“Lavorare gratis, lavorare tutti” dice il sociologo Domenico De Masi, uno dei nuovi guru del Movimento Cinque Stelle, che su questa idea ci ha fatto pure un libro di 300 pagine, spiegandoci che l’improvvisa irruzione sul mercato di mano d’opera gratuita farebbe saltare il mercato e obbligherebbe a ridistribuire mansioni, orari, stipendi. Il fatto è che il lavoro gratis è già ampiamente diffuso, senza – pare – nessuna conseguenza rivoluzionaria.
La società Accenture, multinazionale americana di consulenza alle imprese, il 14 giugno scorso ha diffuso una ricerca illuminante: l’83 per cento degli interpellati (tutti studenti universitari) «è disposto ad accettare un tirocinio non retribuito dopo la laurea in caso non sia disponibile un lavoro a pagamento». E una analoga percentuale questo lavoro gratis lo farebbe pure trasferendosi all’estero, cioè accollandosi spese non indifferenti per sopravvivere lontano dalla famiglia. Implicito il consiglio alle aziende: perché pagare i giovani italiani quando sono disposti a lavorare senza salario?
L’analisi della multinazionale ci spiega come mai, da un paio di anni a questa parte, le offerte di lavoro gratuito anche per personale qualificatissimo si sono moltiplicate. Non è cialtroneria dei singoli, cinismo, vocazione allo sfruttamento, ma una tendenza di largo respiro, frutto di analisi molto precise sul livelli di «flessibilità» estrema – la definizione è di Accenture – raggiunto dai laureati del nostro Paese negli anni della crisi: pronti non solo a spostarsi, ad accettare formule contrattuali di fantasia, a rinunciare ai contributi, alla previdenza, alle ferie pagate, ma disponibili pure a cancellare almeno per un po’ l’essenza stessa di ogni rapporto di lavoro: la retribuzione.
Il lavoro a costo zero si fa strada ovunque: vedi il clamoroso caso della Biblioteca Nazinale con i dipendenti “a scontrino” ai centri estivi per bambini, dove il personale specializzato è via via sostituito da volenterosi ragazzi
Dunque, è perfettamente in linea con le nuove tendenze lo «studio tecnico con progetti attivi in Italia, Francia e Nuova Caledonia» che cerca un giovane bilingue che sappia fare praticamente tutto nel campo della comunicazione e dei social – video, testi, pubblicità, spot e pure gestione di campagne publicitarie e pianificazione – ma vuole pagarlo solo in un futuro indeterminato, quando «in base ai risultati raggiunti» sarà valutata la «possibilità di assunzione». E si giudicherà addirittura benemerita l’azienda di Grugliasco dileggiata sui social perchè proponeva 23 euro al giorno per sei mesi a un «ingegnere edile trilingue laureato col massimo dei voti e disposto a trasferte». A sentire Accenture quell’ingegnere poteva averlo gratis: che gli abbiano proposto il corrispettivo di due pasti da Mc Donald’s ogni giorno è già grasso che cola.
C’è un sindacato, l’Inarsind, che tempo fa provò a organizzare su Facebook un Osservatorio chiedendo a ingegneri e liberi professionisti di segnalare le loro storie di tecnici non pagati (contro l’articolo 36 della Costituzione che recita: «Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro»). Ne uscirono fuori storie spericolate. La più estrema è quella dello stadio di Pisa. Serviva il lavoro di molti geometri e si procedette così: ai giovani diplomati fu proposta l’iscrizione (a pagamento: 600 euro cadauno) a un corso di formazione, nel corso del quale avrebbero svolto il “lavoro di fatica” necessario alla progettazione. Oppure l’idea meravigliosa del Comune di Battipaglia, che per fare il nuovo Piano Regolatore arruolò con regolare bando un gruppo di volontari, «laureati in Ingegneria civile, edile, ambientale e informatica», disponibili a «partecipare e fornire gratuitamente» il proprio contributo.
L’idea meravigliosa del Comune di Battipaglia, che per fare il nuovo Piano Regolatore arruolò con regolare bando un gruppo di volontari, «laureati in Ingegneria civile, edile, ambientale e informatica», disponibili a «partecipare e fornire gratuitamente» il proprio contributo
A Roma l’amministrazione Cinque Stelle ha affidato al volontariato gratuito persino gli spettacoli di piazza dell’ultimo Capodanno. E il lavoro a costo zero si fa strada ovunque: dal clamoroso caso della Biblioteca Nazinale con i dipendenti “a scontrino” ai centri estivi per bambini, dove il personale specializzato è via via sostituito da volenterosi ragazzi che si accontentano di una citazione per il curriculum o di vaghe promesse per il futuro («Quest’anno fai esperienza, poi magari il prossimo ti paghiamo»). Fino a un paio di anni fa contro questa tendenza c’era qualche segnale di rivolta. Una meritoria campagna intitolata «CoglioneNo» spopolò denunciando l’abuso del lavoro intellettuale – grafici, giornalisti, media manager, animatori – pagato in «visibilità». Uno sforzo inutile, visti i risultati: quando 8 laureati su 10 sono pronti a lavorare gratis, dopo percorsi di studio anche faticosi e spesso comprensivi di stage di formazione, perché qualcuno dovrebbe pagarli?
Abbiamo ricevuto e pubblichiamo, per dovere di cronaca, una rettifica da parte dell’avv. Simone Negro concernente i fatti riguardanti l’architetto Gino Zavanella.