Salvate i migranti delle marce degli Uomini Buonissimi

Pur con le più nobili intenzioni, la marcia di Milano del 20 maggio non offre soluzioni a chi vuole risolvere il problema dell’immigrazione. Anzi, legittima un modello di accoglienza, quello attuale, profondamente sbagliato. Per i migranti e per chi nelle periferie ne subisce l’arrivo

Il modo peggiore per affrontare un problema è affrontarlo in maniera bigotta. Anziché fare lo sforzo di valutare criticamente un fenomeno complesso, dettagliato in una moltitudine di casi particolari, il bigotto si affida ad un insieme di credenze precostituite, tappandosi gli occhi per non vedere ciò che è in contraddizione con i propri pregiudizi. Il bigotto è un consumatore pigro che per non fare fatica acquista un’idea all’ingrosso al centro commerciale dell’ideologia, invece che perdersi in estenuanti giri di bancarelle nel bazar del pensiero critico.

In Italia siamo campioni mondiali in fatto di bigottismo intellettuale. Come cantava Giorgio Gaber in “Destra-Sinistra”, solo noi abbiamo quella capacità, grottesca fino al parossismo, di inquadrare tutto – perfino il culatello o la Nutella – dentro una categoria ideologica. Il problema è che affrontare in maniera ideologica un problema come l’immigrazione è un esercizio drammatico, perché in ballo c’è la vita delle persone.

Il seguace di Salvini è evidentemente un bigotto.
Quando apre la bocca per gridare di «aiutarli a casa loro», contemporaneamente si tappa gli occhi, per non vedere che casa loro è andata distrutta in seguito alla gestione del dopo Primavere Arabe, col benestare del Nobel per la Pace Barack Obama.
Quando sui social scrive «fermiamo l’invasione», fa apposta a distogliere lo sguardo, per non vedere che l’invasione è già avvenuta e che lui stesso ha fatto di tutto per favorirla: il lavoro servito a produrre gli oggetti di cui lui è accanito consumatore, a cominciare dal telefonino che impugna per gridare la propria italianità, è tutto fuorché italiano.
Prodotti, servizi, infrastrutture, giù fino ad inconfessabili esperienze d’amore a pagamento: molti Ultras Identitari hanno goduto per decenni dei comfort forniti dalla globalizzazione e ora se la prendono con l’inevitabile risultanza. Così si affidano al bigottismo del loro leader cui fanno da scudo umano sui social, in una difesa che è anzitutto difesa di loro stessi, tentativo urlato di sfuggire alle loro stesse contraddizioni.

Lo stesso ragionamento, tuttavia, può essere applicato all’acerrimo nemico dell’Ultras Identitario, ovvero l’Uomo Buonissimo, l’apostolo laico dell’Accoglienza a prescindere. Anche lui si tappa gli occhi per non vedere ciò che lo disturba.
Giorgio Gaber, di nuovo, diceva libertà è partecipazione: accogliere qualcuno vuol dire renderlo libero, partecipe, dargli la possibilità di affermarsi nella gerarchia sociale, di realizzarsi sia da un punto di vista professionale che emotivo. Di innamorarsi, di studiare, di avere dei sogni.
Ma in un Paese dove la priorità dagli anni ‘70 ad oggi è stata la difesa delle pensioni e dell’ordine costituito (anche grazie ai sindacati ieri in piazza), dove un’economia stagnante e una società ripiegata su se stessa obbligano 7 giovani su 10 a vivere con i genitori, dove il Ministro del Lavoro dice a questi 7 giovani che le loro lauree e i loro master sono carta straccia e ciò che conta davvero è giocare a calcetto, quali possibilità di affermazione sono lasciate a chi arriva da fuori, spesso senza neppure saper parlare la nostra lingua?

in un Paese dove la priorità dagli anni ‘70 ad oggi è stata la difesa delle pensioni e dell’ordine costituito (anche grazie ai sindacati ieri in piazza) quali possibilità di affermazione sono lasciate a chi arriva da fuori, spesso senza neppure saper parlare la nostra lingua?

Il sindaco di Milano Beppe Sala, in un’intervista a Repubblica ha parlato della necessità di mantenere “un’apertura internazionale”. Non solo verso “le multinazionali che aprono sede da noi”, ma anche verso chi scappa dalla guerra e ora “accudisce i nostri anziani, imbianca le nostre case”. Come un simile ragionamento, ispirato in modo cristallino a valori di destra, si concili con il sentire degli elettori di centro-sinistra è questione in questo momento secondaria. La questione principale è chiedersi se si concili con le attese e le speranze dei migranti stessi.

Ieri, in piazza, i migranti mostravano cartelli con scritto “we are musicians” o “we want to do fashion”, eppure il sotto-testo della logica dell’accoglienza, finora, è stato il seguente: caro migrante, io ti accolgo, ma la tua unica prospettiva sarà fare un lavoro che a noi fa schifo e se sporco di calcinacci o farina oserai lamentarti, se non sarai grato, se le privazioni e la solitudine sentimentale e sessuale ti porteranno a ribellarti, allora griderò alla violazione del fantomatico “patto d’accoglienza” e con te sarò spietato.

Se si pensa che l’accoglienza sia questa, il tutto ha una sua logica, ma deve essere chiaro che tra questo modo di pensare e lo schiavismo americano ottocentesco c’è una differenza di grado, e non di sostanza.
Se si pensa, invece, che l’accoglienza sia altro e passi dall’uguaglianza reale di tutti i cittadini e delle possibilità esistenziali loro offerte, allora non si deve marciare: si deve spiegare, concretamente, come ciò possa avvenire.

Peccato che di proposte concrete l’esercito di Uomini Buonissimi in marcia il 20 maggio non ne fornisca, eccetto dettagli ed equilibrismi atti a stare contemporaneamente con i centri sociali e con Minniti.
Battersi per l’accoglienza, per questa accoglienza, è allora un’altra forma di bigottismo, identica a quello di Salvini, solo di segno opposto: anch’essa si basa sulla rinuncia, sul tapparsi gli occhi per non fare i conti con lo stato delle cose.

Si può obiettare che nel secondo caso le intenzioni siano migliori. Sicuramente la maggior parte della gente e delle Associazioni ha intenzioni nobilissime ma, allo stesso modo, non tutti quelli che abitano in periferia o in provincia (lande sconosciuti alla sinistra in camicia e maniche arrotolate, di cui Sala rappresenta una formidabile icona) e che hanno visto il loro quartiere o il loro paese cambiare completamente nel giro di pochi anni sono dei pericolosi razzisti. Sono gente spaventata, che non vedendo futuro per sé e per i propri figli si chiede come, in questa situazione, sia possibile offrirlo a chi viene da fuori.

Questi due bigottismi, uguali e contrari, finiscono allora per giustificarsi a vicenda, per esistere ognuno grazie all’esistenza dell’altro: l’Ultras Identitario esiste per contrastare l’Uomo Buonissimo che farebbe entrare tutti ma senza avvertire alcun rimorso nel vederli poi abbandonati davanti alla Stazione Centrale o umiliarsi con il cappello in mano fuori dai bar, pensando che basti un piatto di minestra riscaldata per giustificare un’esistenza.
Allo stesso modo, l’Uomo Buonissimo esiste perché, non ci fosse lui, l’Ultras Identitario prenderebbe il sopravvento e gli elementi più esagitati – comunque una minoranza, come si è visto nelle elezioni francesi – farebbero precipitare la situazione dentro una spirale di violenza indistinta.

il sotto-testo della logica dell’accoglienza, finora, è stato il seguente: caro migrante, io ti accolgo, ma la tua unica prospettiva sarà fare un lavoro che a noi fa schifo

Forze politiche responsabili lascerebbero perdere il wrestling quotidiano delle accuse e delle contro-accuse, delle manifestazioni e delle contro-manifestazioni, e si unirebbero per chiedere all’Europa – e magari anche alle Nazioni Unite – la costituzione di un Forum Mondiale permanente su un’emergenza che sta al nostro secolo come i totalitarismi stavano al secolo passato. Se nessuno lo fa è solo per tenere in vita il dibattito che, come si sa, è il vero sale del capitalismo. È il dibattito che fa vendere i giornali, che fa guardare i talk-show in TV, che fa riempire il bicchiere di vino al bar fino a tarda sera; è grazie al dibattito che si generano impressioni e commenti sui social, si guadagnano followers e – soprattutto – si lanciano e costruiscono carriere politiche. Il dibattito, insomma, produce un gigantesco valore economico, e nel peggiore dei casi fa comunque passare il tempo, scaccia la noia, fornisce un motivo per trascorrere un sabato pomeriggio all’aria aperta.

Attorno al dibattito, attoniti e impotenti, ci sono i migranti, con le valigie in mano davanti alla Stazione aspettando un treno che non passa, con la prospettiva esistenziale di passare la vita a pulire il sedere ad un anziano sforzandosi di sorridere o di tornare a casa ad abitare macerie col rischio di essere sgozzati. Nessuno, al momento, ha i mezzi o l’interesse per offrire loro di meglio.

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