Il vero populismo è ascoltare solo chi grida di più (e riguarda tutti)

Un dibattito schizofrenico, una classe dirigente che ne è totalmente subalterna: così trionfano solo le istanze di chi sa spararla grossa abbastanza per finire in televisione. Ma questa è una caricatura della politica

Se dovessimo disegnare il Paese leggendo le cronache politiche ne uscirebbe un’Italia grottesca: cittadini con gli armadi zeppi di armi da fuoco che sbavano in attesa di ottenere quanto prima la licenza di uccidere; placide famigliole di provincia terrorizzate dall’idea di essere depredate dai sicari di Emergency, Caritas, Unicef e una qualsiasi ONG; pensionati tutti indaffarati per fare rientrare i propri “capitali dall’estero” al prossimo scudo fiscale; esodati e disoccupati appesi a un filo per risolvere liti milionarie con l’Agenzia delle Entrate; Pro Loco e Comitati di quartiere ansiosi di poter esultare al prossimo rastrellamento in difesa del decoro; donne contrite e depresse perché non mamme e non regolarmente sposate con un matrimonio rigorosamente eterosessuale e con certificato cattolico; chiese accerchiate da miliardi di moschee che bloccano il traffico cittadino; migliaia di vigorosi giovani italiani pronti a formare un Comitato di Liberazione al fianco di Putin e di Assad; milioni di francesi delusi di non avere potuto votare Monti, costretti a ripiegare su Macron, altri milioni di francesi delusi di non aver potuto votare Renzi, costretti a ripiegare su Macron e i restanti milioni di francesi delusi di avere Macron e non Berlusconi; esperti di economia internazionali angosciati dalla possibilità che sfumi il prossimo bonus di qualche decina di euro; l’Organizzazione Mondiale per la Sanità che freme di fronte al rischio estinzione a causa dei topi (solo nel capitali, solo quando scemano le altre emergenze); bilanci di Stato a rischio per un torneo di golf; stupri in ogni angolo in ogni parte di ogni città d’Italia; spazzatura a formare barricate sul Grande Raccordo Anulare (o qualsiasi tangenziale metropolitana, in base all’esigenza); l’etica di un Paese a rischio per non avere fatto annegare qualcuno, come da regolamento, al di fuori delle miglia nautiche stabilite; milioni di persone in piazza per chiedere la pena di morte per qualche centinaio di reati; milioni di vecchiette chiuse a chiave in casa prima che qualche eurocrate gli rubi l’argenteria e poi Pomezia come Chernobyl, qualche scia chimica, le fake news sulle fake news, presunti complotti internazionali ravvisabili dall’etichetta di un paio di calzini e così via tutti i giorni. Tutte le settimane. Tutto l’anno.

Un’emergenza al giorno, assecondando i calcoli e le convenienze di chi ha bisogno di messaggi terrificanti seppure brevi per rimanere sull’onda del dibattito politico e fa niente che di politico non ci sia quasi nulla: ciò che conta è “stare in pagina”, fare capolino in ogni indignazione e prendere posto nel percorso di banalizzazione perché lì, pensano loro, ci sarebbero i voti, pronti poi subito a lamentarsi per la volatilità del consenso. Così passano questi anni in cui la politica diventa un barboncino che rincorre l’osso, ci si lamenta del populismo mentre se ne seguono le orme e si grida all’emergenza senza avere il coraggio di scendersene. Come in Francia, come ha sottolineato Alessandro Robecchi: “le politiche dei Macron producono le Le Pen, poi bisogna votare Macron per fermare la Le Pen. E’ un meccanismo perfetto, tipo tagliola.” È la politica che si deprime rispondendo affannata alle emergenze (molte nemmeno reali, solo percepite) abdicando totalmente dal proprio ruolo di “guida”: è la politica spaventata dal non essere invitata al banchetto degli altri che non riesce nemmeno a proporre una portata alternativa. Una semplificazione estremista in cui non c’è né destra né sinistra ma solo una disabitudine alla complessità, un analfabetismo scientemente coltivato da chi in tutti questi anni ha lavorato per che si banalizzasse tutto il banalizzabile. Così o si è favore o si è contro per la gioia di chi ha in mano le redini del gioco e difficilmente si ritrova costretto ad argomentare spiegazioni.

È la politica che si deprime rispondendo affannata alle emergenze, abdicando totalmente dal proprio ruolo di “guida”: è la politica spaventata dal non essere invitata al banchetto degli altri che non riesce nemmeno a proporre una portata alternativa. Una semplificazione estremista in cui non c’è né destra né sinistra ma solo disabitudine alla complessità

Allora mettiamoci d’accordo: cos’è la politica? Il mestiere di chi pratica l’arguzia di cogliere un sentimento che diventerà “pop”, senza verificarlo e giudicarlo? Oppure la politica è l’intuizione di trovare risposte maggioritarie a tutti i costi anche se sono risposte sbagliate a domande sbagliate? Davvero il sapere e l’avere sperimentato è solo un fastidioso fardello che appesantisce la comunicazione e che è ormai fuori tempo? Chi detta l’agenda? La rassegna stampa?

Mi capita, per il lavoro che faccio e che mi porta a girare l’Italia, di incrociare persone invisibili, che la politica ha marchiato come non abbastanza interessanti: incontro trentenni meritoriamente laureati che non riescono nemmeno ad accreditarsi per un’utilitaria comprata a rate, incontro anziani che si ammalano del pesare economicamente sui figli per il loro esser vecchi, persone spaventate (e la paura è sempre legittima, quando è in buona fede) che non trovano soluzioni, famiglie di fronte all’aumento dei costi con stipendi bloccati così come piccoli e medi imprenditori con fatturati in calo e costi in aumento, genitori naturalmente preoccupati per i propri figli, scuole che chiedono agli alunni di contribuire con rime e carta igienica, disoccupati senza nessuno spiraglio di reinserimento, mancate assunzioni di giovani considerati troppo giovani per essere professionalmente credibili e persone di mezza età nella mezza età sbagliata per essere fiscalmente appetibili, diffidenti che vorrebbero trovare un motivo per tornare fiduciosi, studenti con abbastanza talento ma troppe poche risorse per ambire a un’università d’eccellenza, partite iva con più collaborazioni e fatture che bonifici, una generazione che non idea di cosa siano orari e ferie e malattie e una schiera di persone che temono i ladri ma non hanno nessuna intenzione di acquistare una pistola.

Ecco, quelli che vogliono essere difesi senza essere costretti a difendersi, quelli che vorrebbero applicarsi a soluzioni che durino più di qualche giorno d’indignazione, quelli che avrebbero voglia di parlare di futuro, chi li rappresenta?

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