Il vero argine ai populisti si chiama papa Francesco

Nessuno a Roma a marciare contro o a favore dell’Europa. Tutti a Milano per il pontefice, che si scaglia contro l’Europa della paura. Il successo di folla del Papa "pop" mostra il disorientamento in cui sono caduti sia il populismo, sia la politica "tradizionale", sia il sistema dell'informazione

C’è una durissima lezione per la politica e per i media nel week end appena trascorso, una lezione data dal confronto – che tutti hanno notato – tra le colossali folle mobilitate dal Papa nella sua giornata milanese e la risibile partecipazione popolare alle manifestazioni anti-europee indette a Roma, che pure erano state preannunciate come temibili, enormi, probabilmente violente e avevano beneficiato di un battage pubblicitario intensissimo.
Non è la prima volta che succede. Da molto tempo le persone, le folle – le masse, si sarebbe detto una volta – si muovono all’improvviso per eventi imprevedibili e imprevisti, del tutto fuori dall’agenda dei partiti e del sistema della comunicazione. Secondo questa agenda, al centro della preoccupazione e quindi della mobilitazione popolare, dovrebbero esserci in questa fare i temi dettati dal populismo e dal cosiddetto sovranismo, di destra e di sinistra: insicurezza, immigrazione, ma soprattutto critica all’Europa, e talvolta odio per l’Europa. Un sentimento che si rappresenta come travolgente e diffuso fino al punto che persino i leader di partiti di governo, da Matteo Renzi a Silvio Berlusconi, hanno giudicato indispensabile negli ultimi anni inseguirlo, farsene partecipi talvolta con proposte strampalate pur di recuperare consenso.

Da molto tempo le persone, le folle – le masse, si sarebbe detto una volta – si muovono all’improvviso per eventi imprevedibili e imprevisti, del tutto fuori dall’agenda dei partiti e del sistema della comunicazione

E’ una percezione della realtà che appare, alla luce degli eventi del week end, di scarsissimo fondamento. E non c’entra solo l’innegabile carisma di Francesco. Nel settembre dello scorso anno si scoprì all’improvviso, grazie a colossali manifestazioni in Germania – un Paese poco aduso alla protesta – che un tema laterale e giudicato “specialistico” come il Ttip, il trattato di libero scambio Europa-Usa, era in realtà ben conosciuto e assai inviso a larghissime fasce della popolazione, pronte a scendere in piazza per fermare i governi (che infatti si fermarono). Il 26 novembre scorso, qui da noi, in Italia, centomila donne invasero Roma per una protesta contro la violenza, un corteo di cui nessuno aveva previsto la consistenza, poco pubblicizzato, non sostenuto dalle consuete “macchine della partecipazione” sindacali o poliche che in quel momento erano occupate col referendum costituzionale. E allo stesso modo, in anni precedenti, la politica e i media furono stupiti da fenomeni di massa come gli Indignados, o Occupy Wall Street, che da un giorno all’altro rivelavano l’esistenza di sentimenti così radicati e forti da rompere l’abituale disincanto del Villaggio Globale e spingere le persone a vestirsi, uscire di casa, partecipare “fisicamente” a qualcosa anziché limitare l’adesione a qualche click.

Ora, a sorprenderci, sono le masse che si muovono per ascoltare di persona Francesco. Ed il suo discorso per i sessant’anni dell’Europa – quello in cui mette in guardia contro la cultura della paura, dell’egoismo, della difesa piccina del proprio orto – non è solo il più “alto” e convincente, ma anche il più partecipato. Quello che può rivendicare il maggiore e più visibile consenso popolare, mentre i sedicenti “portavoce del popolo” restano isolati nelle loro nicchie rancorose o nella loro sterile visibilità social. La politica avrebbe il dovere di approfondire, anziché limitarsi alla spiegazione consolatoria del “Papa Pop” (come titola l’ultimo numero di Rolling Stones, mettendolo in copertina in una posa alla Fonzie). Dovrebbe, ad esempio, interrogarsi consenso effettivo dei cosiddetti populismi e sovranismi, e più in generale dell’intero racconto anti-europeo: quanto di esso corrisponde davvero a un sentimento diffuso, e quanto è legato a una resa culturale delle elìtes, al loro “dare per scontato” che quello sia il campo dove competere?

La politica avrebbe il dovere di approfondire, anziché limitarsi alla spiegazione consolatoria del “Papa Pop” (come titola l’ultimo numero di Rolling Stones, mettendolo in copertina in una posa alla Fonzie)

Angelo Panebianco ci ha spiegato, di recente, che le egemonie politico-culturali non nascono necessariamente dalla forza e dall’intelligenza di chi le costruisce e le cavalca con spregiudicatezza, ma assai spesso dalla resa di chi dovrebbe coltivare un pensiero critico e suggerire altre strade, altre soluzioni. In Italia questa resa è più palese che altrove perché non c’è area che si sottragga all’inseguimento della xenofobia, dell’approccio securitario ai problemi, della logica del sospetto e della paura, e naturalmente al racconto dell’Europa matrigna, nella convinzione che il consenso ormai si possa conquistare solo così, parlando alle famose “pance del Paese”. Dopo la giornata di sabato, dopo aver visto da una parte il populismo senza popolo e dall’altra le colossali folle radunate intorno a questo Papa e al suo messaggio totalmente controcorrente, qualche dubbio bisognerebbe cominciare a porselo.

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