Bene sì, ma non benissimo. Quando si parla di grande distribuzione e di consumi di beni non durevoli (i cosiddetti fast moving consumer goods cioè la spesa al supermercato) i segnali, almeno per quanto riguarda il mercato italiano, non sono chiari. Miglioramenti – un po’ – e molta prudenza. Lo spiega Giovanni Fantasia all’apertura di Linkontro, cioè il convegno annuale della grande marca e della distribuzione (arrivato alla sua 33esima edizione): nel 2017 il trend sembra dire che gli italiani spenderanno un po’ di più rispetto al 2016, compreranno un po’ di più, saranno più attenti alla qualità. In particolare, nel settore dell’alimentare.
Un trend, appunto, perché «l’analisi evidenzia uno scenario mutevole e frenetico», e le imprese «devono adattarsi alla nuova domanda del consumatore». Osservando però le diverse indicazioni. La prima è che l’alimentare la fa da padrone. Da gennaio ad aprile si è rilevato un aumento del 3,4% nella spesa nel settore food, beverage e – attenzione – pet, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un segno di ripresa che però non deriva né da un arricchimento degli italiani né da una marcata propensione al consumo: se l’alimentare cresce, calano (molto) il settore della casa (-1,7%) della cura della persona (-1,3%) e del bazar/tessile (-2,5%). Sono, insomma, gli stessi soldi che si spostano da un settore all’altro. Un’altra vittima dell’aumento della spesa nell’alimentare è, a quanto sembra, anche la ristorazione.
Non solo: la crescita indica più la spesa monetaria che i volumi di vendita – che aumentano con meno velocità e che comunque non sono sempre indicativi. Gli italiani spendono di più, sì. Ma non consumano in proporzione a quanto spendono. Una delle spiegazioni, la più semplice, è che i prezzi sono aumentati e, di conseguenza, per mantenere lo stesso livello di consumi si è costretti ad aumentare la spesa. Un’altra ragione è che le abitudini d’acquisto stanno cambiando. Secondo le analisi della Nielsen, aumenta in particolare la spesa dedicata al segmento benessere e naturale (che comprende il 41% del totale), cioè ortofrutta, accompagnata dalla spesa nel settore servizio, che comprende zuppe pronte fresche (33%), piatti pronti freschi – esempio: il sushi – (25%), pizze surgelate (9%) caffè in capsule (20%). In sostanza, si spende di più quando si ha un vantaggio in più, come ad esempio la possibilità di non dover cucinare, o, secondo un’ottica di lungo periodo, per salvaguardare la salute con una corretta alimentazione, risparmiando in questo modo sulle eventuali cure. Ma le quantità non crescono.
Il trend sembra dire che gli italiani spenderanno un po’ di più rispetto al 2016, compreranno un po’ di più, saranno più attenti alla qualità. In particolare, nel settore dell’alimentare
In questo senso, non stupisce la crescita del biologico, ormai una nicchia in piena espansione, tanto da godere di una spesa di 1,2 miliardi di euro in un anno (stime fino ad aprile) e di un aumento del 19,8%. La sua crescita trascina con sé altre categorie simili: gli integrali, che aumentano dell’11,3%, con una spesa di 435 milioni, i cibi senza glutine (170 milioni, +26,3%) e i cibi senza lattosio (376 milioni, + 6,3%). Segno che un effetto del marketing ha generato una domanda di cibi considerati più salutari – e, nel caso dei senza glutine, anche generando qualche eccesso di richieste.
Dopo anni, infine, torna a crescere il meridione. La regione del Sud Italia (area 4 nello schema sottostante) guida la spesa di tutto il Paese. Vale sia per i valori, che registrano un +2,7%, sia per i volumi, che toccano quota +2%. Non è, insomma, solo una questione di inflazione, ma un reale aumento dei consumi. Un segnale che viene visto con una certa fiducia da parte degli analisti, anche se è ancora difficile da decifrare. In particolare, è ancora da vedere se può essere associato a un aumento della produzione agricola locale o se si tratta soltanto di una variazione di abitudini a seguito di un lungo periodo stagnante.
In tutto questo, aumenta un pochino anche il peso dell’e-commerce. Da un lato cresce il numero degli utenti della rete, che tocca quota 30,7 milioni. Dall’altro anche quello della spesa online. Circa la metà di chi va su internet visita siti di retailer e di brand – sono cioè 14 milioni. E in tutto il 2016 il fatturato di tutti gli acquisti in rete in Italia ha toccato quota 622 milioni. Per fare un confronto, equivale all’1,1% del fatturato totale del solo settore del largo consumo. Un segnale, forse. Ma in un’Italia ancora scottata dalla crisi e insicura sul futuro, non è di certo un boom.