Perché alcuni stati della penisola arabica, Regno Saudita e Qatar soprattutto, supportano i politici occidentali globalisti?
Bene inteso, ognuno è libero di finanziare chi vuole se fatto legalmente.
Partiamo da alcune precisazioni.
Cosa sia il globalismo e le sue applicazioni pratiche è cosa ben nota.
Il concetto globalista è un’evoluzione di un approccio economico liberista. I maggiori esponenti sono i Chicago Boys e Friedman.
Le visioni sovranista e globalista si fronteggiano ogni giorno, sia in ambito di elezioni politiche che di politiche economiche. Un recente talk di Ted, per quanto non omnicomprensivo, offre un iniziale spunto di riflessione.
Un approccio globalista implica una visione di un mondo senza barriere, (leggasi stati, dogane, confini territoriali) legali e/o finanziarie, che possano in alcun modo alterare l’economia: protezionismo, dumping commerciale, dazi etc..
Implica, per estensione, la possibilità che un’azienda decida di spostare la sua produzione da una nazione dove il costo del lavoro è alto (poniamo una nazione europea o gli Stati Uniti) ad una dove il costo del lavoro, e (eventualmente) le leggi sul lavoro siano più adatte a diminuire i costi per ora lavoro a vantaggio del margine. Sia che si parli di Cina, India, Africa, ognuno di questi territori ha visto negli ultimi decenni una crescita di Sweatshop (modo inglese per dire centri di sfruttamento della produzione).
In questo scenario si può posizionare una crescente presenza di stati della penisola arabica (mussulmani in larga parte di orientamento wahabita, una sorta di islam ortodosso) che hanno un’agenda di politica estera fortemente attiva negli investimenti e nella politica delle nazioni occidentali
In questa visione globalista anche l’energia deve fluire, e le nazioni devono diversificare i loro investimenti energetici (in pratica dove comprano Gas, Petrolio e Carbone, se parliamo di carburanti fossili). Un mondo di nazioni fortemente sovraniste potrebbe portare ad un irrigidimento del mercato dell’energia. Immaginiamo se un singolo stato (poniamo gli Stati Uniti) decidessero di investire sulla produzione energetica interna invece che comprare Gas e Petrolio da nazioni che ne sono grandi produttori (esempio i paesi medio orientali).
In questo scenario si può posizionare una crescente presenza di stati della penisola arabica (mussulmani in larga parte di orientamento wahabita, una sorta di islam ortodosso) che hanno un’agenda di politica estera fortemente attiva negli investimenti e nella politica delle nazioni occidentali.
Facciamo alcune considerazioni. Durante le ultime elezioni americane al repubblicano sovranista Trump si contrapponeva la democratica (da noi diremmo di sinistra) globalista Clinton.
L’agenda industriale economica di Trump era tutta focalizzata (come dimostrano le azioni che ha intrapreso da quando è stato eletto) su ridare spazio all’occupazione americana, reshoring di aziende, tassazione per importazioni dall’estero e, non ultimo (come dimostrano le sue uscite sul Carbone e la valorizzazione dei giacimenti fossili nazionali) una politica energetica nazionale.
La agenda di Clinton aveva invece molta enfasi su accordi internazionali (che possono essere, direttamente o indirettamente, forieri di offshore e perdita di occupazione su suolo americano), accordi energetici con fornitori stranieri etc.
Non sorprende quindi notare che le nazioni della penisola araba con una forte presenza nel mercato energetico (praticamente la loro unica fonte di reddito di una certa importanza), come Qatar e Regno Saudita, fossero importanti finanziatori della fondazione Clinton. L’inglese Indipendent riporta in tal senso un’analisi molto dettagliata.
Si può ipotizzare che dei politici occidentali con una agenda globalista possano essere i migliori interlocutori degli interessi arabi sunniti della penisola arabica?
Analizziamo un globalista ora decaduto. Sarkozy al netto del suo partito, era decisamente un globalista. Tralasciando le sue scelte in politica estera militare, il suo interesse per espandere l’agenda globale era manifesto.
Il caso vuole che, durante il suo periodo di “non politica attiva”, il Nicola nazionale si sia dato un gran da fare per supportare le attività di un paese arabo mussulmano sunnita: il Qatar.
Questo piccolo stato ha un agenda di pubbliche relazioni e national branding (promozione del “marchio nazionale” ai vecchi tempi si sarebbe detto politica e propaganda) davvero rimarchevole.
Durante la relazione con Sarkozy questo stato aveva pesantemente manifestato il suo interesse nel mondo del calcio (culminato tra l’altro con le democratiche votazioni del Qatar come ospite per Fifa2022). Votazioni che, per ammissione dello stesso Platini (sul Times e sul Guardian), avevano avuto una forte connotazione politica e lobbystica, anche da parte di Sarkozy.
Tutto per il calcio? Si e no. Perché i diritti di trasmissione dei campionati Fifa sono stati assegnati (ovviamente in massima trasparenza) alla emittente televisiva qatarina Al Jazeera.
Quando erano i Fratelli Mussulmani al governo Al Jazeera era molto positiva, una volta caduti la stessa emittente divenne estremamente critica. Tanto fece che il nuovo governo emise un mandato di cattura contro giornalisti di Al Jazeera con l’accusa di aver turbato e mosso accuse infondate contro il governo (governo inviso al Qatar)
Si dirà una emittente privata indipendente. Non proprio. Una presenza mediatica ampliamente spinta nella sua crescita dal governo del Qatar che, a quanto appare dai fatti di Siria e Egitto, ha trovato molto vantaggioso che i giornalisti (indipendenti) di Al Jazeera riportassero informazioni molto equilibrate. Tanto equilibrate da spingere, come riporta la Rt russa, i giornalisti della redazione libanese di Al JAzeera a dimettersi perché l’emittente per cui lavoravano filtrava (meglio dire censurava) le informazioni: quelle pro ribelli (tra qui nelle file ci sono anche Isis e Al Qaeda) erano accettate e diffuse, quelle Pro Assad (inviso al Qatar) erano censurate o minimizzate.
Un accusa del genere venne mossa anche dal governo egiziano che era succeduto a quello dei Fratelli Mussulmani (organizzazione sponsorizzata dal Qatar con sospetti legami con il terrorismo). Quando erano i Fratelli Mussulmani al governo Al Jazeera era molto positiva, una volta caduti la stessa emittente divenne estremamente critica. Tanto fece che il nuovo governo emise un mandato di cattura contro giornalisti di Al Jazeera con l’accusa di aver turbato e mosso accuse infondate contro il governo (governo inviso al Qatar). Ovviamente questi giornalisti di Al JAzeera sono stati supportati dall’emittente che li difende a spada tratta.
Una tv, quindi, non proprio neutrale quando si tratta di supportare l’agenda politica del Qatar all’estero.
Tornando in Francia gli interessi del Qatar globalista, da chi potrebbero essere incarnati?
Difficile pensare che la Le Pen possa essere un alleata del Qatar. Già alcuni anni prima Le Pen si era lanciata in un’invettiva contro il Qatar che, tramite una delle sue fondazioni, voleva finanziare le banlieue parigine (per migliorare le condizioni di vita dei locali, in buona maggioranza di origine nord africane, islamici sunniti). Progetto poi in fine modificato, sotto il governo di sinistra di Hollande, per coprire un’area geografica di maggior interesse per la comunità francese.
Resta quindi un solo candidato che ha una visione globalista su cui scommettere. Macron.
Al Jazeera sembra già schierata. Dove si etichetta allegramente Le Pen di essere populista (un accezione di norma negativa, prologo di nazional socialista, con tutti i significati storici politici che questi concetti portano con se), Macron viene descritto come indipendente, progressista e pro business (si dovrebbe discutere business di chi).
E Macron in questi mesi ha dato sfoggio di un interesse, quanto meno particolare, per gli interessi del Qatar. Nulla che si possa paragonare alla relazione Sarkozy-Qatar (forse fin troppo esagerata), diciamo un approccio più politically correct. Un Macron pro-business (come sottolinea Al JAzeera) che ha siglato un accordo, in qualità di ministro dell’economia, tra il Qatar e la Francia per creare un fondo comune di investimenti. Qadran. Uno strumento che permetterà una maggiore interazione tra le due nazioni.
Da notare che nella lista dei membri appaiono, oltre allo stato del Qatar, numerosi “gioielli” dell’industria francese che, in un modo o in un altro, hanno ottimi legami con il governo francese.
Un governo francese che, se cadesse nelle mani di una sovranista come Le Pen, potrebbe avere meno interesse a supportare questi “gioielli” e le loro relazioni con il Qatar.
Le Pen odia i mussulmani? Non proprio, la stessa candidata ha ammesso di aver cercato contatti con gli Emirati Arabi e l’Egitto (quello attuale, non quello dei Fratelli Mussulmani), entrambi gli stati non sono legati a scandali stile Isis e Al Qaeda.
Un atteggiamento, il suo, che la sdogana nel mondo mussulmano moderato, ma che rimarca l’attenzione della Le Pen per fondi e supporto da nazioni che non hanno nessun tipo di legame con il mondo del terrorismo (si ricordi che dall’Arabia saudita proveniva Bin Laden, e che il Qatar è stato più volte, anche dai media italiani, indicato come sponsor dei terroristi dell’Isis).
L’interesse del Qatar per le opere di beneficienza si dimostra ancora più manifesto: Ravenna, Catania, Piacenza, Vicenza, Milano. Sono tutte città dove lo stato arabo, tramite la Qatar Charity foundation, ha creato moschee. Casualmente sono tutte città dove la giunta è Pd globalista
Veniamo ora all’Italia.
Anche da noi la partita sovranisti (la Lega, di tutte le realtà, è forse il partito più indicativo su questa posizione) e i globalisti (dove il Pd spicca come leader incontrastato) è calda.
Il Qatar ha investimenti e interessi anche in Italia. Non esiste tuttavia una base popolare, paragonabile, quanto meno, alle banlieue parigine, su cui il Qatar possa in qualche modo avere influenza. Al Jazeera non è un emittente presente nel palinsesto tv (certo si può vederla in streaming in rete senza problemi). Resta quindi da comprendere se vi sia una correlazione tra gli interessi del Qatar e il partito globalista.
Gli interessi qatarini possono esser suddivisi in due gruppi. Quello prettamente business oriented (avere posizioni di rilievo in aziende italiane) e di “beneficienza” supportando, per esempio, la popolazione mussulmana con donazioni per la costruzione di moschee (si direbbe futuri elettori, nel caso il Pd riuscisse a far passare una legge che possa agevolare la loro integrazione anche elettorale).
Partendo da Milano ci sono alcune curiose coincidenze. Il Qatar ha dimostrato un forte interesse (che si è tradotto nel totale acquisto) delle proprietà immobiliari di Porta Nuova che oggi ospitano, tra l’altro, la sede centrale di Unicredit (banca italiana partecipata dal Qatar). Tutta l’operazione di investimento ha avuto inizio (2013) e si è conclusa sotto gli auspici di sindaci del Pd.
L’interesse del Qatar per le opere di beneficienza si dimostra ancora più manifesto: Ravenna, Catania, Piacenza, Vicenza, Milano. Sono tutte città dove lo stato arabo, tramite la Qatar Charity foundation, ha creato moschee. Casualmente sono tutte città dove la giunta è Pd globalista.
Anche Bergamo, che ha un sindaco del Pd, ha visto la presenza del Qatar. Qui tuttavia, come riporta il Bergamo Post ci sono stati alcuni problemi: appropriazione di fondi, danni legati all’utilizzo dei fondi stessi.
Ultimo ma non per questo meno importante, gli interessi del Qatar per Firenze. Fallito l’assalto alla decrepita Banca Monte dei Paschi (spesso descritta come una rocca forte del Pd) ora si punta a investire, come riporta il Giornale, fino a 30 milioni per una moschea. Caso vuole che anche qui vi sia un sindaco globalista del Pd.
Sul tema Pd, globalisti e islamici ho pensato di chiedere un’opinione al deputato Guglielmo Picchi. Membro dell’assemblea parlamentare dell’Osce, esperto di politica internazionale, ha viaggiato in molti stati islamici moderati e atteso differenti votazioni (al fine di assicurare la trasparenza nello spoglio dei voti).
“Già nel 2015 Salvini si esprimeva contro il terrorismo, e le nazioni, quali Arabia Saudita e Qatar, che finanziano l’isis (come riporta Rainews ). Trovo molto preoccupante che nazioni islamiche di questo tipo possano avere una così vasta attività di finanziamenti nelle elezioni di candidati “amici”. Trovo ancora più preoccupante che tutti questi candidati abbiano un’agenda cosi apertamente globalista, che mira a sradicare il concetto stesso di sovranità, protezione dei settori economici strategici e delle economie locali”. Spiega Picchi.
“Sul fronte italiano posso assicurare che la Lega non ha mai avuto relazioni con Qatar e Arabia saudita né con entità o organizzazioni a loro associate o che collaborano con questi stati.
Per evitare commistioni strane, noi vorremmo introdurre una legge che non permetta ai luoghi di culto di essere finanziati direttamente o indirettamente da stati esteri. Salvo, si intende, i patti lateranensi.
Ammetto che mi preoccupa molto che un partito come il Pd abbia queste correlazioni con uno stato come il Qatar. Sapere che a Firenze, la mia città natale, il Qatar era pronto a mettere le mani su una delle banche storiche, ridotta così dalle scelte scellerate del Pd, e ora sia pronto a investire in una dimora storica mi lascia pensare che tra Pd e Qatar vi sia un rapporto più che causale.
Dopo tutto la lista di città dove il Qatar è intervenuto per far business o proselitismo sono gestite da giunte globaliste del Pd”.
Una cosa è certa. I sovranisti: Trump, Le Pen e Salvini, non sono sulla lista degli amici del Qatar.