Auguri a Gillo Dorfles, 107 anni di critica e arte

Il compleanno del grande vecchio, artista e critico d’arte, che ha attraversato, conosciuto e raccontato il novecento, e non smette di seguire i primi anni del nuovo millennio

Grande vecchio della critica d’arte, pittore e – quando capita – poeta. Gillo Dorfles è tutto questo, ma non solo. Sotto i suoi occhi è passato più di un secolo, due conflitti mondiali, la crescita e la caduta dei nazionalismi, e il sorgere delle democrazie nel mondo. Ha visto, vissuto e raccontato il sommuoversi dei movimenti artistici, incontrato tutti i più grandi (non solo dell’arte), e anche i meno grandi. Ha fondato anche un movimento, quello dell’Arte Concreta, insegnato in tre università e scritto migliaia di pagine di critica d’arte, tra libri e articoli. Ancora oggi, a 107 anni, continua a lavorare. Come ogni giorno «mi alzo, lavoro e vado a dormire».

Nato a Trieste il 12 aprile del 1910 da padre goriziano e madre genovese, per qualche anno fu «cittadino dell’impero» austro-ungarico. La famiglia riparò a Genova quando scoppiò la guerra mondiale (la prima), per tornare a Trieste negli anni successivi. Fu in quel periodo che incontrò e iniziò a frequentare personaggi come Ernesto Rogers e Bobi Bazlen, o Umberto Saba e Italo Svevo, che considerava «molto spiritoso e intelligente». A Trieste «avvenne la mia educazione vera», ebbe modo di dire in un’intervista ad Antonio Gnoli, cioè in mezzo a quegli intellettuali e a quell’atmosfera mitteleuropea. «La cultura triestina di quegli anni fu un’esperienza unica e forse irripetibile: avere ospitato Joyce per dieci anni, e che anni, quelli in cui ha composto l’Ulisse, sta a significare che quella città nascondeva qualcosa di speciale».

A Milano, invece, approdò per studiare medicina e poi specializzarsi in psichiatria («Hanno provato a utilizzare la psichiatria nella critica d’arte, ma con risultati deludenti»). Ma prevalse la sua passione, l’arte. Fare il nome delle persone conosciute e frequentate da Dorfles è impossibile: basterà ricordare i suoi incontri con Soldati e Fontana, con Montale e Gadda, con Pollini e Zanuso. E poi ancora con Bruno Munari, artista perfetto, e Monnet, con i quali fonderà il Movimento per l’arte concreta nel 1948.

A tutto questo seguì il mondo dell’insegnamento e lo studio delle correnti contemporanee dell’arte. Fu tra i primi a delineare il concetto di kitsch. Rivolse grande interesse al design, che vide nascere. Scrisse un libro sul disegno industriale. Si interessò a ogni genere di tendenza artistica (Ultime tendenze nell’arte di oggi, del 1961, è in continuo aggiornamento), senza mai trasformarsi in storico. Perché non ha buona memoria per le date, scherza. E perché preferisce il presente, meno nebuloso e più ricco.

E questo presente come è? Non buono. Come tutti i grandi vecchi, ha qualcosa da ridire sulla contemporaneità. Nel 2008, in Horror pleni. La (in)civiltà del rumore, pubblicato per Castelvecchi, dove si delinea un quadro desolato di una civiltà troppo piena di stimoli, di dati, di rumore visivo e auditivo che impedisce ogni focalizzazione e blocca la capacità di comunicare e informare davvero. Nonostante sia dalla disarmonia che nasce l’arte migliore, quella che si pone in contrapposizione con il kitsch, questa è l’epoca in cui il lavoro dell’artista è diventato più difficile. Troppo pieno di scorie. E a sensazione, oltre che per rispetto del sapere e dell’autorevolezza di Dorfles, non si può che dargli ragione.

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