Ecco perché ai Cinque Stelle conviene perdere le elezioni amministrative

In questa fase la partita per le comunali non è quella decisiva. Il M5S non ha fretta: si sta riorganizzando, e il suo primo obiettivo sono le elezioni politiche, mentre spesso arrivare al governo delle città risulta un intralcio

Ma siamo davvero sicuri che il M5S abbia voglia di prendersi Genova, o Palermo, o Piacenza, o Lucca, o qualunque altro capoluogo in gioco nella tornata del prossimo 11 giugno? Fino ad ora la conquista dei municipi è servita ad accreditare il Movimento come possibile forza di governo, ma è stata anche una fonte infinita di guai e di immensi rischi per la classe dirigente Cinque Stelle.
Con la complicatissima partita romana, e con le elezioni politiche alle porte, quel tipo di gioco – che richiedeva un’ansiogena rincorsa di ogni appuntamento elettorale anche minore – sta già cambiando. I vertici del Movimento sono usciti dall’alone sulfureo della demonizzazione e sono entrati nel salotto buono dei media. Si fa scouting tra professori, magistrati, economisti per delineare una possibile e futura squadra di governo. Si gioca al tavolo della riforma elettorale, con abilità democristiana, per ottenere una conferma del Consultellum senza darlo a vedere. Ed è immaginabile che nessuno abbia voglia di rischiare un altro caso Pizzarotti, o Nogarin, o Raggi sull’ultimo miglio della madre di tutte le battaglie, le Politiche appunto.

Il pasticcio genovese, col suo codazzo di ricorsi e le probabili conclusioni dell’affaire – niente simbolo M5S in campo – al di là dei dettagli piuttosto surreali conferma la distanza politica tra la folkloristica base grillina e la sua “testa”. Nella stessa giornata, da una parte gli attivisti che si sbattono in punta di diritto spaccando i Non-Statuti in quattro, dall’altra Beppe Grillo, Davide Casaleggio e il loro ristrettissimo entourage che a Ivrea stendono il tappeto rosso ai vecchi nemici della kasta, giornalisti e imprenditori e funzionari dello Stato, inaugurando la Fase Due del Movimento, quella della legittimazione. In questa fase non solo non servono le beghe di quartiere, ma non fa comodo neppure ricordare la natura litigiosa dei quadri intermedi e la loro predisposizione allo scontro interno, che spesso ha messo in fuga gli “esterni” selezionati per funzioni di governo e ha aumentato i sospetti sull’inadeguatezza grillina nel passare dalla protesta alla gestione delle istituzioni.

Tutti gli osservatori al convegno di Ivrea concordano su un fatto. Il Movimento non sembra avere fretta. La sua “distanza” è quella del 2018, vede male anche un possibile anticipo delle urne, con la consapevolezza che il tempo gioca a suo favore perchè enfatizzerà le fratture all’interno dei competitori di destra e di sinistra

Tutti gli osservatori al convegno di Ivrea concordano su un fatto. Il Movimento non sembra avere fretta. La sua “distanza” è quella del 2018, vede male anche un possibile anticipo delle urne, con la consapevolezza che il tempo gioca a suo favore perchè enfatizzerà le fratture all’interno dei competitori di destra e di sinistra. Le Comunali di giugno sembrano più un fastidio che altro. Il voto grillino è soprattutto voto d’opinione – rifiuto, rabbia, vendetta contro questo o quello, ingenua fiducia nella palingenesi della rete – e quell’opinione va tenuta fissa sui disastri degli “altri” più che sui propri successi. Esattamente come accade in tutto il resto d’Europa, dove i cosiddetti populismi non hanno mai puntato sul territorio: il Fn in Francia governa poco più di dieci municipi; l’Ukip, che pure ha determinato la Brexit, non ne ha mai gestito neppure uno; in Spagna Podemos è andata meglio, ha preso sei sindaci “importanti” tra cui quelli di Barcellona e Madrid, ma proprio lì alle ultime politiche ha visto un crollo verticale dei consensi, il 20 per cento delle sue perdite totali.

Tutto fa pensare, insomma, che il M5S non voglia morire per Genova, così come non sarebbe morto per Roma (mai dimenticare Gianna Taverna e quella frase sul “complotto per farci vincere”) e che lasci senza imbarazzi al Pd e al Centrodestra l’onere di affannarsi per prevalere in questa tornata amministrativa.
In fondo, sono i “vecchi” partiti a dover dimostrare di essere ancora vivi, di avere ancora chances, di poter garantire ancora poltrone e ruoli agli apparati, mentre i grillini dall’alto di sondaggi nazionali sempre più rotondi possono limitarsi a gestire l’occasione come un girone di amichevoli, aspettando che si apra il campionato vero.

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