Galeotto fu il Jobs Act. E ora 180 ricercatori dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (ex Isfol), l’unico ente pubblico di monitoraggio e ricerca sul mercato del lavoro, rischiano il posto. Schiacciati da un bizzarro conflitto di interessi tra controllore e controllato generato dalla nuova legge. Il 29 marzo manifesteranno sotto il ministero del Lavoro per chiedere al ministro Giuliano Poletti di prendere una decisione sul loro destino.
Il problema è che la riforma del lavoro renziana ha spostato i fondi europei per le politiche attive del lavoro dalle casse dell’Inapp a quelle dell’Anpal, la neonata agenzia presieduta da Maurizio Del Conte che avrebbe dovuto centralizzare i servizi per l’impiego, ma che con la vittoria del no al referendum costituzionale rischia di restare azzoppata.
Il Jobs Act però stabilisce anche che l’Inapp debba valutare il raggiungimento degli obiettivi dell’Anpal. Il risultato è che il controllore (Inapp) dipende economicamente dal controllato (Anpal). L’Anpal dunque può decidere come gestire i fondi a disposizione, compreso il destino dei contratti in bilico dei 180 lavoratori a tempo determinato (su 400) dell’Inapp, quasi tutti ricercatori assunti (alcuni anche da più di 15 anni) con il compito di elaborare gli scenari futuri sul mercato lavoro e la formazione. Da aprile, “grazie” al Jobs Act, potrebbero restare a casa.
Il cda dell’Inapp si è appellato al ministro del Lavoro Giuliano Poletti, chiedendo di spostare la fonte di finanziamento dell’ente di ricerca al Pon inclusione, che fa capo al ministero di via Vittorio Veneto. Il sindacato Usb ha chiesto invece al premier Paolo Gentiloni di spostare i fondi alla presidenza del Consilgio. E ora la questione è diventata politica.
180 ricercatori dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (ex Isfol), l’unico ente pubblico di monitoraggio e ricerca sul mercato del lavoro, rischiano il posto. Schiacciati da un bizzarro conflitto di interessi tra controllore e controllato generato dalla nuova legge
Fino a fine 2016, il ministero del Lavoro era titolare dei fondi europei per le politiche attive del lavoro. Con questi soldi, il dicastero di Poletti utilizzava l’ex Isfol come ente in-house per svolgere attività di analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro. Il Jobs Act ha stravolto questo meccanismo. Non solo i fondi ora sono passati all’Anpal, ma l’agenzia ha già un ente in-house come braccio operativo (Anpal Servizi). In quest’ottica, il timore è che Anpal non abbia interesse a tenere in vita l’Inapp. Anche perché alcuni lavoratori ex Isfol sono già stati assorbiti dall’agenzia di Del conte.
Tommaso Nannicini, economista di fiducia di Renzi ed ex sottosegretario, per conto di Palazzo Chigi aveva pure sottoscritto un accordo per fare dell’Inapp un ente intermedio, assicurandogli risorse adeguate senza ingerenze continue da parte dell’Anpal. Ma l’accordo non è mai stato attuato, bloccato in un perverso ingranaggio tra burocrazia e politica. Il presidente Inapp Stefano Sacchi la scorsa settimana ha scritto di nuovo al ministro Poletti e all’Anpal, chiedendo di attuare il piano. In modo da stabilizzare anche i ricercatori, così come previsto tra l’altro pure dal decreto Madia e da un accordo sindacale. Ma il direttore generale dell’agenzia, Salvatore Pirrone, molto vicino a Enrico Letta, continua a temporeggiare. E il momento politico non aiuta il decisionismo di Poletti. Nonostante anche il Senato abbia chiesto al governo di garantire l’autonomia di Inapp dall’Anpal.
Ma ad oggi l’Inapp naviga in cattive acque. Il ministero del Lavoro, con tagli di dieci milioni di euro l’anno, ha già ridotto i contributi. E presto, visti anche i ritardi dei trasferimenti dei fondi comunitari da parte dell’Anpal, non si riusciranno neanche a pagare gli stipendi per i lavoratori di ruolo.
Il 30 marzo, allo sciopero dei dipendenti pubblici, aderiranno anche i ricercatori precari dell’Inapp esperti di mercato del lavoro. E ora a rischiare il posto sono proprio loro.