TaccolaAddio piccoli imprenditori, ora fare i concessionari d’auto è un affare da ricchi

Dopo la crisi è stato falcidiato un concessionario su tre. Ora le vendite hanno ricominciato a correre e chi è rimasto in campo fa affari record. Ma è un campo da gioco in cui sono rimasti solo operatori dalle spalle più che robuste. Per i piccoli non c’è più spazio per entrare

Dov’eravamo rimasti? Alla crisi dei consumi, alla chiusura a raffica di punti vendita di automobili, fino, lo scorso anno, ai primi timidi segnali di ripresa. È il passato, un film a bianco e nero. In questi giorni i concessionari di auto che stanno chiudendo i bilanci 2016 hanno buoni motivi di festeggiare e per dichiarare la crisi finita. Lo si è visto anche nella due giorni veronese della fiera di settore Automotive Dealer Day, giunta alla 15esima edizione e che ha visto oltre 4mila partecipanti su 12mila metri quadrati di esposizione. «Quello appena passato è un anno memorabile, le aziende stanno chiudendo dei bilanci record», spiega dalla fiera Tommaso Bortolomiol, vicepresidente corporate e industry relations di Quintegia, società di consulenza e ricerca che organizza l’evento. «Il mercato è ripartito e le aziende negli scorsi anni hanno lavorato per ridurre i costi di struttura: è un cockatil perfetto, che sta continuando anche nei primi mesi del 2017».

Le buone notizie, tuttavia, non sono per tutti. Gli anni passati hanno lasciato sul terreno quasi un terzo degli operatori e chi è rimasto sul mercato, oggi, è tipicamente un grande operatore. I motivi sono facilmente intuibili: i margini si sono nel tempo ridotti e gli investimenti richiesti si sono alzati. Oggi, commenta a Linkiesta un consulente del settore automotive, non ci sono più imprenditori di medie e piccole dimensioni che riescono a stare sul mercato. E una conferma arriva anche dai numeri: «A fronte dell’incremento delle vendite, gli operatori sono rimasti stabili, c’è stata una trascurabile discesa, e lo stesso discorso si può fare per i mandati e i punti vendita», spiega Bortolomiol. «È un business che non attrae nuovi imprenditori, perché gli investimenti necessari sono elevatissimi e i ritorni si hanno in tempi lunghi». Un affare, dunque, per pochi. Dove a dominare sono i grandi operatori multimarca, categoria di venditori che ha preso sempre più spazi nel corso degli anni.

Tra i grossi nomi vale la pena di citarne tre: il gruppo Autotorino (700 milioni di fatturato, 900 collaboratori 14 marchi gestiti tra Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna); il gruppo statunitense Penske, che in Italia si sta imponendo attraverso varie acquisizioni; e, nel Triveneto, il gruppo Trivellato. C’è anche stato un ribaltamento dei tradizionali rapporti di forza, con concessionari grossi in grado di condizionare l’andamento delle vendite di interi marchi e non più sottoposti alle condizioni di mercato imposte della case, le quali negli scorsi anni hanno spinto su promozioni aggressive per cercare di rivitalizzare il mercato. È difficile fare un discorso generale sulla marginalità che le case concedono. Tra quelle che più tengono i margini bassi, spiega il consulente, c’è Toyota, mentre i marchi tedeschi di fascia alta sono noti soprattutto per le pressioni che mettono sul piano della qualità del servizio (va detto, con beneficio dei clienti). Più sereni vengono i segnalati i rapporti tra concessionari e case come Kia-Hyundai e Jaguar-Land Rover, in termini elasticità concessa.

Non ci sono più imprenditori di medie e piccole dimensioni che riescono a stare sul mercato. A dominare sono grandi nomi. Come Autotorino, Spenke e Trivellato

Rimane però un dato di fatto: a vendere solo auto non si fanno più margini. Come per altri settori (per esempio le banche, dove il margine di intermediazione si è via via assottigliato), per portare in nero l’ultima riga del conto economico servono servizi ad alto valore aggiunto. Per i concessionari sono i finanziamenti, l’estensione di garanzia, i pacchetti di manutenzione. Su questo fronte, continua il consulente del settore, i consumatori hanno meno possibilità di presentarsi preparati davanti al concessionario e di portare avanti una trattativa in piena trasparenza relativamente ai prezzi dei servizi offerti.

Su tutto il resto, ossia sul fronte tecnico, invece, i consumatori oggi arrivano dal concessionario preparatissimi. Gli studi presentati all’Automotive Dealer Day dicono che l’85% dei clienti fa ricerche online prima di acquistare un’auto nuova e moltissimi fanno ricerche multiple. Due terzi comparano i prezzi e il 38% si informa anche sul concessionario, anche se poi la fonte di cui si fidano di più sono amici e familiari. Ci mettono tantissimo a scegliere, ben tre mesi, ma poi non girano i concessionari ma vanno da quello che su Internet appare come il più affidabile. Questo, commenta Bortolomiol, rende necessario per i rivenditori stare estremamente attenti alla propria reputazione online, ossia alle stelline che vengono affibiate sulle pagine Facebook, su Google e su siti verticali come AutoScout24.

A vendere solo auto non si fanno più margini. A portare in nero l’ultima riga del conto economico sono i finanziamenti, l’estensione di garanzia, i pacchetti di manutenzione. Su questo fronte i consumatori hanno meno possibilità di presentarsi preparati davanti concessionario e di portare avanti una trattativa in piena trasparenza


Tommaso Bortolomiol, Quintegia

Altra cosa certa è che è diventato un mondo difficile per il personale. Il tipico cliente ha di fronte uno smartphone e di fronte a qualsiasi offerta è pronto a dimostrare che un dealer poco distante offre prezzi più bassi. Tablet in mano, controlla ogni dettaglio tecnico esposto. C’è solo una strada da seguire: quella della crescita professionale del personale, uno dei punti focali dell’edizione di quest’anno della fiera. Le difficoltà attuali nascono dalla necessità di seguire diversi fronti: le spiegazioni tecniche, la relazione con clienti molto eterogenei, la proposta di servizi molto sofisticati. Una delle parti più delicate del rapporto con i clienti è quella del post-vendita, dove si incrociano competenze sia tecniche che commerciali e servono figure oggi non semplici da reperire sul mercato del lavoro.

Gli spunti che l’edizione del quindicesimo Automotive Dealer Day comprendono anche la crescita di segmenti di mercato a discapito di altri. Scende il business tradizionale, quello della vendita ai privati, e crescono l’autonoleggio a medio-lungo termine e le vendite di flotte aziendali. Il noleggio, un tempo riservato a clienti business, si è esteso ai privati (in quel caso il concessionario è solo un tramite tra il cliente società specializzate nel noleggio e ha quindi margini inferiori). Le vendite ai privati hanno invece beneficiato del superammortamento in vigore fino allo scorso anno, e attualmente rimasto per i mezzi di lavoro.

Mentre il grande spauracchio, ossia il passaggio delle vendite online, viene visto ancora come un evento che potrebbe avvenire nel medio termine. Ma attenzione: la vendita della Fiat 500 su Amazon potrà essere stata soprattutto un’operazione di marketing. Ma le accelerazioni in questo campo sono possibili e improvvise. «Tesla ci dimostra che è già possibile configurare e comprare un’auto online – conclude Bortolomiol -. Ma noi riteniamo che in tutti il business dei dealer rimarrà, anche se le auto si acquistassero online. Rimarranno molte procedure che potranno essere svolte dai venditori e soprattutto rimarrà la parte emotiva, come quella dei test drive». Quel che succederà quando le auto si guideranno da sole, invece, è un altro capitolo tutto ancora da scrivere e da verificare sul campo.

I consumatori oggi arrivano dal concessionario preparatissimi. Ci mettono tantissimo a scegliere, ben tre mesi, ma poi non girano i concessionari ma vanno da quello che su Internet appare come il più affidabile

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