Gabriele Del Grande è libero ed è un sollievo perché, nonostante in molti se ne siano accorti solo ora, Gabriele è una voce libera, indipendente ed è stato tra i primi in Italia a contare i morti del Mediterraneo, a comprendere come il nostro mare sarebbe diventato il cimitero liquido della più soffocante tragedia migratoria di quest’epoca. Gabriele Del Grande è libero ed è una buona notizia perché le grinfie del sultanato turco hanno dovuto prendere atto, almeno per ora, che il diritto internazionale vale anche nel regno di Erdogan, almeno in certi casi. Gabriele è libero anche grazie alla compatta sollevazione popolare di un Paese che fortunatamente ancora si ricompatta (a parte i pochi soliti idioti) intorno alle storie che gocciolano prepotenze, contro la tirannia di chi vorrebbe legittimare la prepotenza; e anche questa è una bella notizia.
Il ritorno di Del Grande in Italia però è solo un particolare riuscito di un quadro generale che rimane gravemente irrisolto: la purga di Erdogan comprende ad oggi decine di migliaia di feriti (130.000 secondo le fonti internazionali), 98542 detenuti, 49524 persone arrestate, più di 2000 scuole (e università) chiuse, più di 7000 accademici e insegnanti licenziati con l’accusa di azioni antigovernative e più di 4000 giudici e magistrati nella stessa situazione, 150 media spenti tra giornali e televisioni oltre a 231 giornalisti arrestati. In mezzo alla melma di questi numeri Gabriele Del Grande è una briciola (luminosa, sia chiaro) di un soluzione ben lontana.
Se fossimo capaci di distaccarci dal provincialismo melenso di chi vorrebbe vedere nel rilascio di Del Grande un trionfo della nostra diplomazia (ministro Alfano in testa) forse ci renderemmo conto chiaramente di come una vicenda privata che riguarda noi italiani non possa essere strumentalizzata per convincerci a smettere di chiedere a gran voce che la politica internazionale (e quella italiana in testa) sia capace di essere autorevole anche contro la sbilenca e antidemocratica autorità di Erdogan e i suoi compari. Quanti Gabriele Del Grande ci sono oggi nelle celle turche mentre da noi le campane suonano a festa? Molti, moltissimi, rinchiusi in cella senza la possibilità di una giusta difesa, accusati per le loro posizioni politiche oppure per un sospetto mai riscontrato e che scontano il fatto di non riuscire a rendere popolare la propria ingiusta detenzione. Oggi la Turchia è un Paese abitato da migliaia di Gabriele che non meritano nemmeno un editoriale, un coro di indignazione o un trafiletto di giornale.
Il ritorno di Del Grande in Italia però è solo un particolare riuscito di un quadro generale che rimane gravemente irrisolto: la purga di Erdogan comprende ad oggi decine di migliaia di feriti, 98542 detenuti, 49524 persone arrestate, più di 2000 scuole (e università) chiuse, più di 7000 accademici e insegnanti licenziati con l’accusa di azioni antigovernative e più di 4000 giudici e magistrati nella stessa situazione
Quindi è libero Del Grande? No, davvero. No. Abbiamo sciolto i nodi che ne impedivano il ritorno a casa ma ci troviamo di fronte ancora tutta la matassa. Il cappio turco che pesa sull’Europa (distratta per convenienza) è ancora ben saldo e forse Erdogan sa bene che il rilascio del nostro connazionale potrebbe essere un buon viatico per abbassare i toni, per ammorbidire la voglia di curiosare e quindi per continuare ad agire indisturbato.
Liberare Del Grande, dico liberarlo davvero, significherebbe piuttosto indagare sulla potenza del suo messaggio da giornalista e documentarista; sarebbe da aprire un dibattito pubblico (e sincero) sul perché il suo lavoro (che in Italia ha avuto bisogno di un pruriginoso sequestro per meritarsi una prima serata) disturbi così tanto la Turchia; dovremmo limitare lo spazio dei nostri articoli sul voyeurismo degli affetti e sui particolari personali per tenere lo sguardo largo su un’Europa che marcisce sul lato turco; dovremmo interrogarci su come sia stato possibile che la stessa Turchia che ci ha strappato per giorni un nostro giornalista possa essere la delegata di un’emergenza umanitaria che richiede regole certe, etica certificata e comprovata umanità.
Godiamoci il ritorno, fotografiamo gli abbracci e poi torniamo, per favore, a occuparci della politica: Alfano, Gentiloni e gli altri Stati europei non hanno la responsabilità di mediare le liberazioni ma piuttosto dovrebbero disegnare un’Europa credibile e giusta. Il nostro governo non si salva con un tweet (e nemmeno l’Europa): finché Del Grande (e quelli come lui) non saranno liberi di raccontare non saranno mai liberi davvero. E nemmeno noi.