TaccolaLa rivoluzione dell’automobile cambierà l’Europa. O la farà morire

È la nostra “industria delle industrie”, ma due terzi dei manager del settore sentiti da Kpmg ritengono che entro il 2030 si dimezzerà. «Siamo ancora avanguardia», dicono gli esperti. Ma servono investimenti in nuove tecnologie. E una burocrazia più snella per la ricerca. Altrimenti saranno guai

Fabrice COFFRINI / AFP

Dire che nessuno ci capisce niente è eccessivo. Ma di certo oggi tutti coloro che operano nel mondo dell’auto si aspettano un cambiamento radicale e sconvolgente nei prossimi anni e le opzioni sono così aperte da non rendere possibile tracciare una linea precisa su dove andranno i mercati. Il sondaggio annuale sui manager automotive condotto su scala globale da Kpmg racconta bene cosa sta succedendo. Due anni fa alla domanda se ritenessero probabile una “disruption” nel modello di business dell’automotive rispondeva in modo affermativo il 12% dei manager. Nell’edizione 2017 la quota è salita all’83 per cento. La direzione, però, è appunto incerta e lo testimoniano gli aggettivi “esitanti” e “lacerati” con cui nell’indagine vengono commentate le risposte dei responsabili. «Il settore dell’auto è “lost in translation” tra trend evolutivi, rivoluzionari e disruptive, che dovranno tutti essere gestiti allo stesso tempo», si legge nella ricerca.

Cominciamo dalle tecnologie. Per quanto il motore elettrico sia indicato come il trend numero uno per il settore da qui al 2025, quasi due terzi dei manager intervistati credono l’auto elettrica fallirà nella sua sfida per la costruzione di infrastrutture adeguate e sistemi di ricarica sufficientemente rapidi. E se la riduzione dei consumi dei motori tradizionali è scesa al decimo posto tra i trend del prossimo decennio, quasi otto manager su dieci sono convinti che i motori a combustione rimarranno a lungo più importanti di quelli elettrici. Tutti tranne i dirigenti cinesi, che invece sono diventati i più entusiasti sostenitori dell’elettrico assieme ai californiani di Tesla e alla Gm. In questo clima di incertezza, ben otto manager su dieci si dicono convinti che la vera tecnologia della svolta sarà non l’elettrico ma l’idrogeno, sulla scorta dei modelli presentati da Toyota (Mirai) e Hyundai (iX35). Insomma, l’unica certezza è che si andrà verso la sparizione dei modelli diesel, oggi grandi dominatori del mercato europeo, almeno per quanto riguarda i piccoli modelli, per ragioni ambientali.

Le variabili aperte sono però molte altre. Oggi nessuno è in grado di sbilanciarsi sul futuro dell’auto che si guida senza pilota. Le due opzioni sono che ci si fermi a un supporto per il guidatore o che si proceda verso l’automazione più completa. Spiega Giacomo Cacciabue, ad di Kostal Italia, società fornitrice di sistemi tecnologici per le case automobilistiche: «Oggi entrambe le strade sono aperte. Noi stiamo sviluppando delle telecamere rivolte verso l’interno della cabina di guida, per monitorare il guidatore in caso di distrazioni o colpi di sonno. È una tecnologia propedeutica alla guida autonoma che si potrebbe applicare qualsiasi sia la direzione che sarà presa», in base al mercato e alle regole.

Ben due terzi dei manager intervistati da Kpmg scommettono su un declino spettacolare dell’industria dell’Europa Occidentale, ossia su una discesa entro il 2030 sotto il 5%. In termini numerici, significa passare dagli attuali 16 milioni di vetture prodotte a 5,4 milioni

Anche il ruolo dei giganti Ict è tutto da definire: Google e Apple saranno dei semplici fornitori di tecnologia o diverranno dei veri marchi, prendendo la fetta più grossa dei ricavi e delegando (come avvenuto per i telefonini) la parte a minore valore aggiunto agli assemblatori? «I ruoli lungo la catena del valore non sono stati ancora definiti – risponde Fabrizio Ricci, partner di Kpmg e Automotive Leader per l’Italia -. I concept non finiti e le visioni ambigue delle società Ict fanno perdere loro terreno rispetto ai produttori tradizionali (Oem). È ancora non chiaro quale sarà l‘assetto della catena del valore e come appariranno i nuovi modelli di business». Rispetto all’indagine dell’anno scorso, in ogni caso, è molto cresciuta la fiducia sul fatto che i produttori tradizionali finiranno per essere i veri “padroni della rete” e quindi del gioco.

E così si può continuare sul lato della domanda, con due terzi dei manager convinti che con l’arrivo delle auto senza pilota, i criteri con cui vengono scelte le auto oggi diverranno irrilevanti. C’è poi un aspetto che vale la pena sottolineare: ben due terzi dei manager intervistati scommettono su un declino spettacolare dell’industria dell’Europa Occidentale, ossia su una discesa entro il 2030 sotto il 5% di quota di mercato globale coperta da auto prodotte nei Paesi che un tempo si indicavano a ovest della Cortina di Ferro. In termini numerici, significherebbe passare dagli attuali 16 milioni di vetture prodotte (pari al 16% di quota di mercato globale) a 5,4 milioni.

Come interpretare questo pessimismo? Secondo Fabrizio Ricci di Kpmg gli umori neri dei manager riflettono l’incertezza politica nel Continente, dopo la Brexit, durante l’ascesa di Trump (il sondaggio è stato svolto nell’autunno 2016) e con i rischi legati alle elezioni in Olanda, Francia, Germania e poi in Italia. «Alle nostre domande provocatorie i manager e gli executive hanno risposto in maniera compatta indicando lo scenario negativo come possibile. Noi come contrappeso abbiamo pubblicato le previsioni della società Lmc Automotive, che indicano invece uno scenario di stabilità. Probabilmente la verità starà nel mezzo: ci sarà una riduzione, seppure non drammatica. Ci sono tuttavia segnali da cogliere». Tra questi ci sono il possibile spostamento di parte della produzione in Cina e forse in India. Ma anche la posizione di follower che hanno i produttori europei nella percezione dei manager rispetto all’adozione di nuove tecnologie, con la gigantesca eccezione del gruppo Bmw, indicato come il più innovativo al mondo. Lungo l’indagine si coglie in più punti una sfiducia nella capacità di reazione dell’Unione europea. Molti executve pensano addirittura che la stessa Ue sia destinata a disgregarsi. «Ma c’è anche il pessimismo – aggiunge Ricci – sulla capacità dell’Ue di dare risposte in tempi rapidi alle esigenze del business, sul fronte dei motori e delle infrastrutture». Il messaggio è chiaro, per tutti: «Non si può non fare niente», o si cambia o si muore.

Quella del pessimismo verso l’Europa è una strada che ha solide basi? Linkiesta lo ha chiesto a una serie di esperti del settore auto. Giuseppe Berta, storico dell’auto e professore associato di Storia contemporanea presso l’Università Bocconi, invita a partire dalla domanda di mercato e dall’ultimo episodio avvenuto sul fronte dell’M&A: dopo un ventennio di perdite quasi costanti, pari in totale a 15 miliardi di euro, Gm ha deciso di tagliare quello che considerava un ramo secco, Opel, venduta per una cifra non certo stellare. O, se si vuole vedere da un’altra prospettiva, Gm ha deciso di sbarazzarsi dell’Europa. Il punto, spiega Berta, è che il nostro continente è considerato una vera sfida dal punto di vista della domanda di auto. Stiamo invecchiando, e quando una coppia va in pensione una delle prime cose che fa è vendere una delle due auto di famiglia. Siamo da tempo un mercato semplicemente di sostituzione. Abbiamo molte alternative alle auto, soprattutto nelle città. E soprattutto stiamo considerando sempre di più l’auto sempre più come un banale strumento di trasporto e sempre meno come qualcosa che si vuole possedere e abbinare a uno status. «Siamo entrati in una dimensione di strumentalità che sarà molto più forte in Europa che negli Stati Uniti, dove in provincia ancora per molti anni durerà il mito dei Suv e dei pickup», sintetizza Berta. In questo scenario, nel Vecchio Continente ci saranno due tipi di auto vendute: le auto intese come semplici strumenti e quelle di qualità alta.

Tutto questo, passando al lato dell’offerta, significherà che ci saranno pochi produttori europei, ma molto sviluppati e posizionati sull’alto di gamma, come hanno fatto da molti anni le auto tedesche e ha cominciato a fare con successo Fca. Ma ci saranno anche nuovi competitor. «A differenza di altri osservatori, io penso che entro dieci anni ci possano essere dei produttori cinesi che entreranno con le loro auto nel mercato europeo. Una cosa che è stata poco sottolineata è che nell’acquisizione di Opel di Psa sono entrati in gioco anche i cinesi di Dongfeng Motors (azionisti di Psa con il 13%). Questa operazione serve alla Cina per mettere un piede in Europa, perché c’è un interesse sui tempi lunghi». L’evoluzione dell’auto europea è tutta da scrivere, ma anche da interpretare con lenti nuove. «Per anni si è dato risalto al tema del primato numerico della vendita dei volumi di auto. Oggi si è cambiato approccio: i produttori si focalizzano di più sui margini e la vendita di Opel da parte di Gm ci fa capire quanto siamo lontani dal Novecento».

Due anni fa solo il 12% dei manager pensava che il modello di business dell’auto andasse incontro a una disruption. Ora è l’83%

Anche secondo Beppe Russo, fondatore e amministratore unico di Step Ricerche, è più probabile aspettarsi una lieve crescita della produzione europea, piuttosto che un drastico declino. La motivazione è soprattutto legata allo sviluppo delle tecnologie, che comporterà un tasso di sostituzione più rapido. Due sono le direttrici viste come più promettenti da Russo: l’idrogeno per i mezzi pesanti, con la strada tracciata dagli esperimenti di Nikola Motor Company e Toyota, mentre per le auto la direzione è quella della successione tra ibrido, ibrido plug-in ed elettrico puro, con l’esclusione progressiva dei diesel sulle auto piccole. «Guardo con particolare attenzione alle ricariche wireless per le auto elettriche – spiega -. Nel Regno Unito è in corso una sperimentazione per ricariche senza fili dei motori elettrici sulle autostrade. Mentre Toyota sta sperimentando un sistema di ricarica wireless da applicare nei garage». La vera “disruption”, tuttavia, sarà nei modelli dei servizio: «Credo che l’auto in affitto, più il peso crescente di internet, produrranno un netto cambiamento nel mondo della distribuzione e del servizio alle auto. Il vantaggio sarà importante per i consumatori, perché avranno auto più semplici da comprare e comparare, più sicure, semplici ed ecologiche». In questo contesto, aggiunge, i produttori storici, «se saranno fedeli alla loro storia e sapranno costruire sul valore del marchio, non avranno difficoltà a sopravvivere. Potrà anche succedere che assisteremo alla rinascita di qualche vecchio marchio, se i contenuti tecnologici, diverranno più abbondanti e disponibili sul mercato. Oggi per sviluppare un’auto come la DS 5, alla Psa sono serviti 1,5 miliardi di euro, in futuro potrebbero bastarne molto meno». Se questo scenario si realizzerà, anche produttori come Fca, che negli scorsi anni si è concentrata su una strategia di recupero di clienti nel breve termine piuttosto che sull’investimento sul futuro, per Russo potrebbero recuperare in fretta il terreno perduto.

Ancora più ottimistica è la visione di Josef Nierling, amministratore delegato di Porsche Consulting: «Noi non vediamo alcun rischio di contrazione della produzione da parte dei produttori europei. Oggi il primo produttore mondiale, il gruppo Volkswagen, è europeo e i marchi hanno una grande attenzione verso le dinamiche che si stanno configurando per il futuro, a partire dallo spostamento del focus dal prodotto in sé alla mobilità, ossia ai servizi correlati all’auto». Nierling ha le idee chiare su macro trend del settore – l’urbanizzazione, la sostenibilità e la digitalizzazione – e sugli scenari che si aprono combinando i tre fattori. Urbanizzazione e digitalizzazione portano a sistemi di mobilità di tipo “shared”. Sostenibilità e digitalizzazione a nuovi modelli di auto che leggono le informazioni nelle infrastrutture. «È importante la decisione dell’autunno 2016 da parte delle principali case automobilistiche europee di creare una joint-venture per lo sviluppo di nuove infrastrutture», spiega. E anche sul fronte del self-driving «le case europee stanno investendo per rimanere leader. Un livello di attenzione che si è visto nelle presentazioni al Salone dell’Auto di Ginevra».

Se è vero che crescerà la competizione di Usa e Cina, aggiunge, «è importante disaccoppiare la competitività delle case automobilistiche con i mercati in cui le auto saranno vendute. Tutte le case saranno global player e l’innovazione andrà avanti anche sperimentando fuori dall’Europa: Volkswagen faceva girare le auto senza pilota in California prima di Google». Anche sul dilemma dei dilemmi l’ad di Porsche Consulting non ha dubbi: «Le case devono avere il coraggio di innovare. È vero che innovando possono erodere il proprio mercato e possono avere problemi di immagine, per esempio se un’auto senza pilota provocasse un incidente. Ma è necessario fare disruption prima di subirla».

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