Buttafuoco: la politica è finita, ci restano i baci

Con "I baci sono definitivi" lo scrittore e giornalista siciliano racconta l'imprevisto amoroso che arriva nel nostro quotidiano. Meglio l'amore (e il sacro) della politica "intossicata nella peggiore deriva democratica", e di un giornalismo in cui "c'è più censura adesso di vent'anni fa"

Metti una mattina qualsiasi (presto, preferibilmente) in metropolitana. Ci puoi incontrare una Madonna con Bambino, oppure Cyrano de Bergerac, oppure Obelix (lui, col Menhir), oppure lei proprio lei: Persefone, Proserpina, Kore del Cosmo. Nientemeno che la moglie del dio degli inferi. E sono incontri veri, non fantasie letterarie o illusioni. Viene fuori una strana atmosfera leggendo I baci sono definitivi, ultimo libro di Pietrangelo Buttafuoco (La nave di Teseo, pp 200 €18). Una sfilza di piccole cronache nella metro romana. Tutto perfettamente quotidiano: il tran tran, il pendolarismo, la città, gli orari, la pausa pranzo.

Ma proprio nel quotidiano, qui, spunta l’ammicco della mitologia e della metafisica. Spunta l’occhiolino dell’eterno e spunta l’amore che alla fine chiama l’eterno, perché le storie d’amore non finirebbero mai, nessuna, mai, nemmeno la più accennata o mancata, se non fosse per un qualche atto arbitrario. Atmosfera strana in questo libro, quindi. Proprio perché la cronaca (Buttafuoco, nonostante il successo dei suoi romanzi tiene a definirsi un cronista) serve per raccontare altro: una sorta di essenza profonda da cogliere in modo intuitivo. Una dimensione “immaginale” (per dirla con Henry Corbin) o un “bios” (per dirla con Giorgio Colli). Tutt’altro che una divagazione letteraria, piuttosto una realtà più vera che di tanto in tanto emerge dal quotidiano. Una realtà nella quale non i tatuaggi ma i baci restano.

Buttafuoco: perché i baci sono definitivi? Secondo quasi tutti l’amore è mutevole. Ha presente la canzone Love letters in the sand, o la frase di Don Fabrizio: “fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta”?
Sono definitivi perché sono l’essenza dell’incontro. Ben più che un tatuaggio. Sono una meravigliosa cicatrice che ognuno ha stampata nella memoria, quindi in petto, sebbene i baci vadano a collocarsi sulle labbra o sulle gote.

A differenza della metro di Milano, che è tenuta benissimo e scende di pochi metri, quella romana dà l’idea del viaggio infero: la profondità. i convogli più radi, le scale d’accesso circondate da cespugli
E poi attraversa tutte le epoche storiche ed è il luogo da cui parti per andare negli aeroporti, nelle stazioni, nelle autostrade. Quindi è il luogo perfetto per gli scambi, per le mutazioni di luogo, i passaggi di stato…

Passaggi di stato alchemici, pare. Ecco: questo è un libro fatto non tanto di amore come costume amoroso (o sessuale), quanto di fatti che rimandano a un’atmosfera ctonia. C’è qualcosa di non perfettamente materiale, nello scorrere della vita?
Ho imparato da Henri Corbin, e dal suo concetto di “immaginale”. Le cose come avvengano testimoniano la fatica di fare uscir fuori l’invisibile che sta addosso, dentro, attorno a noi. Ma, attenzione, solo nella banalità della vita quotidiana può scatenarsi la meraviglia. Solo lì.

Be’ questo è un concetto inaccettabile per la cultura contemporanea. A lume di scienza & zeitgeist se c’è una forza che ci trascina ci porta non verso una verità “alta”, mistica, metafisica, ma semmai verso il finito, verso il deterioramento, l’ossidazione. La morte. Pensare a un qualcosa di diverso è solo fantasy…
Non sono d’accordo. la morte non è che l’inizio, se non un attraversamento. Tante piccole gocce possono essere lacrime o una pioggia. Possono generare un mare o se catturate dal pennello di un pittore possono diventare una messa in scena.

E questo nella mia condizione di travet che passa da una parte all’altra della città che vuol dire?
Nella nostra condizione di singoli atomi, proiettati nella vita quotidiana, nel camminare nell’andare ognuno al proprio posto di lavoro e nel farsi carico di tutta una giornata, quello che ti porti dietro, e che magari hai lasciato nel cuscino coi sogni, è ciò che poi ti porta a smuovere da dentro il sentimento del cercare. Per trovare gli altri. Quindi il passaggio fondamentale, che poi è quello che mi ha acceso l’idea del libro è il seguente: a) È molto più importante guardare che essere guardati. b) È molto più importante amare che essere amati.

Vuole dire che il cercare corrisponde sempre a un’intenzionalità metafisica, illimitata, infinita?
L’amore gratuito di una madre è fatto di un destino: amare piuttosto che essere amati, guardare più che essere guardati. Cercare invece di farsi cercare. Ed è qui che nasce la capacità di meravigliarsi, di trovare lo stupore nella propria giornata. Altrimenti saremmo solo delle rotelline che di volta in volta necessitano solo di un lubrificante.

Pare ci sia un continuo sottotesto religioso in quello che sta dicendo. È vera o non è vera la sua conversione all’Islam?
Di questo non parlo. Per non dare adito a pettegolezzi e morbosità…

Sappiamo però che appartiene a una tradizione. Una tradizione che nasce dall’antica Grecia, passa attraverso il medioevo islamico (e non solo), sbocca in certe correnti legate al misticismo e all’esistenzialismo contemporaneo…
Sono radicato nella tradizione, e so perfettamente quanto di Iside c’è nelle processioni delle nostre Madonne o quanto di Dioniso c’è nella raffigurazione dell’Eucaristia e della Crocifissione. So quanto di potentemente saraceno c’è nei dodici gradi di obbedienza di Bernardo da Chiaravalle.

Negli anni ha avviato una brillante carriera da scrittore. Si sente ancora fondamentalmente un giornalista?
Più che un giornalista, un cronista, che è una cosa diversa

Perché?
L’etimo della parola giornalista contiene la giornata. La parola cronista invece contiene l’esatta cronaca, una fatica da chierico, da alunno di maestro medievale, che mette in fila i fatti le facce, le storie, attraverso quel meccanismo perfetto che dalla realtà porta alla verità.

Abbiamo Facebook, Twitter, Instagram. Abbiamo i giornali che spesso li copiano, riportano le notizie che sono già diventate di pubblico dominio su questi social media. Quello di cronista è un mestiere morto?
Il giornalismo esiste “a prescindere”. Anche se non ci sono più le cabine telefoniche la gente continua a telefonare. Anzi telefona molto di più. E’ banale dirlo ma è così: muoiono i giornali, non il giornalismo. Entriamo in una fase del mestiere molto delicata. Non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente. E’ diventata molto forte l’autocensura, la paura. Siamo in una fase in cui non c’è più la felicità di parola, la possibilità di affrontare gli argomenti con spirito critico. Siamo tutti sul chi va là.

Sta dicendo che oggi c’è, con tutti i social e i network del caso, c’è più censura nell’informazione di quanta ce ne fosse venti anni fa? I social sono forse un panopticon?
Una volta la censura dei giornali funzionava sul fatto che non potevi criticare la Fiat perché avevi la pubblicità. O che non potevi criticare il marchio della moda perché ti toglievano le pagine. Ma potevi mettere lo scolapasta in testa a Silvio Berlusconi, non ti succedeva niente. O potevi descrivere Craxi nelle fattezze di un cinghiale. Adesso perfino una grande artista come Virginia Raffaele ha delle cautele nel fare l’imitazione di Maria Elena Boschi. Siamo tornati alla situazione degli anni Cinquanta, quando Tognazzi e Vianello potevano subire un lungo esilio dalla tv di stato solo perché si erano permessi in una battuta di alludere al presidente della Repubblica.

Ha appena scritto un libro sull’amore. Ha scritto diversi romanzi. C’è la sensazione che da un po’ si sia stufato della politica…
Certo. Perché ho sempre seguito la regola di un duplice metodo di studio: esoterico ed essoterico. E ho capito che la politica, oggi, è decisamente precipitata nella totale volgarità, ed è velenosa e dannosa.

Perché?
In Italia le élite si sono intossicate della peggiore deriva democratica.

C’èra una volta la destra in Italia (ci riferiamo alla tradizione del Msi, che aveva una propria riconoscibilità culturale). La destra in Italia chi l’ha fatta fuori?
È morta con la seconda Repubblica. Una prova di governo spaventosamente fallimentare.

Cosa è mancato?
È mancata la professionalità, la qualità culturale.

E oggi un po’ dappertutto, non solo in Italia, assistiamo all’emergere di foze politiche che non hanno nulla a che vedere con le ideologie del Novecento. Come le raccontiamo? Come le giudichiamo?
Se a Roma al posto della Raggi ci fosse stato un rappresentante dei Democratici forse sarebbe anche peggio, perché ci sarebbero le bande del PD che spadroneggiano in giro per la città. Del resto cosa ti puoi aspettare? È pur sempre democrazia, e la democrazia è la peggior forma di governo in assoluto. Una testa un voto è un’aberrazione. Perché ci sono teste totalmente vuote. Tra voto e vuoto il passo è breve.

Anche uno come Trump? Si legge o non si riesce a capire
È l’imponderabile. Certo meglio lui che la Clinton. Perché quest’ultima avrebbe scatenato una guerra spaventosa. Ma Trump è andato in Arabia Saudita, alla fine prendendosela con l’Iran, che è l’unico che fa la guerra all’Isis. Poi l’opinione pubblica italiana è rimbambita perché non capisce questi fatti elementari, la verità delle cose. Non c’è stato un giornale autorevole che la raccontasse.

Zero politica, zero racconto politico nei giornali. Nulla da raccontare sul versante pubblico quindi?
Per usare un termine delle sacre scritture induiste, siamo nell’era oscura del kali yuga. Dobbiamo attraversare una fase della storia in cui i cosiddetti buoni sono quelli che stanno mettendo in catene il mondo. E i cattivi soccombono cercando qualcuno che possa capire il loro alfabeto. Ma ci interroghiamo su cose alle quali si può rispondere solo con una frase di Wittgenstein: “di ciò di cui non si può parlare si deve tacere”.