Siamo riemersi come dopo una lunga apnea. Stremati. Ci guardiamo attorno e non siamo più gli stessi di prima. Di quando siamo sprofondati nella peggiore crisi economica che il Paese abbia vissuto in tempo di pace.
Questa sembra la situazione dell’Italia, a 8 anni dall’inizio della recessione. Un Paese con pochi vincitori e tanti perdenti. Perchè la crisi e poi la fragilissima ripresa che viviamo da 3 anni a questa parte non hanno avuto un impatto omogeneo.
L’ultimo report dell’ISTAT ce lo dice.
Non è più tempo per artigiani ed operai, che sono calati del 16,9% tra il 2008 e oggi, ma neanche, a quanto pare, per chi ha qualifiche tecniche, -6%.
Al contrario sono le professioni “esecutive” del mondo dei servizi che paiono decollare, un mondo enorme in cui si va dal commercio alla finanza, alla consulenza, ma ancora di più, e questo è un importante segno dei tempi, tutte quelle non qualificate, +23,5% in 8 anni
Si tratta di una tendenza alla polarizzazione anche nel campo dell’occupazione: l’operaio qualificato o l’impiegato di medio livello pian piano lasciano il posto da un lato al consulente finanziario, ma dall’altro al rider di Deliveroo o di Foodora, al magazziniere di Amazon, al cameriere e al lavapiatti di uno dei tantissimi ristoranti che sempre più vengono aperti, o alla badante dei sempre più numerosi anziani.
Inaspettatamente accanto all’attesa crescita dell’occupazione nei servizi e al crollo nell’industria c’è anche un ritorno all’agricoltura, che non è quindi uno dei tanti luoghi comuni, ma una realtà che si è accentuata negli ultimi due anni. +3,5% dal 2008 e + 4,88% solo tra 2015 e 2016.
Tuttavia è ancora più chiaro ed evidente cosa è accaduto nel lungo periodo di crisi se si guarda ai vari sotto-settori. E spicca l’incredibile crescita di quello dei servizi alle famiglie. Non solo badanti, certo, anche baby sitter probabilmente, ma si deve immaginare che soprattutto dei primi si tratta, +84,8% di lavoratori in questo campo dal 2008.
E poi vi è stato l’aumento degli occupati negli alberghi e nella ristorazione, +20,3%. Inutile dire che in tanti casi, visti i sempre minori margini in questo ambito, si tratta di lavoretti dai salari sempre più bassi.
Forse è invece nel campo dei servizi alle imprese, +8%, e dell’informazione e della comunicazione, che si possono ritrovare opportunità più succulente per i giovani laureati.
E tuttavia non compensano il crollo nell’occupazione nel campo dell’istruzione, -3,4%, del commercio, dell’industria, -6,1%, dei servizi della Pubblica Amministrazione, -11,9%.
Tra il 2015 e il 2016 sostanzialmente vi è stata una conferma di questi trend, con una inversione di tendenza nel campo dei servizi alle famiglie e soprattutto con una accentuazione della crescita degli occupati nella ristorazione e nei trasporti e nel magazzinaggio.
Spesso se ne parla meno, ma è da questi profondi cambiamenti strutturali, che certo non nascono in Italia, che dipendono anche quei trend che invece sono in testa alle cronache, come quelli relativi ai tipi di contratto più utilizzati per gli assunti.
Se vi sono meno operai e più camerieri sarà più difficile imporre il contratto a tempo indeterminato come quello prevalente. Non è solo per la crisi che i dipendenti permanenti a tempo pieno sono calati del 5,9% dal 2008, con un piccolo rimbalzo dal 2015, mentre sono cresciuti del 35,87% quelli part time. E se aumentano i posti poco qualificati, quelli che le aziende possono sostituire facilmente, è giocoforza che salga il ricorso all’occupazione a tempo determinato, +6,12% negli ultimi 8 anni, così da non doversi tenere per decenni un dipendente che poi sarà costoso licenziare, e che invece cinicamente si può cambiare ogni anno.
Guardando questi dati non ci si stupisce anche dei cambiamenti sociali e demografici nel campo dell’occupazione.
Per esempio si può capire meglio come sia possibile che vi sia un grande divario tra i sessi. Come mai nello stesso periodo infatti il numero di occupati tra gli uomini sia calato del 4,2%, mentre tra le donne sia salito del 2,7%. Naturalmente va evidenziata anche la variazione del tasso di occupazione, perchè il numero nudo e crudo dei lavoratori può variare per questioni meramente demografiche, ma in questo caso la storia non cambia. La differenza tra uomini e donne è rilevante. E non basta il ritrovato equilibrio nel trend tra 2015 e 2016 a risistemare il divario.
Il punto è che il campo dell’assistenza alla persona, della cura dell’anziano, in buona parte anche dell’ospitalità e della ristorazione sono molto di più ambiti femminili rispetto a quelli in cui l’occupazione è crollata, come l’edilizia e l’industria.
Si capisce di più anche perchè il numero di lavoratori stranieri sia salito del 42,1%. Ed è vero che il tasso d’occupazione tra gli immigrati è calato molto, del 7,4%, ma solo perchè sono cresciuti molto numericamente, con l’arrivo spesso di familiari non attivi. In sostanza la maggiore disponibilità di posti nel campo dei servizi o dell’agricoltura a bassa qualificazione ha favorito più che proporzionalmente il lavoratore straniero, che molto spesso, diciamolo, è più disponibile a farsi sfruttare e a lavorare per settori con margini così ristretti che non si può che offrire pochi euro per un’ora di lavoro.
Tuttavia è ancora più chiaro ed evidente cosa è accaduto nel lungo periodo di crisi se si guarda ai vari sotto-settori. E spicca l’incredibile crescita di quello dei servizi alle famiglie. Non solo badanti, certo, anche baby sitter probabilmente, ma si deve immaginare che soprattutto dei primi si tratta, +84,8% di lavoratori in questo campo dal 2008.
E poi vi è stato l’aumento degli occupati negli alberghi e nella ristorazione, +20,3%. Inutile dire che in tanti casi, visti i sempre minori margini in questo ambito, si tratta di lavoretti dai salari sempre più bassi.
Forse è invece nel campo dei servizi alle imprese, +8%, e dell’informazione e della comunicazione, che si possono ritrovare opportunità più succulente per i giovani laureati.
E tuttavia non compensano il crollo nell’occupazione nel campo dell’istruzione, -3,4%, del commercio, dell’industria, -6,1%, dei servizi della Pubblica Amministrazione, -11,9%.
Tra il 2015 e il 2016 sostanzialmente vi è stata una conferma di questi trend, con una inversione di tendenza nel campo dei servizi alle famiglie e soprattutto con una accentuazione della crescita degli occupati nella ristorazione e nei trasporti e nel magazzinaggio.
Spesso se ne parla meno, ma è da questi profondi cambiamenti strutturali, che certo non nascono in Italia, che dipendono anche quei trend che invece sono in testa alle cronache, come quelli relativi ai tipi di contratto più utilizzati per gli assunti.
Se vi sono meno operai e più camerieri sarà più difficile imporre il contratto a tempo indeterminato come quello prevalente. Non è solo per la crisi che i dipendenti permanenti a tempo pieno sono calati del 5,9% dal 2008, con un piccolo rimbalzo dal 2015, mentre sono cresciuti del 35,87% quelli part time. E se aumentano i posti poco qualificati, quelli che le aziende possono sostituire facilmente, è giocoforza che salga il ricorso all’occupazione a tempo determinato, +6,12% negli ultimi 8 anni, così da non doversi tenere per decenni un dipendente che poi sarà costoso licenziare, e che invece cinicamente si può cambiare ogni anno.
Guardando questi dati non ci si stupisce anche dei cambiamenti sociali e demografici nel campo dell’occupazione.
Per esempio si può capire meglio come sia possibile che vi sia un grande divario tra i sessi. Come mai nello stesso periodo infatti il numero di occupati tra gli uomini sia calato del 4,2%, mentre tra le donne sia salito del 2,7%. Naturalmente va evidenziata anche la variazione del tasso di occupazione, perchè il numero nudo e crudo dei lavoratori può variare per questioni meramente demografiche, ma in questo caso la storia non cambia. La differenza tra uomini e donne è rilevante. E non basta il ritrovato equilibrio nel trend tra 2015 e 2016 a risistemare il divario.
Il punto è che il campo dell’assistenza alla persona, della cura dell’anziano, in buona parte anche dell’ospitalità e della ristorazione sono molto di più ambiti femminili rispetto a quelli in cui l’occupazione è crollata, come l’edilizia e l’industria.
Si capisce di più anche perchè il numero di lavoratori stranieri sia salito del 42,1%. Ed è vero che il tasso d’occupazione tra gli immigrati è calato molto, del 7,4%, ma solo perchè sono cresciuti molto numericamente, con l’arrivo spesso di familiari non attivi. In sostanza la maggiore disponibilità di posti nel campo dei servizi o dell’agricoltura a bassa qualificazione ha favorito più che proporzionalmente il lavoratore straniero, che molto spesso, diciamolo, è più disponibile a farsi sfruttare e a lavorare per settori con margini così ristretti che non si può che offrire pochi euro per un’ora di lavoro.
E’ questo il nuovo volto del lavoro italiano. Possiamo cercare le luci e le ombre, i lati negativi e le opportunità. Quello che certamente non possiamo pensare di fare è illuderci rabbiosamente di tornare indietro, di ripristinare quei posti da muratore,di dipendente statale o da operaio che non possono rinascere, per quanti sussidi possiamo inventarci.
Ci sono trend mondiali che invece dobbiamo assecondare e che possiamo sfruttare, facendo sì che per esempio più posti nei servizi significhino più assunzioni nel campo della ricerca piuttosto che solo come camerieri. Anche se nel prossimo futuro forse, lo sappiamo, ci sarà più speranza per i secondi.