Mancano pochi mesi, e poi saranno 500 anni perfetti da quando, una mattina di novembre, un frate agostiniano tedesco decise di attaccare alcuni fogli sul tabellone vicino al portone della Chiesa della sua città. Non erano partecipazioni di nozze e nemmeno il bollettino parrocchiale dell’Università, ma tesi di carattere religioso destinate a cambiare la storia di tutta l’Europa. Martin Lutero, questo il nome del frate, era un bellicoso professore di teologia illuminato da un’interpretazione all’epoca straordinaria dei testi biblici. E che aveva molta voglia di discutere. Pure troppa.
In sostanza, era molto arrabbiato con la Chiesa di Roma per svariate ragioni. La prima, la principale, era il commercio delle indulgenze: si trattava della compravendita di speciali certificati emessi dalla Chiesa (e garantiti dai banchieri Fugger) che promettevano, anzi assegnavano, posti migliori nell’aldilà. La cosa non gli piaceva: era sospetta in generale e, a suo avviso, non fondata dal punto di vista teologico. Con le sue riflessioni Lutero era arrivato a pensare, anzi a convincersi, che a salvare l’uomo non fossero i meriti acquisiti nella vita con le preghiere o con le buone azioni (e tantomeno le indulgenze), ma soltanto l’opera di Dio. La fede – e di conseguenza la salvezza – non sono nelle disponibilità dell’uomo, troppo corrotto nella sua natura dal peccato, ma sono doni che Dio, nella sua misericordia, si ripromette di assegnare agli esseri umani. Insomma, non ci si salva pagando una commissione ai banchieri, ma soltanto se lo ha deciso Dio.
Le sue tesi suscitarono un grande clamore: il vescovo della sua regione, preoccupato, lo segnalò al Papa. Il Papa, a sua volta, lo invitò a più riprese a Roma per “discutere” un po’ e Lutero, intuendo il profilarsi di un trappolone, si rifiutò ogni volta. Alla fine, quando si incontrarono nel 1518, era troppo tardi. In tutta la Germania le tesi di Lutero, che in buona sostanza sottraevano le regioni tedesche dall’orbita di Roma, avevano già fatto furore. I contadini si erano sollevati e si erano già registrati scontri con le autorità. I principi elettori, presi nel mezzo dei sommovimenti, decisero di ritrovarsi in un consiglio per decidere insieme il da farsi. Proprio in quell’occasione, ad Augusta, il Papa contattò Lutero. Non in persona, certo, ma per mezzo del cardinale Tommaso De Vio da Gaeta. I due teologi si incontrarono a casa di Fugger (guarda caso) ma l’incontro, che avrebbe dovuto essere chiarificatore, non chiarì un bel nulla. Se non che c’era uno scisma in atto e che non si poteva fare più niente per fermarlo.
L’epoca e il mondo di Lutero erano così: frastagliati e confusi. Il principe elettore del suo Stato, Federico il Saggio, prese più volte le sue difese (al punto da ospitarlo e nasconderlo nel suo palazzo) ma non si convertì mai al protestantesimo. Il cattolicesimo, per tante ragioni, gli conveniva di più. Anche soltanto per il flusso di quattrini che, ogni anno, gli finiva in tasca grazie alle continue visite dei pellegrini alle sue 18.970 reliquie, raccolte e fatte arrivare da ogni parte del mondo. Ma Lutero non era solo: dalla sua parte si schierò Melantone, umanista laico ma interessato a trovare punti di convergenza nelle diatribe religiose dell’epoca. L’intellettuale, sensibile alla questione, prestò a Lutero la sua sapienza e il suo rigore di professore di greco.
Melantone, con la sua raffinatezza, compensava anche i modi rozzi del frate domenicano. Lutero era un personaggio più che eccentrico. Energico, durissimo, dotato di un senso dell’umorismo molto dozzinale (il massimo del suo spirito era definire la chiesa “letame”), scriveva tantissimo, fino alla patologia. Odiava i papisti, detestava i calvinisti, non sopportava nemmeno gli ebrei. Era anche incline alla bugia, soprattutto su di sé: alle sue celebri cene era solito raccontare di essere nato in un ambiente povero, mentre era più che noto che la famiglia d’origine, che forse non era ricchissima, per un certo periodo ebbe un tenore di vita molto alto.
Particolare importante fu che gran parte della sua vita, senza che ne fosse consapevole, girò intorno al mondo dei metalli. Il padre, Hans Luder, per mestiere li fondeva (in particolare si dedicava al rame). In casa giravano molti gioielli, monete, utensili. E le miniere delle montagne Harz, da cui venivano estratti, erano l’origine del sostentamento della sua famiglia – ma anche la fonte della ricchezza dell’onnipresente Fugger. Per tutti questi motivi, alcuni storici, conoscendo il grande valore, anche simbolico, attribuito in famiglia al metallo, ipotizzano che le famose tesi che hanno sconvolto la cristianità non fossero state piantate con dei chiodi, bensì con alcune colle particolari o con la cera. Lutero, per formazione, a queste cose ci stava molto attento.
E così, dopo aver rifiutato la Chiesa di Roma, istituito una nuova religione, aizzato popoli e rovesciato regnanti, aperto una guerra che durerà secoli, Lutero si sposa pure. Una donna concreta che, oltre a dargli sei figli, lo stupirà per la bravura nel pulire casa e ancor di più nel produrre ottima birra. E, soprattutto, per le varie iniziative intraprese per aiutare i poveri, tra cui l’apertura di un ospedale e quella di una fattoria di maiali. Nel tempo libero, si prendeva cura di quattro orfanelli.
La birra e i maiali, di conseguenza, erano i protagonisti principali delle splendide cene, piene di invitati, in cui Lutero raccontava le sue storie e delineava le sue visioni teologiche. Sembra di capire che, partendo dalle piccole cose, l’uomo era grande, grandissimo, ma senza la moglie avrebbe concluso ben poco. Dietro a un grande scisma, insomma, c’è sempre una grande donna.