«L’egemonia culturale? Macché, è una parola che i grillini nemmeno conoscono». E se la sentono, «si insospettiscono pure», il professor Aldo Giannuli, esperto di servizi segreti e complotti taglia corto. Il Sum #1, l’incontro leopoldesco di Davide Casaleggio, organizzato a Ivrea per commemorare il padre scomparso da un anno, «è un evento culturale. Non politico». Prova ne è, che tra le mille persone presenti (il tutto esaurito era stato già registrato da qualche giorno) sono disseminati deputati, senatori ed esponenti della politica a Cinque Stelle.
Fin dal mattino, sulla discesa che porta alle Officine H, quelle che una volta erano definite dai lavoratori dell’Olivetti “l’inferno” perché lì venivano fabbricati i macchinari più pesanti, «come le ribaditrici», fanno la loro sfilata, con tanto di capannello di cronisti, i big del Movimento. Tutti senza scorta, («come sempre», dicono gli attivisti), pochi controlli all’ingresso. Prima il sindaco di Roma Virginia Raggi, poi è il turno di Alessandro Di Battista, con tanto di trolley e camicia bianca, ma non renziana: questa non è una Leopolda, ribadisce ai cronisti. Lo ripeterà, in separata sede, anche a Linkiesta. «Qui circolano le idee che il movimento tradurrà in leggi». Quindi è un incontro politico? «Certo», dice contraddicendo l’ignaro Giannuli. «È un incontro di formazione politica», una sorta di scuola per la cittadinanza. E forse un anticipo delle mosse, non strategiche ma politiche, del M5S?
Non è chiaro. Sul palcoscenico della sala, di fronte a un Luigi Di Maio arrivato dal retro, e a un Beppe Grillo entrato a evento inziato (ma i due siedono vicini), si susseguono – oltre all’arrivo, con passeggino, del sindaco di Torino Chiara Appendino – da programma, le varie identità del Movimento, le sfaccettature del pensiero di Gianroberto Casaleggio.
Prima di tutto, la rete. Cioè Google, nella persona dell’ad italiano Fabio Vaccarono, che racconta il mondo dei Big Data, dell’all connected, con sconfinamenti nel risparmio energetico. Il tema del convegno è il futuro, cioè quello che – almeno per il tema tecnologico – si può già vedere, sostiene Vaccarono aiutandosi con citazioni, nelle mani di pochi: i più abbienti e più innovativi, per esempio. Da loro discenderà, nel giro di cinque anni, a metà della popolazione. E nel giro di dieci, alla totalità del mondo.
Dopo il gigante americano, si parla di salute italiana (altro tema che, almeno a occhio, sarà dominante nel futuro di un Paese che invecchia) e cioè al San Raffaele di Milano, con le parole di Nicola Bedin, che dell’ospedale milanese è managing director. Il tema spazia dalla lotta al cancro, ai nuovi impieghi delle staminali, allo sviluppo degli esoscheletri (sorta di macchinari che sosterranno i movimenti delle persone). Tutto molto poco leopoldesco, tutto molto istruttivo, tutto molto noioso.
Ma perché l’atmosfera si scaldi, cioè si cominci a parlare di politica, basta aspettare un poco: prima l’intervento di Enrico Mentana, che mena fendenti sul problema della rappresentanza, della democrazia diretta, citando l’annoso problema del referendum (allora non in rete) «tra Barabba e Gesù», con l’esito che tutti conoscono. Poi con l’intervento del procuratore Sebastiano Ardita. È «un passaggio delicato dell’incontro», dice il giornalista Gianluigi Nuzzi, nelle vesti di moderatore. Affiora il problema degli inviti rifiutati: alcuni subito, alcuni dopo un po’ di tentennamenti, come nel caso di Francesco Greco, già conteggiato nelle locandine e poi rimosso in tutta fretta. Il nodo della giustizia è, nei fatti, il centro di gravità, del Movimento, o almeno di una sua parte. Ma per oggi l’anima giustizialista si accontenta: è un giorno di celebrazioni, e c’è altro da fare. Ad esempio, ascoltare i big.
Prima tocca al sociologo Domenico De Masi, da molti considerato intellettuale di riferimento del Movimento (ma lui non ci sta, o almeno dichiara di non starci). Il futuro, per lui, non può essere solo un paradiso tecnologico. Serve la società. Perché «il comunismo ha perso», dice, «ma nemmeno il capitalismo ha vinto». Chi prenderà il potere – pardon, chi governerà il futuro dovrà occuparsi anche della redistribuzione «del lavoro, del potere, della ricchezza e del sapere». Per cui lavorare tutti, ma lavorare meno. Prima di lui aveva parlato Giampiero Lotito, di Facilitylive, che addirittura lancia una sfida alla Silicon Valley: «È un gigante stanco: quando uno comincia a mostrare i muscoli vuol dire che ha paura». E poi la palla passa a una triade inedita: Gianluigi Paragone insieme a Carlo Freccero e Marco Travaglio, e si parla di stampa. «Con Casaleggio ho sempre litigato», dice Travaglio, «sul futuro del giornalismo di carta». Che, a suo avviso, non è finito – di sicuro, non è stato ucciso dal digitale. «Quando non ci sarà più la carta stampata, le notizie chi le darà?» Non i telegiornali, sostiene. Perché «si limitano a dare notizie su cose che si sanno già». Ma per Freccero il problema è il potere, e lo ribadisce sul palco prima e poi, per chi vuole ascoltarlo, anche sotto («Sono un uomo del novecento, per me insieme alla tecnologia vengono le distopie», confida a Linkiesta tra un intervento e l’altro, che a lui sembrano «più dei pitch che altro»).
Oltre alla questione specifica, sembra di cogliere, tra mattina e pomeriggio, un ripiegamento. Dalle magnifiche sorti e progressive garantite dalla rete, dall’iperconnettività e dalla medicina di precisione, si passa a un pensiero di retroguardia, di prudenza, quasi di conservazione. Si va avanti, sì, ma con il giudizio di chi non vuole lasciare nessuno indietro (De Masi), o con la consapevolezza che certe cose, come la stampa e l’informazione, sono troppo fragili e troppo preziose. Il futuro intanto è conservativo: è legato alle rinnovabili (Greenpeace), al legno come materiale per la costruzione degli edifici anti-terremoto, alle “dorsali geopolitiche” (indicate da Paolo Magri, Ispi e Trilateral), che insieme ai nazionalismi legano nostalgie di grandezza. «L’America rimpiange gli anni ’60, la Russia la grandezza sovietica, perfino la Francia guarda al passato». E quest’Europa che «non mi piace per come ha gestito l’immigrazione e l’austerità, è però inevitabile». Tac, la piazza lì.
Il più grande problema per l’occidente, però, rivela Massimo Fini, è «la tecnologia», quasi alla conclusione della kermesse. E Vaccarono, Google, le nuove soluzioni per la salute, sbiadiscono nelle memorie dei (sempre meno numerosi) astanti. «Ha vinto la linea giudaico-cristiana, ma la cultura greca, più saggia, aveva il senso del limite». Più si va avanti nel futuro, più si arretra. La soluzione? Smettere di parlare di crescita: «È criminale». E piovono gli applausi, degli stessi di prima. Perché «il futuro non è davanti, è dietro di noi», conclude.
Insomma, se questo è il ricettacolo delle idee che i Cinque Stelle tradurranno in legge, come aveva detto Di Battista, la domanda si pone: quali di queste prenderanno? Quelle iper-tecnologiche del mattino o quelle reazionarie del pomeriggio? Vincerà l’ottimismo o la prudenza? Un mistero: nemmeno il saluto finale di Davide Casaleggio lo risolve. Si limita a ringraziare e invita a partecipare con idee e donazioni. Perché stringi stringi, dopo tutte le disquisizioni, i capelli spezzati in quattro, le idee e le ideologie, senza i soldi non c’è futuro che vada lontano.