Il primo incontro avviene quasi sempre nei fumetti (Disney). Di fronte a una situazione spiacevole, uno dei personaggi (un papero o un topo, non c’è molta differenza) prima o poi lo pronuncerà: “Tsk tsk”. Un’espressione rimasta invariata anche nella produzione fumettistica italiana – del resto si è appropriata, senza grandi patemi, anche di altre onomatopee anglosassoni: gasp, gulp, slurp, pant pant, burp, grunt, sniff, o il mitico mumble mumble.
In inglese, a differenza dell’italiano, le onomatopee hanno un utilizzo grammaticale molto più ampio. Non soltanto interiezioni: molte, ad esempio, sono utilizzate anche come verbi (è il caso di gulp, di gasp, di pant, di burp, di mumble). Il giovane lettore, digiuno di rudimenti anglofoni, ne ignorerà perfino la pronuncia (*mambl-mambl, per dirne una) e soprattutto non saprà che molte di queste, più che imitare i rumori, sono descrizioni dell’azione disegnata. In certi casi, vista la poliedricità della lingua inglese, le due cose si avvicinano molto: parole di tutto rispetto che assommano in sé il valore dell’onomatopea. Un esempio: gasp.
E in tutto questo, allora, come si pone il caro vecchio “tsk tsk”? È complicato. Vista la popolarità dell’espressione, gli inglesi hanno inventato anche un verbo, tsk tsk, che significa “rimproverare, esprimere disapprovazione”. E si pronuncia tısk tısk. Ma la pronuncia di tsk è molto diversa. Per capirsi, viene resa anche con tut tut, ma in fin dei conti è molto simile al classico nch siciliano, ovvero il suono che si fa per chiamare i gatti o esprimere dissenso senza aprire bocca: