Uno ce la mette davvero tutta. Si impegna, si arma di Santa pazienza, respira lentamente e conta fino a cento. Uno fa quel che può e spesso anche quel che non potrebbe, ma se di lavoro scrive di musica, analizza, studia, critica, non può proprio fare a meno di confrontarsi con quel che sta succedendo adesso, e se non capisce, si dice, deve essere un problema suo, magari la prova provata che il tempo passa e che arrivano le prime défaillance, quelle che in natura si curano con la chimica.
E siccome non esiste il viagra per la critica musicale, di fronte alla constatazione poco amichevole che niente, di fronte a quel che succede oggi proprio il cazzo non gli si alza, ecco che non gli resta di approfondire ulteriormente, studiare, analizzare, cercando di buttare quella che evidentemente non sarà mai una faccenda di sesso in una mera questione mentale.
Il fatto è che tutti stanno gridando al miracolo per la nuova scena romana, che poi esattamente romana non è, e non stare nel coro di quanti gridano al miracolo può essere figo all’inizio, ma con l’andare del tempo comincia a diventare fastidioso. Come quando alle medie, mentre gli altri limonavano alle feste tu eri quello che metteva i dischi.
Miracolo sia, quindi. Così, aprioristicamente, senza entusiasmo, senza erezioni, polluzioni, senza corpi che si avvinghiano, annusano, senza sesso.
Ma esattamente di miracoloso cosa ci sarebbe, poi?
È che è proprio cambiato l’approccio, ci dicono, ora la gente decide da sola, dal basso. Questi artisti non hanno bisogno dei media, che si trovano a rincorrerli, finendo quindi per parlarne, esattamente come con gli altri, ma senza imporli
Ok, ci sono i numeri. La neonata scena romana, che poi tanto romana non è e neanche tanto scena, produce numeri. I live dei vari I Cani, Calcutta, TheGiornalisti, Mannarino sono sempre eventi. Si riempiono locali, palasport, anche palasport grandi, come l’imminente doppietta della band di Tommaso Paradiso a Milano e Roma, attesta.
Tanti spettatori, prova che alla gente la musica continua a piacere nonostante tutto. Poco importa, e non può che essere così, che i numeri dal vivo non siano supportati da numeri altrettanto importanti sul mercato discografico (destino comune anche agli artisti mainstream, del resto) . Le nicchie tengono, certo, per cui le solite poche migliaia di copie ti portano in Top 10, ma sempre numeri di nicchia rimangono.
Non si può mica volere tutto. Poi è colpa dei media, che non invitano questi nomi alla televisione generalista, non li invitano alla radio. O meglio, alla radio li invitano, e li passano pure, perché detta scena romana, che poi non è tanto romana e neanche tanto scena, in radio ci va e sopratutto ci passa parecchio, non solo saltuariamente, ma proprio in AirPlay.
È che è proprio cambiato l’approccio, ci dicono, ora la gente decide da sola, dal basso. Questi artisti non hanno bisogno dei media, che si trovano a rincorrerli, finendo quindi per parlarne, esattamente come con gli altri, ma senza imporli. Non hanno bisogno dei Fabio Fazio, che li invita, ma santificando un fenomeno già esistente, diversamente da come accade solitamente, la scelta da parte di alcuni della Goigest di Dalia Gaber come ufficio stampa dimostra una volontà di dialogo, arrivato a giochi ormai fatti, mica altro. Non hanno bisogno delle Barbara D’Urso, che continua giustamente a non sapere chi siano, troppo concentrata su diete e gossip per dedicarsi alla musica.
Loro ci sono, i giovani li ascoltano, li amano, ci si riconoscono, se non li capisci sei un vecchio, sei fuori dal mondo, non sei adeguato al tempo in cui stai vivendo.
Probabilmente la faccenda starà così, e viste le canzoni che questa scena romana, che tanto romana non è e neanche tanto scena propone, forse non è il caso di farsene un dramma.
Quali sarebbero le canzoni sconvolgenti che chi, come me, non capisce questa generazione di cantautori e di cantautori travestiti da band, si starebbe perdendo? Quali brani destinati a rimanere come fotografia di questi giorni decadenti?
Uno potrebbe dire, una volta c’erano i Battisti, i De Andre’, e via discorrendo, e subito si sentirebbe rispondere, “Eh, vabbeh, ma che ragionamenti sono? Ovvio che non c’è paragone”. Ecco, mi fermo. E perché non ci dovrebbe essere paragone? Perché oggi dovrei scuoiarmi vivo di entusiasmo per Frosinone, per Sold out, per L’arca di Noè? Perché dovrei pensare che oggi a cantare questi giorni del cazzo debbano essere questi cantautori qui, e soprattutto perché dici esserne felice?Uno potrebbe dire, una volta c’erano i Battisti, i De Andrè, e via discorrendo, e subito si sentirebbe rispondere, “Eh, vabbeh, ma che ragionamenti sono? Ovvio che non c’è paragone”. Ecco, mi fermo. E perché non ci dovrebbe essere paragone? Perché oggi dovrei scuoiarmi vivo di entusiasmo per Frosinone, per Sold out, per L’arca di Noè?
Sono sbagliato io se ambisco a essere raccontato da musica più evoluta? Se non accetto, perché non lo accetto, che l’Alcatraz o l’Atlantico pieno per I Cani sia una buona notizia per lo stato di salute della musica indipendente, Dio salvi la musica indipendente, ma non sia esattamente una buona notizia per lo stato di salute della musica tout court, perché questa è musica sciatta, col fiato corto, post-it là dove un tempo c’erano libri di poesia con copertina in pelle?
In molti, me compreso, abbiamo gridato al miracolo per A casa tutto bene di Brunori Sas. In molti, io no, stanno gridando al miracolo per Terra de Le Luci della Centrale Elettrica di Vasco Brondi. Grazie al cazzo, in un mondo di ideine, album che quantomeno siano ambiziosi dal punto di vista del concept e della scrittura svettano come giganti, e poco importa se, in una visione più generale del mondo musicale, queste opere non andranno a occupare posizioni di rilievo anche solo tra dieci anni.
Si dice è colpa della crisi discografica. Oggi a nessuno è concesso di farsi le ossa, quindi si punta sul sicuro. Cazzo, se a puntare sul sicuro devono essere anche gli indipendenti siamo messi male, ma tanto male, invece di gridare al miracolo corriamo in piazza e facciamo seppuku come Yukio Mishima, che tutti sappiano.
Non credo di dire niente di sconvolgente se affermo che oggi non c’è in giro un nuovo Fossati, un nuovo Lucio Dalla, ma neanche un nuovo Eugenio Finardi. Per dire, Antonello Venditti ha da poco compiuto 68 anni, e se sentite certe sue canzoni scritte quando ancora portava i calzoni corti sembra molto più giovane di tutti questi giovani messi insieme.
Poi, è chiaro, sempre meglio questi artisti che il pattume che circola in quel che resta del mainstream. Ma proprio in un momento di decadenza andrebbe osato di più, andrebbe alzato il tiro, che tanto meglio di un Lele o di una Elodie anche Pinco Pallino con le mani legate dietro la schiena.
Ci stiamo accontentando di tante piccole figure di contorno, come se qualcuno fosse stato felice di vedere un Platini sostituito da un Beniamino Vignola.
Voi continuate a gridare al miracolo nei vostri locali e palasport, io sarò in piazza, il kimono aperto sul petto e la katana in mano. È arrivato il momento che il mondo sappia.