Il sacchetto gonfio di spazzatura brucia e scalda il corpo di chi è senza casa. La notte? Non solo. I residenti sentono la puzza di rifiuti fusi. Non li sconvolge più di tanto. Pensano subito che sia l’inceneritore di via Zama con un guasto irrisolto. Quando si rendono conto dell’accaduto, invece, bollano gli “incendiari” come «i soliti zingari». Arriva la Polizia di Stato e i Vigili del Fuoco di Benedetto Marcello, perché le fiamme sono sfuggite al controllo dei clochard – un fuocherello, niente di più, soffocato con della terra in meno di un’ora d’intervento partito alle 14:41.
È il 17 febbraio qui in zona Mecenate – periferia (far) est dalle distanze sterminate, i vialoni vuoti in cui svolazzano volantini che annunciano la visita del Papa e le comunità di latinos che animano la ex Bodeugita di via Quintiliano, con matrimoni e battesimi dove si viaggia più a birra che a “sangue di Cristo”. In città non tutti i “barboni” conoscono il dormitorio “Enzo Jannacci” dove si paga 1,5 euro a notte o la mensa di piazza Tricolore. Non tutti si fidano del piano freddo del Comune che quest’anno ha funzionato meglio che in passato e ridotto in maniera drastica le vittime del gelo: due morti. E allora s’imboscano qui, dove nessuno disturba e la richiesta di documenti da parte della Polizia locale non è pressante: dentro ex cabine del controllo elettrico e abbandonando la propria saccoccia “Nike” nei box cavi della metropolitana – quelle stesse che, di tanto in tanto, allarmano l’antiterrorismo; vanno dentro a palazzi abbandonati – 180 le aree abbandonate secondo la mappatura voluta dall’ex vice sindaco Ada Lucia De Cesaris nel 2013.
Per ironia della sorte si tratta di edifici che sarebbero serviti proprio a offrire posti letto. Non ai clochard ma agli studenti fuori sede: studentati, residenze universitarie di cui rimane solo lo scheletro e altre che potrebbero aprire domani mattina. Case dello studente le cui graduatorie sarebbero state stilate dall’ex Cidis – l’ente per il diritto allo studio – chiuso in fretta e furia due anni fa e a cui è subentrato il controllo diretto delle Università (Bicocca, Statale e Insubria). In affiancamento all’Agenzia Uni. Un passaggio di consegne che ha creato non pochi problemi: stanze singole affidate per un biennio a due persone in contemporanea, ad esempio.
Via Malipiero, Quintiliano, Piazzale Ferrara e tutti gli altri. La ferita aperta di Milano sugli studentati. Era il “piano casa” per gli studenti: 26 residenze, 5800 posti a fare da volano per il resto dell’edilizia. Un ottimo piano mal riuscito
I neo diplomati vengono da Napoli, da Trento, da Palermo e da Belluno. Per studiare nella città che offre una possibilità a tutti – così si dice. Oppure per fuggire dalle ansie dei genitori. E sono tanti: 25mila fuori sede a Milano solo considerando i dati che ci hanno rilasciato l’anno scorso Bocconi e Politecnico. Ma oltre la Bovisa e viale Bligny c’è un universo: Bicocca, Naba, Cattolica, Ied, Iulm, Statale, Civica di Cinema, Paolo Grassi e chi più ne ha più ne metta. Una risorsa della città per costruttori e ristoratori. Ma anche un grosso punto di domanda per la giustizia sociale. «Dalle nostre analisi risulta un prezzo medio di 300 euro per una doppia e 400-500 per una stanza singola», spiega a Linkiesta Serena Vitucci, rappresentante degli studenti al Dipartimento di Lettere della Statale. Chiaro che non tutti possono permettersi una stanza singola a 500 euro più il mantenimento a prezzi della “Madunina” e le tasse universitarie. La soluzione c’era, forse. Un “piano casa” per chi studia.
Ventisei diverse residenze universitarie, dislocate in ogni angolo della città, dal Corvetto a Certosa, con lo scopo dichiarato di portare indotto nei quartieri e trainare verso il basso anche i canoni degli affitti privati. Edilizia convenzionata con Aler e università e cofinanziata con soldi di regione Lombardia; l’avvallo dell’urbanistica milanese che si occupava di rilasciare le licenze edilizie. Tutto pronto a metà Duemila. È ora di scavare e mettere i mattoni. Dieci anni dopo rimane solo una ferita aperta per Milano: su 5.200 alloggi del piano, i materassi veri sono circa 800.
Colpevoli, innocenti e latitanti
Prima istantanea: le fondamenta semi a vista, i calcinacci, gli accenni, timidi, di una tettoia. L’unica cosa che cresce in altezza, qui, è la vegetazione spontanea e le rampicanti. È quanto rimane di un finanziamento da 1,2 milioni del Pirellone e dei 110 posti letto. Una collina tipo montagnetta di San Siro in miniatura ma fatta con i residui degli scavi adiacenti. Terra di colore diverso. Tutto bloccato dal 2009 in poi. «Quando ero bambino c’era un campo da calcio» ci racconta un uomo con la sua moglie dell’est d’Europa, alla domenica pomeriggio, mentre spinge la figlia sull’unica altalena di zona, «oggi o chiami Striscia o non cambia nulla». Il fogliame ricopre il cartello, che promette faville, di inizio lavori. Uno sterminato elenco di progettisti, architetti, ingegneri e direttori della sicurezza i cui nomi e cognomi fissano, dall’altra parte della strada, i murales di via Malipiero e l’ex circolo “Uisp” Vela a mare. Cos’è successo? «Storiacce di mafia» ci dice, semplificando, Don Augusto dall’ingresso dell’oratorio.
«C’era un campo da calcio quando ero bambino. Oggi o chiami Striscia o non cambia nulla»
Seconda istantanea, un po’ più a est. Thailandia, maggio 2013, centro per la detenzione dell’Immigrazione di Chiang Mai. Le manette della polizia di Bangkok sono scattate ai polsi di Stefano Raccagni, imprenditore bresciano di Pontoglio, fuggito nel 2009 grazie a un visto e una fidanzata nell’estremo oriente. Lo stanno rimandando in Italia. Dove ora sconta una condanna ai domiciliari con la possibilità di lavorare. È fuggito per non farsi arrestare. Le cronache locali lombarde, liguri, piemontesi e romagnole (affari nei residence fra Cattolica e Riccione oltre che in storici locali frequentati dalla crème dei vip in Riviera) cominciano a dipingerlo come una sorta di Matteo Messina Denaro, scavando nel suo passato: gli viene imputata un’associazione per delinquere finalizzata a commettere reati di ogni tipo: fiscali, immigrazione clandestina con traffico di permessi di soggiorno, false fatture, truffa alle banche per avere finanziamenti e prestiti. Assieme al finto-commercialista, mai iscritto all’ordine, Enrico Cilio (cognato di Michele Sindona, morto nel 2010) con cui era in affari dall’inizio del millennio. Conti correnti a San Marino e viaggi in Svizzera con contrabbandieri bresciani. E vicinanza a soggetti in odore di ‘ndrangheta perché una sua referente bancaria in Unicredit (assolta) finisce nelle carte dell’inchiesta “For a King” che ha svelato il potere delle cosche e dei Morabito sull’Ortomercato di Milano, ben prima dell’ultima indagine autunnale sui Piromalli.
Stefano Raccagni, l’imprenditore bresciano fuggito in Thailandia, oggi ai domiciliari. Decine di accuse ma lui rifiuta gli affari con le cosche calabresi e l’immigrazione clandestina (assolto). Era in affari col cognato di Michele Sindona
Lui non ci sta. Lo chiamiamo al telefono. Raccagni non ci vuole incontrare, su consiglio del suo legale, per evitare problemi sul lavoro. Sta provando a rifarsi una vita (anche economica) dopo la confisca di 97 unità immobiliari e 9 terreni. Il cantiere per lo studentato di via Malipiero era roba sua e finisce sotto sequestro. Ci dà la sua versione dei fatti e qualche prova. Nega l’immigrazione clandestina e affari con i mafiosi mentre ammette, come fatto nel processo, le scatole societarie e i reati fiscali.
«Davo le mie aziende al dott. Cilio, gli dicevo di tirare via gli amministratori, cambiare i soci e metterle in liquidazione. Doveva arrangiare tutto lui, non volevo sapere niente»
Perché dopo una serie di fallimenti e bancarotte si era affidato al finto-commercialista Cilio, a dei prestanome, a spregiudicate operazioni finanziarie e fallimenti pilotati. Collabora con i giudici rendendo dichiarazioni spontanee «Davo le mie aziende al dott. Cilio, gli dicevo di tirare via gli amministratori, cambiare i soci e metterle in liquidazione. Doveva arrangiare tutto lui, non volevo sapere niente». In tribunale a Milano gli credono in primo grado perché a scagionarlo da alcuni reati è il figlio del commercialista, Sebastiano, quando dichiara ai magistrati che «Raccagni non era uno stinco di santo ma non era al corrente del fatto che mio padre utilizzasse le aziende per far entrare gli immigrati»
Viene assolto per 4 dei 5 capi d’imputazione – rimane l’associazione per delinquere. Nessuna attenuante perché recidivo.
Abusivi ma giusti
Wainer mette i dischi. Sarà un caso ma la playlist in loop gira con “Non pago affitto” di Bello Figo. E in effetti Wainer non paga affit(t)o da parecchio tempo. Ha vissuto in strada, è un ex clochard che assieme alla sua compagna sindacalista dell’Unione Inquilini di Milano si è inventato una carriera come occupante di comuni abitative in Lombardia. Lo chiamano Residence sociale “Aldo dice 26X1”, dal messaggio in codice letto da Radio Londra la notte del 25 aprile 1945 per dare il via alla liberazione definitiva dell’Italia dal nazifascismo.
Il collettivo che hanno fondato e di cui oggi fanno parte sindacalisti, operai edili, clochard, politici ospita decine di famiglie in emergenza abitativa al canone simbolico di 10 euro a settimana. Lui e gli ex senzatetto si occupano della parte operativa: cibo, coperte, musica, lavori di ristrutturazione. I sindacalisti gestiscono le pratiche delle famiglie sfrattate o sgomberate per farle rientrare in graduatoria e accedere, prima o poi, all’agognata casa popolare.
Stanno proprio dentro a uno studentato, quello di via Oglio 8. Terreni di Camera del Lavoro poi ceduti al “Consorzio Virgilio” con i lavori affidati a un mosaico di cooperative di Ravenna. Finanziamento della Regione da 1,2 milioni, 151 posti letto, edificio concluso con la bellezza di 6 milioni di debito. Arriva un commissario liquidatore di corso Italia nominato dal Ministero e si va tutti a casa. Stessa storia 200 metri più in là, in piazzale Ferrara, con vista su mercato comunale. Casa dello Studente nelle mani di Aler, inserita nel contratto di quartiere Mazzini fra le opere: 105 alloggi per 11 milioni di euro. Il bilancio disastrato del colosso di viale Romagna ha costretto a un dietro-front, repentino, nel 2014.
Siamo ancora una volta nella quarta municipalità di Milano, secondo peggior quartiere per indicatori come la qualità dell’aria e la microcriminalità nelle ultime classifiche rese pubbliche. Allo stesso tempo palcoscenico di noir e romanzi gialli milanesi e contrrada multietnica dove convinono 20 comunità diverse. A giugno scorso le elezioni, qui, le ha vinte il centrodestra. E proprio a giugno, il 15 del mese, fra il primo e il secondo turno delle elezioni comunali, furono sgomberati dalla sede originaria gli abitanti del Residence sociale “Aldo dice 26X1”. Dagli ex uffici di Alitalia, abbandonati dal 2008, a Sesto Marelli. Area di conflitto fra le due amministrazioni, quella di Palazzo Marino e l’ex Stalingrado d’Italia.
È complesso il rapporto con la politica. Si conoscono tutti. Il reggente delle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino, andò a trovarli in piena campagna elettorale per le primarie 2016 – quelle perse contro Beppe Sala – e usò parole aspre contro lo sgombero di quattro mesi più tardi. «Sono contrarissimo» disse. L’assessore alla Casa, Gabriele Rabaiotti, è andato a conoscerli mesi fa, senza staff, faccia a faccia. Durante l’inverno gli hanno anche “girato” alcuni senzatetto privi di sistemazione, di fatto riconoscendo legittimità a una comune abusiva. Ora però c’è il rischio, paventato, che gli stacchino l’energia elettrica.
Nel Corvetto e zone limitrofe, l’anno scorso, si è stanziato un milione di euro aggiuntivo dal bilancio comunale. Come negli altri otto municipi di Milano. Briciole, certo, ma con un valore simbolico: casalinghe, impiegati, studenti, migranti e politici locali (sopratutto), vi chiediamo cosa vorreste per migliorare il quartiere. Poi se ne parla, ne discutiamo con tecnici e addetti ai lavori e cerchiamo di venirci incontro. Lo hanno chiamato “bilancio partecipativo”, da un’idea di Francesca Balzani – ex assessore al bilancio che da buona genovese, i soldi, sa come rispettarli – per venire incontro all’egemonia culturale grillina della “politica dal basso” ( dove “basso”, spesso, significa questionario online) nella città meno Cinque Stelle d’Italia
Le risposte? Rastrelliere per biciclette, lampioni, giochi nelle scuole dell’infanzia e abbattimento delle barriere architettoniche. E telecamere, per 99mila euro. Non si sa mai che a qualcuno, alla notte, venga in mente di ricominciare a lavorare per finire gli studentati senza essere scrutato dal vigile occhio della tecnologia.