Il futuro è dei vecchi: nel 2050 in Italia ci saranno venti milioni di ultra-sessantacinquenni, nel resto d’Europa non andrà molto diversamente e in Giappone, entro il 2060, il 40% della popolazione sarà rappresentato da quasi settantenni, uno su cinque dei quali affetto da demenza senile. Alla luce di questo, possiamo forse tentare di rintracciare, nel chiacchiericcio elucubrato su Brigitte Trogneux, moglie di Emmanuel Macron, parecchio più grande di lui, tanto il desiderio di accettare che l’anzianità è ormai gentrificata, quanto il bisogno di rifiutarlo. E’ un bisogno comprensibile. La vecchiaia è la fase della vita più strettamente imparentata con la morte: esorcizzarla, seppure con scandalismo cretino (caso Trogneux-Macron, né primo né ultimo), è un modo di rimuovere la nostra natura di esseri-per-la-morte e sublimarne l’angoscia conseguente.
Il 23 aprile, il primo turno delle elezioni presidenziali francesi ha decretato i duellanti che, a maggio, si contenderanno l’Eliseo: Macron, in vantaggio, e Marine Le Pen. Il 24 aprile, i giornali italiani e l’opinione pubblica discutevano accesamente della distanza di età tra il candidato progressista e sua moglie, quasi più di un voto che potrebbe cambiare le sorti dell’Europa: un altro bistrattato segnale di vitalità della politica (davvero ci meraviglia se la storia d’amore del candidato alla presidenza francese appassiona molto di più dei vaticini sulla Frexit, delle ennesime constatazioni del decesso di destra e sinistra, della sempreverde riproduzione dello schema di rivolta contro l’establishment? Forse dovrebbe meravigliarci il contrario: quando la vita privata dei nostri governanti cesserà di accendere il nostro interesse, vorrà dire che avrà smesso di essere il laboratorio del senso comune e del progresso civico e familiare e che la politica sarà realmente diventata irrilevante). Il matrimonio di Macron e Brigitte Trogneaux ha fatto discutere non solo perché tra i due ci sono ventiquattro anni di differenza (esattamente come tra Donald e Melania Trump, con la sola differenza che tra loro è il maschio a essere il più vecchio), ma pure perché lei è stata l’insegnante di lui. “Chi è Brigitte – al corso di teatro del liceo lui faceva lo spaventapasseri, lei già lo guidava. Madame Macron ha trasformato Emmanuel”, ha titolato il Corriere della Sera. Dei maschi si può dire che sono grassi, nani, burattini e puttanieri raccogliendo il plauso della disobbedienza civile o il suo totale disinteresse. Ma non è questo il punto. C’è anche qui un esorcismo bipartisan tutto contemporaneo: scorporare il maschio, mostrandolo come il burattino di una donna, così ottemperando alla linea della quota rosa perpetua e rimuovere la compagna, sostituendola con una complice fredda e astuta, coerentemente alla sceneggiatura di “House of cards”, che da serie tv abbiamo trasformato in documentario sulla realpolitik.
“Nel 2022, il suo problema sarà la mia faccia” avrebbe detto Brigitte a un comune amico della coppia, che ha subito riferito ai giornalisti, i quali così hanno deciso di raccontare al popolo francese che se si trovano candidato questo giovanotto capace, per carità, ma gerontofilo e con il vizio dell’establishment, è colpa di una signora agè
La Francia ha cominciato a impegnarsi nel ritratto della sua signora Underwood, tuttavia, solo dopo che il matrimonio su cui aveva deciso di puntare l’attenzione, quello di Francois Fillon, candidato conservatore sposato con una rassicurante signora invisibile, si è rivelato un vaso di Pandora: la signora si teneva lontana dai riflettori e si avvolgeva nella discrezione perché aveva da nascondere una lunga carriera di raccomandazioni al limite con la concussione. La Francia aveva scelto l’ipocrisia, ma ha dovuto poi ripiegare su una ultra-sessantenne tonica e sveglia, con le gonne sopra al ginocchio, il chiodo e i top di pizzo (addosso, mica negli scatoloni dei bei tempi andati). “Nel 2022, il suo problema sarà la mia faccia” avrebbe detto Brigitte a un comune amico della coppia, che ha subito riferito ai giornalisti, i quali così hanno deciso di raccontare al popolo francese che se si trovano candidato questo giovanotto capace, per carità, ma gerontofilo e con il vizio dell’establishment, è colpa di una signora agè: sarebbe stata lei a insistere affinché suo marito scendesse in campo quest’anno, perché “il botox ancora regge bene”, ha scritto qualche commentatore. Sarebbe stata ancora lei a convincerlo a farsi aiutare da un baritono per apprendere tutti i segreti dell’intonazione vocale, essendo lui provvisto di una voce fastidiosa all’ascolto. Giorgio VI, re d’Inghilterra, papà di Elisabetta II, risolse la sua balbuzie grazie alle insistenze di sua moglie, che lo trascinò da un logopedista, ma erano gli anni Trenta e una donna che si prendeva cura del lavoro di suo marito non era una spietata carrierista, ma semplicemente una moglie. Oggi è diverso: una donna che collabora al successo di suo marito è una megera doppiogiochista, diretta conseguenza dell’idea che abbiamo sul matrimonio come mero vincolo di interessi.
Quando Corrado Augias, ospite da Lilli Gruber a Otto e1/2 (La7), ha detto che la signora Macron “ha garantito l’appoggio di molte donne francesi, si potrebbe dire che c’è speranza per tutte”, scatenando il solito (stavolta comprensibile) pandemonio di accuse di sessismo, si è successivamente difeso dicendo di essersi limitato a riportare un sentimento diffuso in Francia (naturalmente, non in quella “rurale e profonda”, che ha votato Marine Le Pen, ma in quella metropolitana, insomma quella “progressista”). Non è interessante valutare quanto efficace e credibile sia la giustificazione di Augias – che di anni ne ha 82 e se c’è una speranza che lui conforta e incarna è che la Rai è una rete per giovani – , quanto il suo richiamo alla speranza. Quella speranza che vogliamo avere tutti nel fatto che il futuro invecchiato che ci attende sarà in realtà non un’altra giovinezza (come nel film omonimo di Francis Ford Coppola o come ne “Lo strano caso di Benjamin Button”, in cui l’alternativa alla vecchiaia è una vita al passo di gambero), ma una seconda giovinezza, dove le possibilità che credevamo sigillate e perdute si riapriranno a nuove occasioni, gli amori perduti saranno recuperabili, gli sbagli rimediabili, il tempo più nobile, la saggezza più avventurosa, la libertà (almeno dal giudizio altrui) finalmente possibile.
“Anche io vorrei essere come voi”, dice la vicina di casa ai due protagonisti di “Le nostre anime di notte” di Kent Haruf, un romanzo che quest’anno ha appassionato molti lettori e che racconta di due settantenni che decidono di dormire insieme (“vuoi venire a dormire da me la notte e parlare?” propone lei) provocando scandalo nella piccola cittadina nordamericana in cui vivono. E glielo dice quando li incontra al ristorante, la prima volta che decidono di uscire insieme, alla luce del sole, a braccetto, lui con la camicia scozzese verde e rossa e lei con il vestitino estivo giallo, ben visibili anche da lontano, amici o amanti o chi lo sa: nella seconda giovinezza i ruoli vanno in pensione. Anche Macron e Brigitte si sono nascosti per anni prima di avere il loro lieto fine.
Il tabù è pronto a diventare il nuovo chic (quando c’è un decalogo di vantaggi su Vanity Fair, l’addomesticamento del selvaggio è iniziato). Per questo, forse, è il momento di guardare più a fondo e scorgere, dentro quel tabù, non soltanto il riflesso condizionato della vita borghese che omologa gli affetti e il reflusso sessista, ma pure l’assillo con cui costringiamo la vecchiaia a diventare giovane
Questa settimana, per risarcire gli indignati dal giornalismo emotivo e sessista che ha impilato la probabile prossima première dame e suo marito in un paradigma imbarazzante opposto ma speculare a quello in cui sono stati costretti mesi fa i Trump, ovvero il vecchio porco ammogliato con una quasi ragazzina, è stata poi inaugurata la giurisprudenza degli amanti distanziati dall’età – con particolare predilezione per le storie di maschi giovani innamorati di donne mature – e decaloghi sui vantaggi di condurre una relazione con un partner molto più anziano. “Perché è così difficile credere alle relazioni tra persone di età diverse?”: a questa domanda, Vanity Fair ha deciso di rispondere intervistando Simone Coccia Colaiuta, ex modello e aspirante attore, fidanzato della senatrice Stefania Pezzopane, che rifiuta con orgoglio lo statuto di toyboy. Patetico? Purtroppo ci dobbiamo passare: lo stadio retorico è spesso propedeutico alla frantumazione di un tabù. Negli anni Novanta uscì un “Amore ribelle”, un film bellissimo sulla relazione tra una professoressa di liceo e un suo alunno. Giampiero Mughini ha ricordato in questi giorni la tragica fine di Gabielle Roussier e Christian Rossi, lei insegnante trentaduenne, lui suo allievo diciassettenne, che negli anni Sessanta si innamorarono: lui finì in un ospedale psichiatrico e lei, condannata a un anno di carcere, scelse il suicidio. Oggi il peggio che può capitare è che Corrado Augias straparli e che Natalia Aspesi sia costretta a scrivere un articolo per spiegarci che l’amore se ne fotte dell’anagrafe. Il tabù è pronto a diventare il nuovo chic (quando c’è un decalogo di vantaggi su Vanity Fair, l’addomesticamento del selvaggio è iniziato). Per questo, forse, è il momento di guardare più a fondo e scorgere, dentro quel tabù, non soltanto il riflesso condizionato della vita borghese che omologa gli affetti e il reflusso sessista, ma pure l’assillo con cui costringiamo la vecchiaia a diventare giovane (in questi giorni Baldini&Castoldi pubblica “Manifesto per una vecchiaia ardente”) e quindi a sparire, attraccata all’idea amortale che sempre di più abbiamo della nostra vita.
Ma magari sono stati solo pettegolezzi per vivacizzare la centesima corsa elettorale da cui potrebbe dipendere il nostro destino.