Viva la FifaVincere dal basso: il progetto di Tacopina a Venezia funziona

Al netto dei tanti investitori stranieri impegnati nelle piazze di Serie A, l'avvocato statunitense di origini italiane sta puntando sulla rinascita del calcio veneziano, con un progetto glocal che potrebbe portare anche (e finalmente) al nuovo stadio

Da brava città che si affaccia sul mare, sebbene protetta da una laguna, Venezia è stato un punto di passaggio per marinai di ogni foggia. All’inizio degli anni Quaranta capita da queste parti un giovane chiamato per il servizio militare, come molti suoi coetanei. Al campo sportivo ai Bacini, dove c’è l’Arsenale, durante le partite a calcio tra le rappresentative militari il giovane marinaio si mette in mostra, fino a quando non si scopre che è già un giocatore di calcio (non di football: a quei tempi i nomi stranieri non erano ben visti). Succede così che la squadra locale che rappresenta la città, il Venezia, lo chiama per un provino che il ragazzo supera agilmente. Giusto il tempo di definire il prezzo di acquisto con la sua squadra d’appartenenza, l’Alfa Romeo Milano, e Valentino Mazzola diventa un giocatore del Venezia. La squadra, che all’epoca è solo neroverde (l’arancione arriverà con la fusione con il Mestre, diverse ere geologiche dopo i fatti in questione), in poco tempo diventa una delle più interessanti del campionato italiano: nel giro di due anni il Venezia, che in attacco oltre a Mazzola in attacco può contare sul friulano Ezio Loik, vince la Coppa Italia – unico grande trofeo nella sua bacheca – oltre a correre ufficialmente l’anno dopo per la vittoria del titolo nazionale, che però andrà alla Roma di Amedeo Amadei. Mazzola e Loik rappresenteranno il Venezia in Nazionale, prima di lasciare la laguna nell’estate del 1942 direzione Torino, per la cifra all’epoca molto importante di 1 milione di lire.

Da quel periodo d’oro sono passati diversi anni. E molti dei tifosi che oggi vanno al Penzo in battello a vedere il Venezia di questa storia hanno sentito solo parlare. Però hanno fatto in tempo a vedere per l’ultima volta il club in Serie A. Correvano gli anni Novanta, quando un imprenditore friulano che aveva fatto i soldi con la grande distribuzione aveva deciso di investire nella squadra. Maurizio Zamparini aveva acquistato il Venezia nel 1986, quando in campo era sceso nel frattempo anche Silvio Berlusconi al Milan. Se il primo aveva scelto l’elicottero per atterrare a Milanello, Zamparini aveva dovuto affidarsi al battello, per raggiungere quello che oggi è il secondo impianto professionistico in uso più vecchio d’Italia dopo Marassi: il Pierluigi Penzo, che conta poco più di 7mila posti, si trova nell’isola di Sant’Elena ed ha la tribuna principale che affaccia sull’acqua. Non il massimo, per un club che Zamparini vuole riportare nella massima serie. Ma il nuovo stadio, che in città stanno ancora aspettando, sarà quello che poi farà lasciare a Zamparini la laguna, non senza aver compiuto un’importante rivoluzione: la fusione con il Mestre a fine anni Ottanta. Un’operazione complicata, poiché i tifosi dei due club si odiano. Basti pensare che negli anni, anche quelli successivi alla fusione, alcuni referendum cercheranno invano di dividere Mestre dal giogo amministrativo di Venezia. L’unico atto diplomatico è quello di usare per la nuova divisa tutti e tre i colori: arancio-neroverde diventa il nuovo status del club.

Lo stadio non si è ancora fatto, come detto. Al vecchio Penzo fa in tempo a tornare la Serie A, assieme a vecchie glorie come Pippo Maniero e Alvaro Recoba. Poi Zamparini a inizio anni Duemila fa le valigie e con lui il parco giocatori veneziano, che lui porta in pianta stabile al Palermo. La contesa ruota attorno al Quadrante, cioè la zona in terraferma vicina all’aeroporto di Tessera, sul quale si schiantano prima Zamparini – che voleva realizzare nell’area un centro commerciale – poi l’imprenditore russo Korablin, che nel 2011 rileva un club che nel frattempo ha subìto due fallimenti, nel 2005 e nel 2009. Korablin è un ex graduato dell’esercito sovietico e in Russia ha già diretto e foraggiato squadre di calcio e basket. Nel 2014 sembra tutto pronto perché Venezia possa avere finalmente lo stadio nuovo nel Quadrante, dopo che il progetto era stato approvato e più volte bloccato dal 2008. Tutto fatto? Macché. Il rublo si svaluta, Korablin va in disgrazia e non può più sostenere il Venezia, che fallisce per la terza volta.

Ma il calco a Venezia è destinato a non morire, solo a rinnovarsi continuamente. Oggi la società è in mano a Joe Tacopina, avvocato statunitense di origini italiane che nel calcio italiano è entrato con l’arrivo degli americani nella Roma, all’epoca di Thomas Di Benedetto. Poi la gestione conflittuale del Bologna con Joe Saputo, quindi l’avventura in Laguna. Dove le somiglianze soprattutto con il business model giallorosso ci sono, replicate in piccolo. In particolare, così come fatto da Roma e Psg, anche a Venezia si segue la via glocal: si parte cioè da un prodotto inserito in una dimensione locale, ma capace di sfruttare le opportunità offerte dai processi di globalizzazione per diffondersi a livello mondiale. I due club negli ultimi anni hanno cambiato proprietà. In entrambi i casi, arrivano da nuovi mercati: lo statunitense Pallotta e gli sceicchi della famiglia Al Thani. Una delle prime innovazioni da essi introdotti nell’immagine del club, è stato il ritocco del logo. Da quello della Roma è sparita la denominazione ASR, legata alla tradizione della squadra, in favore della parola “Roma” e della Lupa simbolo della città. Allo stesso modo, gli arabi hanno puntato maggiormente sulla parola “Parigi” nel ridisegnare il simbolo della squadra. Tacopina ha scelto Venezia per poter sfruttare intanto la riconoscibilità della città nel mondo. Il suo brand, per usare un termine molto in voga. Venezia all’etero è famosissima, tanto quanto Roma o Parigi. Ogni anno arrivano in laguna arrivano 30 milioni di turisti e, sebbene buona parte di questi non siano propriamente dediti al rispetto della città che visitano, i numeri e le possibilità economiche di una località che di turismo vive (l’università Ca Foscari si è dotata non a caso di un corso accademico apposito) non possono lasciare indifferenti chi qui vuole fare business con il pallone. E allora, ecco che arriva il nuovo logo con il leone di San Marco ben visibile anche sulla maglia, il mantenimento del rapporto con uno sponsor tecnico guarda caso statunitense, un sito web ufficiale corredato da video e app, l’attenzione ai social e uno store online che vende prodotto griffati con il leone, anche le tazze, come fanno i grandi club.

La cura del marketing è solo uno degli aspetti imprenditoriali del nuovo club. A differenza del recente passato, a Venezia c’è il calco di un progetto che può riportarla nel calcio che conta. Addirittura non giocando più al Penzo. Dopo un anno passato in D per far riemergere la squadra nel calcio professionistico grazie ai gol di Serafini (ricordate? Era quello che con il Brescia segnò una tripletta alla Juve in B), Tacopina affiancato da un dirigente esperto come Giorgio Perinetti ha deciso di dare una chance in panchina a Filippo Inzaghi. Reduce dai successi nelle giovanili rossonere e da una meno esaltante esperienza in prima squadra, Inzaghi si è buttato nella nuova esperienza con umiltà e voglia di fare. Dopo la presentazione in grande stile con tanto di foto che lo immortalano con Tacopina si un motoscafo tra i canali della città, Inzaghi si è messo al lavoro consapevole di doversi rilanciare come tecnico in un campionato che sembrava sulla carta a favore, per la promozione diretta, di un’altra grande decaduta in cerca di rilancio, il Parma. Sulla carta: il campo ha detto che dopo l’ultima gara interna con il Fano, il Venezia è tornato in B dopo 12 anni d’assenza. Il tutto sostenuto dall’hashtag #torniamoaruggire, con l’ovvio riferimento al Leone e alla strategia g-local di cui sopra.

(foto da www.veneziafc.club)

Insomma, al netto dei tanti nuovi arrivi di investitori stranieri nel calcio che conta, per vincere in Italia uno di lorio è dovuto ripartire dal basso. Ora la nuova sfida di Tacopina è lo stadio. L’appoggio del sindaco Brugnaro in questo senso è ampio. Il primo cittadino ha di recente ricordato che Venezia attende un nuovo impianto da 63 anni. Dopo Zamparini e Korablin, ci proverà un italo-americano. Che dopo aver avviato una collaborazione con l’Anderlecht per una academy in Cina che partirà quest’estate, ha avuto rassicurazioni per lo stadio. Il nuovo impianto sarà da 25mila posti circa e verrà costruito nei terreni a nord dell’aeroporto Marco Polo, ora di proprietà dell’immobiliare del Casinò e che saranno venduti, pare proprio a Tacopina, che lì potrà quindi realizzare lo stadio, un hotel e una annessa area commerciale. L’accordo con la Save, la società che gestisce lo scalo, permetterà di usare 17 milioni di euro stanziati per la viabilità locale per realizzare le opere pubbliche connesse. Nel frattempo, Venezia sogna. E da brava città di mare, spera stavolta di non vedere partire soldi e promesse verso altri lidi.

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