Animalismi, nonviolenze, veganesimi e pacifismi di ritorno. Questi e altri movimenti hanno animato il panorama sociale, politico e culturale italiano degli ultimi vent’anni.
Marco Pannella – famoso per i suoi radicali digiuni politici – si atutodefiniva “non violento e gandhiano”; il Movimento 5 Stelle si erge a paladino di alimentazione e medicina “naturale”; mentre Michela Brambilla è riuscita a inculcare il credo animalista anche nell’animo più viveur: quello di Silvio Berlusconi – assurto ormai ameme e icona pop, abbracciato al tenero agnellino di nazaretana memoria.
Che questi atteggiamenti siano frutto di convinzioni profonde ovvero di machiavellici stratagemmi, poco ci importa. Quel che conta è che tutti hanno in comune un riferimento troppe volte dimenticato: il “tolstoismo”.
È un’ideologia che si ispira all’interpretazione di Tolstoj del “Discorso della montagna” e che può essere definita un’olla podrida di pacifismo, tolleranza religiosa, nonviolenza, vegetarianesimo e animalismo. Tutti elementi che caratterizzano il costume contemporaneo del Belpaese
Il tolstoismo è una corrente di pensiero nata alla fine dell’Ottocento e figlia degli insegnamenti etici, sociali, politici e religiosi del romanziere russo Lev Tolstoj. È un’ideologia che si ispira all’interpretazione di Tolstoj del “Discorso della montagna” e che può essere definita un’olla podrida di pacifismo, tolleranza religiosa, nonviolenza, vegetarianesimo e animalismo. Tutti elementi che caratterizzano il costume contemporaneo del Belpaese.
E non è un caso che questa “filosofia” si riverberi hic et nunc, a più di un secolo dalla sua scaturigine, in un quadro geopolitico mondiale analogo: conflitti nella sfera orientale del globo, incipienti nazionalismi occidentali, ma anche un’idea di Europa unita che nasce nel cuore di molti intellettuali.
In tale confusione – oggi come allora – alcuni personaggi pubblici hanno percepito questo sentimento popolare e hanno cominciato ad abbracciare (in)volontariamente le teorie tolstoiane. Ferrei veganesimi, nel rispetto di ogni forma di vita; pacifismi onesti – e storicamente italici – per non pestare i piedi a nessuno; animalismi più o meno convinti. Con lo scopo, spesso malcelato, di ingraziarsi il voto e il plauso di una vox populi tolstoiana sempre più forte.
Sembra che Tolstoj stia subendo lo stesso mesto destino di Arthur Schopenhauer, ormai oggetto di culto di molti parvenu… Le sue pagine migliori e più sagge – quelle di “Guerra e pace” e “Anna Karenina” – rimangono patrimonio della solita élite abbandonata all’otium intellettuale; mentre la sua Weltanschauung è divenuta il carburante (incoscio?) di un esercito di partigiani e politici che guidano il cammino socioculturale di un’Italia inconsapevolmente “tolstoiana”.