Occident Ex-PressL’Italia? Una Repubblica fondata sui complotti

I complotti sono intriganti, a volte veri, fanno vendere un sacco di libri e viaggi esotici per la Commissione Stragi. Ma se li ascoltiamo tutti c'è da credere che il Risorgimento è opera britannica, che la “Uno bianca” è una strategia atlantica e che Br e 007 parlavano fra loro con gli omicidi

Oggi si parla per due ragioni di servizi segreti. Perché hanno (avrebbero?) passato ai giudici siciliani le intercettazioni che inchioderebbero le Ong nel mar Mediterraneo e dimostrerebbero come “l’invasione” di migranti in Europa sia programmata e controllata. O forse no, non lo hanno fatto. Arrivano smentite dal Copasir ma potrebbero essere state agenzie d’intelligence straniere, non italiane. Chi lo sa. Del resto i segreti non hanno nazionalità.

La seconda storia è, se possibile, a tinte chiaro-scure ancora più intense. Letteralmente: nel caso di suicidio di Raffaello “Ciccio” Bucci, capo ultras della Juventus assunto poi dai bianconeri che, secondo un documento fatto pervenire dall’Aise ai magistrati che indagano, lavorava per loro, per gli 007. Un infiltrato nella curva dei “Drughi” per osservare da vicino i rapporti fra società, tifo e criminalità organizzata che in Piemonte, a quanto si dice, ha un nome solo: ‘ndrangheta.

Dalle intercettazioni che (non) mostrano il piano per invadere l’Europa al capo ultras della Juventus che lavorava per l’Aise. Da Cavour a Fausto e Iaio passando per Aldo Moro. L’Italia è una repubblica fondata sui servizi segreti e sui complotti (veri o presunti)

Depistaggi, infiltrati, attentati, complotti, miti e leggende: l’Italia è una repubblica fondata sui servizi segreti. Servizi italiani o stranieri non importa. Da tempo immemore – ben prima che fosse una Repubblica. Il buon Camillo Benso Conte di Cavour faceva un uso spropositato di “black op” (“black, operation”, operazioni coperte), come le si chiamano oggi, per realizzare i propri scopi politici.
Giovanni Fasanella, storico cronista dell’Unità a Torino e autore di una trentina di libri, ha ricostruito la vicenda di tale Curletti, capo dei servizi sabaudi preunitari, nel libro Italia Oscura. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, la storia che non c’è sui libri di storia. Citando documenti e memoriali ritrovati nell’archivio storico della Difesa ha ricostruito gli spostamento del Curletti che, a quanto pare, scorrazzava per borghi e città dell’Italia risorgimentale ad alimentare moti carbonari, spargere foglietti di propaganda, organizzare brogli nei plebisciti e alimentare bande di criminali per destabilizzare gli ordini costituiti. Un perfetto agente provocatore.

Il ruolo del capo della polizia segreta di Cavour, tale Curletti, che ha alimentato moti carbonari, brogli elettorali, bande criminali per destabilizzare l’Italia pre-unitaria e creare voglia di Risorgimento

Lo scopo era chiaro. I mandanti occulti un po’ meno. C’erano interessi della Corona – scrive Fasanella. Non i Savoia, non solo, bensì sua Maestà d’Inghilterra. Che aveva tutto l’interesse a fare dell’Italia uno Stato unitario. Perché? Perché con l’apertura del canale di Suez (1871) serviva una “piattaforma” nel Mediterraneo per mantenere un ruolo egemone nel commercio internazionale. Serviva il meridione. Ed è così che corsi e ricorsi cominciano a dipanarsi: dove abitò Mazzini per lungo tempo? A Londra. Dove sbarcò Garibaldi in Sicilia? A Marsala, dove i britannici schieravano una flotta a largo delle coste e dove nutrivano interessi in due settori chiave dell’economia siciliana: vino e zolfo.

Gli interessi della Corona britannica dietro il Risorgimento? Serviva una “piattaforma” nel Mediterraneo dopo l’apertura del canale di Suez

Giovanni Fasanella con gli inglesi e il loro tentativo di influenzare la politica italiana ci va giù pesante.
Facciamo un salto temporale di quasi cento anni e rechiamoci in epoca di piena guerra fredda. Dietro le morti di Enrico Mattei e Aldo Moro ci sarebbero sempre loro, i britannici. Perché entrambi erano espressione di quella volontà “sovranista” italiana che auspicava l’indipendenza energetica. Il fondatore di Eni concludeva accordi in proprio con i Paesi produttori di petrolio e bypassando le grandi sorelle dell’oro nero, in particolare British Petroleum. Lo stesso Aldo Moro fu il primo ministro degli Esteri occidentale a recarsi in Libia dopo la presa del potere da parte di Gheddafi. Nel 1971. E definì il mar Mediterraneo “il mare che ci unisce”. Nei dispacci della diplomazia britannica, pubblicati, un fatto questo che non passa inosservato. Mattei e Moro, entrambi non fanno una bella fine: il primo su un velivolo che esplode (o ha un’avaria?) sopra i cieli del pavese e il secondo sequestrato dalle Brigate Rosse e ucciso dopo 52 giorni di prigionia.

Sulle Br e l’anno 1978 di pubblicistica ce ne è parecchia. Non solo giornalisti e storici si sono esercitati nel ricostruire più o meno avventurosamente quella fase, ma anche magistrati, poliziotti, senatori della Commissione Stragi, capi della Nuova Camorra Organizzata. Come quel Raffaele Cutolo che dice di essere stato contatto da uomini della Banda della Magliana per vedere se ci fosse interesse a liberare il Presidente della Democrazia cristiana. Come sarebbe accaduto tre anni più tardi in Campania per l’assessore all’urbanistica Cirillo sequestrato dalla colonna napoletana delle Br. L’interesse dei referenti politici di Cutolo, dice il boss camorrista, non c’era.

Due giorni dopo il sequestro di Aldo Moro a Roma, avviene a Milano un fatto apparentemente sconnesso: il 18 marzo 1978 Fausto e Iaio, due giovani del centro sociale Leoncavallo, vengono freddati a colpi d’arma da fuoco in via Mancinelli, al Casoretto. Omicidio politico come ne avvengono tanti in quel decennio, è il primo pensiero. In anni di indagini emergono dettagli interessanti, elementi indiziari ma nessuna prova definitiva e schiacciante. C’è chi ha visto un impermeabile beige o color cammello, la divisa d’ordinanza dei neofascisti romani dei Nar – una pista che conduce ai giovani Carminati, Giusva Fioravanti e gruppi della destra eversiva capitolina.

Un altro indizio è il berretto di lana blu insanguinato che viene ritrovato sulla scena del delitto e che scompare misteriosamente quando il giudice istruttore chiede che venga esaminato 10 anni dopo. Dall’ufficio corpi di reato fanno sapere che in seguito ad alluvioni e infiltrazioni nel luogo di custodia il berretto è stato eliminato per “motivi di igiene”.

I giudici Dambruoso, Salvini e Clementina Forleo indagano per 22 anni ma ancora nel dicembre del 2000 è quest’ultima a mettere la parola fine e disporre l’archiviazione. All’intera vicenda il giornalista Daniele Biacchessi ha dedicato il volume Faisto e Iaio. La speranza muore a 18 anni. (1996, 2015)

Fausto e Iaio, i due giovani Leoncavallini, vengono uccisi due giorni dopo il rapimento di Aldo Moro e vivono in via Montenevoso dove mesi dopo viene ritrovato il covo delle Br. «C’è un collegamento? Servizi e Br si stavano parlando?» si domanda la Commissione Stragi. Prove? Nessuna. Libri venduti? Tanti

È invece nella Commissione Stragi in Parlamento che le ricostruzioni non bastano. Partendo dalle dichiarazioni della madre di uno dei due ragazzi ammazzati inziano a circolare nuove ipotesi che riguardano i servizi: nel primo comunicato brigatista dopo il sequestro di Moro vi è una frase che non convince i senatori e gli onorevoli. Un riferimento ai “compagni Fausto e Iaio” assassinati brutalmente dalla Stato borghese e dai fascisti. Fausto e Iaio con le Br non c’entrano nulla. Però abitano in via Montenevoso 9. Di fronte al civico 8 che mesi più tardi verrà scoperto e indicato come il covo delle Br dove si stava mettendo a punto il “memoriale Moro”. Un luogo talmente importante che gli investigatori lo perquisiscono a tappeto senza accorgersi di un’intercapedine ad altezza pavimento e che verrà “scoperta” solo 14 anni più tardi. «Se quell’omicidio e quel primo comunicato fossero un modo in cui servizi e Br stavano comunicando fra di loro?» si domandano a Palazzo Madama e Montecitorio. Come se le barbe finte stessero dicendo ai rivoluzionari armati «sappiamo dove siete». Prove concrete? Praticamente nessuna anche se i legami di Carminati con i servizi emergono a ogni piè sospinto, ma le speculazioni si moltiplicano.

Del resto la Commissione Stragi non è nuova a questo tipo di viaggi e altri ancora più costosi. Come quando presero valigie, documenti e assistenti per recarsi tutti assieme in Sudafrica a interrogare il generale Gianadelio Maletti, l’ex capo del Reparto D (controspionaggio) del Sid (Servizio informazioni delle difesa). Che nel frattempo si era rifugiato a Città del Capo dopo tre anni spesi nelle aule giudiziarie di Catanzaro per il processo sulla strage di Piazza Fontana ed essersi contraddetto decine e decine di volte con quello che era il suo capo dell’epoca, il generale Vito Miceli – entrambi piduisti.

Eppure il Maletti, di tanto in tanto, faceva capolino in Europa, in Svizzera, per andare a farsi curare nelle cliniche private dove raggiunto dai vari giornalisti “pistaroli” forniva elementi più interessanti di quelli forniti alla Commissione Stragi durante la trasferta nell’emisfero australe.

«Chi c’è dietro la Banda della Uno bianca?» domandano i cronisti a fratelli Savi che hanno terrorizzato Bologna per anni. Risposta: «Dietro la Uno bianca c’è la targa»

Servizi e segreti, segreti e servizi. Anche quando i fatti sembrano solo normalissima cronaca, nera, ma cronaca. Nemmeno la “Banda della Uno bianca” si salva. Terrorizzano Bologna e l’Emilia per qualche anno, con rapine e omicidi efferati apparentemente senza senso. Le operazioni criminali sono di tipo para-militare. Dopo aver accusato per anni persone del tutto innocenti con tanto di testimoni disposti a giurare in tribunale viene fuori che la banda è stata creata dai fratelli Savi, poliziotti, con la testa infarcita di suprematismo ariano e nichilismo. Qualcuno però non ci vede chiaro. E chiama in gioco i servizi. Perché? Perché a Bologna in quegli anni ci sono movimenti sociali che sembrano rinascere come nel 1977. Perché il muro di Berlino sta crollando, la guerra fredda è finita e Achille Occhetto convoca alla Bolognina il congresso che sancisce la fine del più grande partito comunista d’occidente. Non si può sapere come verrà presa questa notizia dagli abitanti dell’eterna città rossa. Allora bisogna spaventarli e terrorizzarli.

Intervistato sul tema, dietro le sbarre, alla domanda «Chi c’è dietro la Uno bianca?» Fabio Savi risponde: «Dietro la Uno bianca c’è la targa». Ecco, a volte, dietro c’è solo la targa.

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