchia lui. Intanto è nata una stella.

Annota Marianna Rizzini sul Foglio: “Cantone sembra l’uomo perfetto per placare l’indignazione perenne della masse internettiane che vedono ovunque casta&corruzione”. Non è un caso che la sua notorietà diventi sempre più trasversale. Arrivando a sedurre gli intransigenti uomini del Movimento 5 Stelle. Qualcuno adombra il sospetto che la sua Anac venga usata dalla politica, come quando Virginia Raggi aveva sottoposto a Cantone la nomina irregolare del capo di gabinetto Carla Raineri, poi esclusa dalla giunta capitolina. Per altri osservatori, Travaglio in testa, l’Anac è un una «foglia di fico» del governo. Parafulmine utilizzato dall’esecutivo nei momenti di scandali e inchieste. Accuse rispedite al mittente. «L’Anac – spiega più volte Cantone – viene continuamente chiamata in causa perché ha il coraggio di assumersi le responsabilità, prova a dire che il bianco è bianco e il nero è nero, il nostro ruolo non è quello di fare la foglia di fico o i coperchi di qualcuno, ma è quello di dire con chiarezza le cose. E infatti capita spesso che i nostri pareri possano essere oggetto di attacchi strumentali quando se ne vede un pezzo e non la complessità».

Un sondaggio emotivo realizzato da Ipr Marketing per il programma tv Cartabianca gli attribuisce un consenso bulgaro: l’80% degli intervistati si schiera con lui

Invidie e glorie. Un sondaggio emotivo realizzato da Ipr Marketing per il programma tv Cartabianca gli attribuisce un consenso bulgaro: l’80% degli intervistati si schiera con lui. Nell’ottobre 2016 Renzi lo ha voluto a Washington per l’ultima cena ufficiale con il presidente uscente Obama, insieme ad altri rappresentati dell’eccellenza italiana. «Sono rimasto davvero a bocca aperta». Il tutto, una manciata di giorni prima che il governo fosse travolto dalla valanga di NO al referendum costituzionale. C’è chi dice che il magistrato, con la caduta di Renzi, abbia perso un po’ del suo potere. Solite indiscrezioni o semplici sussurri, chissà. Nei giorni della bufera Consip, che ha registrato un tentativo di avvicinamento dell’imprenditore Romeo a Cantone, il supermagistrato tira dritto: «Non ho mai detto che il contrasto alla corruzione sarebbe stata una passeggiata e non ho neppure lontanamente pensato che potessero bastare tre anni di Anac per invertire il trend. Abbiamo avviato un percorso, che è ancora lungo, tortuoso, irto di ostacoli. Vicende come quelle di Consip non saranno certo le ultime che emergeranno in questo Paese. La corruzione è tutt’altro che vincibile domani o dopodomani». E la politica? «È sempre più un autobus che viene utilizzato da qualcuno per fare affari». Lui, quando nel 2020 scadrà il suo mandato in Anac, garantisce che tornerà a fare «quello che so fare, il magistrato». Con buona pace di chi ha provato a tirarlo per la giacca.

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