Il grillo parlanteIl protezionismo di Trump? È un’opportunità per l’Europa

Paradossi dell’economia: ecco perché ad essere rafforzata dalla guerra di Donald contro il resto del mondo è l’idea stessa di Unione Europea che trova nel mercato unico la sua integrazione più compiuta

In un mondo dinamico – molto più dinamico di quanto che può immaginare chi ritiene che i sistemi economici siano a “somma zero” – ad un’azione corrisponde, quasi sempre, una reazione uguale e contraria che può capovolgere l’esito finale.
Donald Trump rischia, ad esempio, di diventare paradossalmente la migliore opportunità che l’Europa ha di rilanciare se stessa. E la sua guerra commerciale può ribaltare la posizione di chi, fino a qualche mese fa, era assai scettico sull’idea che è alla base degli accordi commerciali che hanno istituzionalizzato la globalizzazione e che sono falliti uno dietro l’altro ben prima che Trump arrivasse alla Casa Bianca.

Sono stati, infatti, gli Europei, più degli Americani ad aver affondato, lo scorso anno, il TTIP (Transatlantic Trade investments Partnership) che avrebbe dovuto creare un’unica, enorme area di libero scambio tra Stati Uniti ed Unione Europea: a bocciare definitivamente l’accordo – diventato uno dei principali obiettivi del secondo mandato del Presidente Obama – furono il Presidente francese Hollande e il Vice Cancelliere tedesco Sigmar Gabriel, accodandosi, di fatto, alla protesta popolare di partiti di estrema sinistra, estrema destra ed ambientalisti.

Sono oggi, al contrario, i tedeschi – con la Cancelliera Merkel – a minacciare gli americani di denunce al Organizzazione del Commercio Mondiale se insistessero a voler applicare dazi sulle automobili; ed è il probabile futuro Presidente francese, Emmanuel Macron, a ricordare che, anzi, la globalizzazione può avere il valore morale di emancipare chi ha solo il suo lavoro. Sono le opinioni pubbliche ad indignarsi per i propositi neo isolazionisti di Trump; le stesse che, in maggioranza, si dicevano contrarie al TTIP.

Insomma, se l’Atlantico che doveva diventare più stretto con il TTIP, diventa molto più largo con i dazi minacciati dagli Stati Uniti sulla Vespa e sulle BMW, l’Europa lancia una controffensiva cercando partner altrove e con convinzione ritrovata

Una conversione radicale che non nasconde contraddizioni profonde e che, però, porta, oggi, l’Europa ad avvicinare il Giappone – orfano del fallimento dell’altro grande accordo commerciale che avrebbe dovuto assicurare la libera circolazione delle merci tra gli Stati Uniti e le maggiori economie del Pacifico; ad avviare negoziati con il Mercosur che unisce l’America del Sud; ma cercare il Messico che ha la prospettiva di rimanere senza il libero mercato del Nord America, diventato bersaglio preferito di Trump. Mentre l’accordo tra Canada e Unione Europea (il Comprehensive Economic Trade Agreement) è stato ratificato dal Parlemento Europeo un mese fa, dopo l’incidente che lo ha bloccato a Ottobre per l’opposizione del governo regionale della Vallonia in Belgio.

Insomma, se l’Atlantico che doveva diventare più stretto con il TTIP, diventa molto più largo con i dazi minacciati dagli Stati Uniti sulla Vespa e sulle BMW, l’Europa lancia una controffensiva cercando partner altrove e con convinzione ritrovata. Del resto, è probabile che lo scetticismo che i consumatori europei hanno nei confronti dello strapotere delle multinazionali americane – quelle dei famigerati Organismi Geneticamente Modificati e dei film che tanto spaventano i francesi quali veicolo di egemonia culturale a stelle e strisce – si riduca molto quando il confronto diventa più da pari nel trattare con i Giapponesi o i Canadesi. Ma ad essere paradossalmente rafforzata dalla guerra di Donald è, anche e soprattutto, l’idea stessa di Unione Europea che, del resto, trova nel mercato unico – un’area di libero scambio con un’unica politica tariffaria nei confronti del resto del mondo – la sua integrazione più compiuta.

Anche se nei servizi, nelle professioni e negli appalti rimangono barriere, la circolazione delle merci è in Europa, da tempo, davvero libera, più che in altre regioni del mondo che hanno costruito zone di scambio senza tariffe; laddove in questa area il trasferimento di sovranità alle istituzioni comunitarie (la Direzione Generale per il commercio) è completa, mentre in altre politiche continua ad essere parziale. Una risposta all’istituzione di dazi nei confronti delle merci europee, non può, infatti, che tecnicamente venire dalla Commissione e non dai singoli Stati. E, quindi, un’eventuale guerra rafforzerebbe il ruolo dell’Unione, la sua visibilità, offrendogli, finalmente, la possibilità di raggiungere risultati in tempi brevi e condivisi dalla maggioranza dei cittadini europei.

Anche se nei servizi, nelle professioni e negli appalti rimangono barriere, la circolazione delle merci è in Europa, da tempo, davvero libera, più che in altre regioni del mondo che hanno costruito zone di scambio senza tariffe

Ma la guerra nasconde, come qualsiasi conflitto, trappole mortali. L’Europa rischierebbe di perderla se si mettesse a rispondere alle provocazioni con le provocazioni. Come non pochi vorrebbero. Se diventasse questa un’occasione di rivincita contro gli americani. E visto che ci troviamo contro gli inglesi. Se non ne approfittassimo per riconoscere i meriti importanti del libero scambio, ma anche i limiti di un approccio all’accordo commerciale che l’esperienza TTIP evidenzia. Ci sono pezzi di economia globale – a partire dalle piattaforme digitali sulle quali si muovono quote crescenti degli scambi e delle idee – che sono fuori persino dalla riflessione dei governi. Ed altri che muoiono di regolamenti minuziosi che aggiungono solo costi.

Donald Trump può essere, paradossalmente, l’occasione per riscoprire il valore di ciò che davamo per scontato. Ha l’effetto benefico di ricordare che neppure il libero scambio è un processo irreversibile. Esso, come la democrazia o la libertà di movimento, può essere fermato se un sufficiente numero di elettori percepiscono che non è più controllato e sta avvantaggiando solo pochi. L’occasione è per ricominciare dall’idea di società aperta, ma riflettendo sugli errori che hanno prodotto l’illusione di poter chiudersi.