Giovani, carini e sottoccupati: ecco l’Italia che lavora poco (e non può pianificare nulla)

Il numero dei sottoccupati è più che raddoppiato in dieci anni, con grandi differenze demografiche e di sesso. Pessima notizia per i giovani: sebbene l'aumento sia frutto della crisi, in Italia ci si potrebbe abituare alla sottoccupazione

Hanno raggiunto a inizio 2017 la quota di 800 mila persone, non moltissimo nel mare dei 22 milioni e più di occupati italiani, ma cominciano a essere un numero interessante se pensiamo che un anno prima erano 722 mila, e soprattutto che 10 anni fa solo 357 mila.
Parliamo dei sottoccupati, di tutti coloro che, vuoi perchè impiegati un part time che non volevano, vuoi perchè assunti con contratti di poche ore, lavorano meno di quante potrebbero e vorrebbero.
Fino al 2011 il numero di sottoccupati era rimasto stazionario o, in alcuni anni, anche in leggero calo. L’occupazione aumentava, seppure grazie a un numero crescente di assunzioni a tempo determinato, ma la precarietà del lavoratore si esprimeva tramite contratti a scadenza, e non ancora con una riduzione dell’orario.
Come per mille altri casi la crisi economica ha cambiato le cose. Il tentativo di salvare posti di lavoro ha portato a mini-contratti, ingaggi di poche ore. Il dato fondamentale però è che questa tendenza è proseguita anche con la ripresa.

Si tratta soprattutto di donne, tra cui quelle sottoccupati rappresentano quasi il 5% di quelle che lavorano, ma gli uomini stanno recuperando, ed è tra di loro che vi è stato l’aumento maggiore dagli anni precedenti alla crisi, con un più che raddoppio, da 123 mila a 332 mila.

Ed è chiaro, stanno saltando vecchi riferimenti, stanno finendo i tempi in cui i lavoretti erano soprattutto femminili, commessa, cameriera, baby-sitter. Non solo, le stesse mansioni vengono sempre più ricoperte dagli uomini, ma part time o contratti da poche ore si stanno diffondendo anche in altri settori, nell’industria, nella logistica, nel lavoro come “socio” delle cooperative, per esempio.
Anche geograficamente il lavoro di poche ore si sta diffondendo in modo omogeneo, crescendo, in termini di percentuale sugli occupati, più al Nord che al Centro e nel mezzogiorno

Aumentano gli uomini del Nord sottoccupati, mentre calano le donne del Centro e del Sud, per esempio.

Molta meno omogeneità troviamo quando guardiamo al lato demografico. Qui come sempre piove sul bagnato.
Sono i giovani come sempre a soffrire maggiormente. Se nel 2007 la differenza tra la proporzione di sottoccupati tra i 55 e i 74 anni e tra i 15 e i 24 anni era minima, di solo un un punto, ora è di quasi 5.
Nel caso dei più giovani si è più che triplicata. In crescita anche la sottoccupazione tra i 25-34enni. Mentre è sempre più sotto la media tra i lavoratori più anziani.
E questo nonostante l’occupazione tra questi ultimi sia cresciuta più che tra ogni altro segmento di età.
È un’ulteriore dimostrazione che i tanti nuovi apparenti posti di lavoro per ultra 50enni sono in realtà o assunzioni di professionalità di alto livello o maggiore permanenza al lavoro grazie alle riforme pensionistiche.
Non si è probabilmente ancora verificato il fenomeno di anziani lavoratori costretti a lavoretti per pagarsi la pensione o arrotondare uno scarso reddito, come per esempio negli USA:

Quello che emerge è la scarsa qualità della nostra ripresa. Basata sul ritorno al lavoro o soprattutto sull’emersione dell’inattività di giovani dall’istruzione bassa, costretti a contratti particolari sfavorevoli.
I lavoratori più colpiti dalla sottoccupazione sono infatti quelli con licenza elementare o media, soprattutto se donne, e con il diploma.
In questo caso i laureati sono meno coinvolti, anche se è facile immaginare come ci sia una differenza tra le diverse età anche in questo gruppo.

Chiaramente siamo di fronte a un tentativo di ripresa che non sacrifichi la produttività, come accaduto in passato.
Se il PIL non riesce a crescere di più del 0,8-1%, e contemporaneamente si vuole aumentare l’occupazione, o si comprimono i salari, e sta già accadendo, o si lavora meno ore, o entrambe le cose, così che alla fine il prodotto per ora lavorata aumenti e non cali.
E’ chiaro, meglio questa soluzione che quella, utilizzata un tempo, degli aumenti ai pochi già occupati a tempo pieno con contratto a tempo indeterminato.
Il prezzo per il coinvolgimento di persone a bassa istruzione un tempo inattive può anche essere questo, la sottoccupazione, a patto che ci sia una evoluzione. Che questo assaggio di lavoro che viene offerto si trasformi con il tempo in un contratto a tempo pieno, e ci sia ricambio, con altri nuovi soggetti che entrano nel mondo del lavoro cominciando con poche ore.
Ma è qualcosa di non scontato. Siamo il Paese degli apartheid lavorativi. Forse, in assenza di una accelerazione della crescita, è più probabile che tra qualche anno saremo a occuparci della sottoccupazione di alcuni 40-50enni, gli stessi 25enni colpiti ora cresciuti tra un lavoretto e un altro.

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