A Torino la vita (notturna) si spegne

Chiudono Partycillina e Sacripante: il primo ha ricavato oltre 25 mila euro con le sue feste, tutto andato in beneficenza. Nel secondo si sono esibiti per primi band come Subsonica e Bluebeaters. La verità è che forse ce lo meritiamo

Ovunque ci si giri, destra o sinistra, ricchi o poveri, piemontesi o no, si sente la bella favola di Torino che recita più o meno così: c’era una volta una città industriale e grigia che negli anni è diventata un centro culturale e turistico, con tanto di fiere, concerti internazionali, mostre… Ogni tanto cambia la salsa, ma il succo è sempre lo stesso: Torino è risorta dalle ceneri della Fiat per diventare polo italiano all’avanguardia. È un’illusione. O almeno, lo è per chi non ha nulla a che fare con quello strato di cultura, fondamentale per carità, ma che non deve monopolizzare le città e che zittisce le voci fuori dal coro.

Ne è un esempio quello che sta succedendo questo weekend: Torino deve dire addio a due fette importanti di una cultura diversa, giovane, lontana dalle lobby e dagli interessi economici e vicina alle persone. Quella di Partycillina, la festa organizzata dagli studenti di Medicina il cui devoluto andava a cause filantropiche. Quella del Sacripante, lo storico locale delle Valli di Lanzo famoso per aver fatto esibire per primo band come Subsonica o Bluebeaters. In comune hanno lo stesso spirito che animava i Murazzi, per intenderci, o Balla coi Cinghiali. Che, guarda a caso, non ci sono più, non come erano genuinamente.

Non sembra niente di che? Organizzatelo voi un evento dal basso, che faccia divertire ma anche pensare e in cui i concerti si incastrino con i dibattiti. Il tutto senza guadagnarci un soldo. Non è così scontato. Non per nulla era l’unico caso in tutta Italia di “festa dove divertirsi fa bene alla salute (degli altri)”, come recitava il motto

Partycillina si ferma dopo sette anni perché i suoi fondatori sono diventati grandi e non sono più degli arzilli universitari. Il 30 aprile ci sarà l’ultimo addio, dopo i dj set del 27 e 28 all’Hiroshima Mon Amour. I numeri parlano chiaro: in 25 serate ci sono stati 22 sold out e oltre 25 mila euro di ricavato, tutto andato in beneficenza. Non sembra niente di che? Organizzatelo voi un evento dal basso, che faccia divertire ma anche pensare e in cui i concerti si incastrino con i dibattiti. Il tutto senza guadagnarci un soldo. Non è così scontato. Non per nulla era l’unico caso in tutta Italia di “festa dove divertirsi fa bene alla salute (degli altri)”, come recitava il motto.

Per il Sacripante, la situazione si fa più complicata e triste. Se per Partycillina si tratta di una decisione ponderata, per il locale di Ala di Stura si parla di una patata burocratica bollente. Il 30 aprile scadrà la concessione tra Comune e Pro Loco e i tanti lavori che la struttura necessita fanno sì che difficilmente, una volta indetto il bando, fiocchino proposte da ogni dove per prenderlo in gestione. Nulla è perduto, certo, ma non è scontato che per l’estate, momento caldo non per le temperature ma per i villeggianti presenti nella zona, le porte siano di nuovo aperte. Anche qui, ci sarà una festa d’addio il 28 e il 29 aprile, ma con ancora più amarezza. Che ne sarà delle Valli di Lanzo, che avevano nel Sacripante il caposaldo del divertimento? Se ne parlerà domenica 30, in un’assemblea pubblica che probabilmente avrà più l’aria di un funerale.

C’è da mettersi le mani nei capelli e da piangere a dirotto in posizione fetale. Ci si lamenta tanto delle zone della movida, come San Salvario, piazza Vittorio o Santa Giulia, ma la verità è che ce lo meritiamo: ci meritiamo un tipo di serata stereotipato e incentrato sul consumo economico, quando salutiamo per sempre il diverso senza nemmeno comprenderne la gravità. Non si può dire che Torino uccida la sua cultura, ma di certo che la guardi dall’alto dei Saloni e dei quartieri fighetti mentre va in coma.

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