You Me Her ha reso il poliamore banale (e forse è meglio così)

Serie tv fantasy che racconta la storia di Jack ed Emma, una coppia di Portland, sposata e senza figli, che riscopre l'amore con Izzy, una escort. "You Me Her" affronta con leggerezza il tema del poliamore scardinando così la cultura dominante delle relazioni

Dallo scorso febbraio, su Netflix, è disponibile la serie You Me Her che affronta il tema del – rullo di tamburi – poliamore. Accademicamente definita “romcom”, cioè commedia romantica, in realtà You Me Her è una serie fantasy straordinaria e racconta la storia di Jack ed Emma, una coppia di circa-quarantenni, sposata e senza figli, che abita in un sobborgo di Portland infestato da famiglie con prole al seguito. Loro no, loro niente. D’altra parte per riprodursi bisogna ciulare e, diciamoci la verità, non è che i nostri eroi – che pure si amano – da questo punto di vista facciano proprio faville.

Così la trovata brillante di lui (che in realtà segue il consiglio del fratello), di chiamare una escort. Sì, insomma, per rimettere un poco di pepe nelle mutande, una specie di cura omeopatica per la libido, magari più efficace della terapia di coppia. Così Jack incontra Izzy, una studentessa che per campare fa la escort e che assomiglia alla versione acqua e sapone di Candy Candy. Tenera e fragile, Izzy suscita più istinto di protezione che depravati pensieri carnali, ma tant’è. Non a caso, esercita la nobile professione con la stessa esperienza e disinvoltura con la quale io potrei fare la sous-chef da Cracco.

Il primo incontro tra i due si consuma così, in chiacchiere (tante) e una pomiciata che manco alle feste di compleanno di 14 anni. E basta (riflettiamo, noi che la diamo via anche per una birra). Tornato a casa, Jack, tutto scombussolato da quella punta di lingua e da quello strusciamento da seconda superiore, decide di confessare il (mis)fatto alla moglie Emma (e qui sfociamo nella pura fantascienza, metteteci un’astronave, infilateci Sigourney Weaver e chiamatemi Ridley Scott, vi prego). La quale Emma (che, per inciso, è una figa spaziale col corpo di una teen-ager), invece di reagire come il 98% delle donne avrebbe fatto, inscenando uno psicodramma e mettendo a repentaglio la sopravvivenza dell’intero servizio di porcellana cinese, incassa il colpo e decide di chiamare pure lei Izzy, tanto per conoscerla.

E tu qui segui e speri che arrivi il risvolto introspettivo, quello problematico, una punta solo una punta di scorrettezza, di sporcizia, di controversia etica. Manco per la minchia. Anzi, viene fuori che Emma è bisex ma ce l’aveva tenuto nascosto (non tanto a noi che la conosciamo da 20 minuti, ma pure a suo marito) e che quindi, con Izzy, si risveglia in lei la sopita e mai estinta passione per la baggiana. Adesso ha anche lei qualcosa da confessare al marito, Jack. E in questo andirivieni di confessioni e mirabolanti trovate narrative, nessuno fa una piega su nulla. Tutto è perfettamente plausibile, incluso il fatto che Jack chiacchieri con disinvoltura con il suo vicino di casa del triangolo sentimentale, più che sessuale, così, bevendo un caffè, come commentassero, non so, il Super Bowl. Non racconto altro perché lo spoiler è nulla senza controllo, ma credo di aver inquadrato il mood.

Dallo scorso febbraio, su Netflix, è disponibile la serie You Me Her che affronta il tema del poliamore

Eppure, nonostante i suoi limiti, a You Me Her qualche merito va riconosciuto. Non tanto come serie in sé (la cui statura resta medio-bassa), ma per il tono con il quale decide di trattare un argomento, di nicchia ma attuale, ed estremamente complesso come il poliamore: un registro liscio (pure troppo), senza dramma, senza tragedia, senza giudizio morale, senza insicurezza, senza paura, senza gelosia, senza tutti gli ingredienti che fanno poi parte della vita reale di quasi tutte le coppie “classiche”. Tutti aspetti che avrebbero potuto essere affrontati più organicamente, passati sotto la lente sociologica e psicologica, ma questo ci avrebbe facilmente allontanati dalle tinte della commedia. You Me Her si limita, invece, senza imbarcarsi in imprese velleitarie, superficialmente se vogliamo, a presentarci un’alternativa possibile (possibile?), servendocela con leggerezza, stupore quasi infantile e naturalezza, scardinando la cultura dominante delle relazioni e senza perder tempo a spiegare cose che dà già per scontate: che la libido nel corso del tempo cali, che ci si possa amare anche senza sentirsi più ferocemente attratti dall’altro, che sia naturale desiderare altre persone all’infuori del ménage coniugale e che questa non sia né un’onta, né un peccato; che la monogamia è una scelta ma non una vocazione innata del nostro spirito; che i confini della propria sessualità, ed eterosessualità, non sono immobili e definitivi, per tutti.

Questa serie non pretende di convincerci fino in fondo, né vuole evangelizzarci. S’accontenta piuttosto di raccontarci che Jack ed Emma, per esempio, fanno così. E che volendo si può fare, forse non oggi, magari domani, e soprattutto che, in fondo, il collante vero di una coppia non è l’esclusiva sessuale, né la monogamia quando genera frustrazione (cioè sempre, prima o poi), neppure il possesso, né la pretesa di essere gli unici su miliardi di persone a interessare o affascinare il nostro partner per sempre; quanto piuttosto, la trasparenza, la complicità, il consenso tra le parti, la parità. E che è questo a fare di una coppia, una coppia, un’unione, una squadra, un’impresa capace di sopravvivere agli smottamenti della vita.

Va riconosciuto a You Me Her il merito per il tono con il quale tratta un argomento, di nicchia ma attuale ed estremamente complesso, come il poliamore. Questa seria non vuole convincerci fino in fondo, ma fa capire che il vero collante di una coppia è la trasparenza, la complicità, il consenso tra le parti, la parità

Restano aperte le domande che You Me Her solleva: è il caso di ripensare l’amore? Vive esso forse, oggi più che mai, una veste che non gli appartiene? Le costrizioni e i ranghi d’un tempo che è cambiato troppo in fretta e che nella sua metamorfosi ha coinvolto alcuni tra gli aspetti più intimi della nostra vita, incluso quello relazionale? È davvero così assurdo pensare di aprire la casa del Mulino Bianco? È così osceno rompere le righe della coppia monogama, intessere legami affettivi con più di una persona per volta e farlo alla luce del sole, accettare che in due non ci bastiamo e che non siamo più culturalmente tanto disposti ad accontentarci? Preferire la lealtà alla formale fedeltà? Ci risulta davvero più accettabile essere una coppia classica e rifugiarci nei flirt occulti, nelle scappatelle, nelle care vecchie corna, nel sexting, nei social network pensati per chi cerca un’avventura discreta? O magari, nel futuro, saremo tutti poliamorosi, vegani e pansessuali? Ma il libero amore non è già fallito negli anni sessanta?

E voi che siete lì a scuotere la testa, a pensare che il mondo è in malora a causa di chi promuove queste idee bifolche, che voi no, che voi mai, che era meglio quando era tutto chiaro, tutto certo, tutto indubitabile; quando avevamo i punti fermi a cui aggrapparci per sviluppare le nostre vite e tesserne le trame; quando i maschi erano maschi, e le femmine erano femmine, e le coppie erano monogame e basta, e al massimo gli uomini sai ogni tanto con quelle madame da postribolo, ma finiva lì; e che viceversa andare con un altro era tradimento, un attentato quasi, un crimine, una colpa, un vergogna, che si poteva vendicarlo con l’omicidio persino, per difendere il proprio onore; perché l’amore per essere amore, e per essere rispettabile, doveva necessariamente essere esclusivo, non c’erano dubbi. Ecco voi che pensate che fosse tutto più facile, più comprensibile, più decente, quando magari le donne coltivavano i peli sulle gambe e gli uomini non si curavano di cercare il Punto G delle consorti, quando era tutto più chiaro, ecco voi forse avete pure ragione – da un certo, semplicistico, punto di vista – ma l’intelligenza ci impone di comprendere il tempo che viviamo, che esso ci piaccia oppure no.

E You Me Her, di questo tempo, ci offre una piccola – per quanto alterata – fotografia.

Se siete curiosi, la trovate su Netflix.

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