“I populismi? Le élite non capiscono che il loro destino è di essere sostituite”

Cambia l’assetto economico, il tipo di rappresentanza, la retorica politica. Lo studioso francese Yves Mény spiega che di fronte al cambiamento in arrivo le élite non hanno saputo cambiare, tenendo in mano il potere per controllarlo e non per utilizzarlo

Il mondo cambia, le élite no. I populismi crescono (tra successi e battute d’arresto temporanee), gli scenari economici e geopolitici stravolgono gli ordini consolidati, tutto diventa complicato: e chi è al potere non sa più cosa fare per restarci. «Chi riesce a prevedere il cambiamento riuscirà a sopravvivere. Gli altri saranno spodestati», spiega Yves Mény, professore francese di scienza politica, presidente del consiglio di amministrazione della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, esperto di istituzioni pubbliche, studioso degli assetti in movimento dello Stato e delle spinte populiste. «Ma non sarà semplice. Il destino di ogni élite è di essere sostituiti da un’altra élite».

Élite contro popolo. Nella retorica populista il mondo non si divide più tra destra e sinistra, ma tra alto e basso. Ma è vero?
Diciamo che è un tratto antico. Lo sosteneva già Andrew Jackson negli Usa del XIX secolo. Lo si ritrova nel Poujadisme francese degli anni ’50, affiora con Berlusconi e Trump – è la retorica dell’uomo in grado di far pulizia del “teatrino” della politica. È una forma retorica che traduce, in realtà, un’altra cosa: il desiderio di un’élite nuova di sostituirsi a un’élite vecchia. In nome del “popolo”, certo, contro le “classi corrotte”.

Una questione tra élite, insomma.
Sì, perché quando si diventa parlamentari, che lo si voglia o no, si diventa élite. È un passaggio obbligato. Dietro allo scontro “popolo-élite” si cela anche un cambiamento generazionale: nuovo contro vecchio. E anche il cambiamento del modello di rappresentanza. Con Donald Trump si è passati dall’uomo politico all’uomo d’affari.

i partiti hanno considerato il potere come una rendita personale, che hanno stabilito, insieme all’opposizione – e quindi a un’altra espressione dell’élite – un “cartello” politico, da gestire con la logica dell’alternanza. E sono crollati

Cambia anche il modello economico?
È il fenomeno della “crisi”. In realtà si tratta di un’enorme trasformazione, come ce ne sono state poche nella storia. La tecnologia modifica la produzione, le imprese riescono a fare di più con meno, e nel frattempo aumenta l’imprenditorialità. Il capitale si muove verso altri Paesi, come la Cina. È la seconda globalizzazione: che vede come protagonisti i Paesi emergenti. La prima, quella che ha preceduto la Prima Guerra Mondiale, e che è fallita precipitando nel conflitto, era guidata dalle potenze europee. Ora è passata di mano. E questo spiega anche la rinascita di movimenti “nativisti”, legati alle origini e all’orgoglio nazionale.

Cosa non capiscono le élite del populismo?
Che il destino di ogni élite è di essere sostituita da un’altra élite. E non riescono a cogliere i segnali di un cambiamento in corso. I sistemi politici si modificano di fronte a eventi esplosivi, ma le élite restano ancorate ai modelli che le hanno fatte vivere. Lo si vede anche oggi: il crollo dei partiti è la diretta conseguenza del fatto che i partiti hanno considerato il potere come una rendita personale, che hanno stabilito, insieme all’opposizione – e quindi a un’altra espressione dell’élite – un “cartello” politico, da gestire con la logica dell’alternanza.

La “cartellizzazione” del potere.
Esatto. Appaiono più preoccupate di riuscire a controllarlo anziché di utilizzarlo per mettere in moto le politiche giuste. Le opposizioni, così, diventano funzionali. E appaiono superficiali, se non proprio fasulle.

Ma il cambiamento in atto travolgerà l’assetto democratico?
Non credo. È il sistema più “dolce” perché avvenga una transizione di potere tra un’élite e un’altra. Che poi è quello che avviene ora, una sorta di dégagisme, per utilizzare un neologismo inventato nella Tunisia del 2011, quando si voleva mandare via Ben Alì: “dégage”, cioè “vai via”. Vale anche in Europa: si vuole mandare via la vecchia classe politica, buttarla fuori dalle sale del potere. In questo senso, Macron è la manifestazione di questo fenomeno: sarebbe il più grande cambiamento di élite dalla nascita della Quinta Repubblica.

In Italia però le élite sembrano resistere.
Anche quando c’è stato un cambiamento di élite, cioè nel passaggio tra Prima e Seconda Repubblica, il sistema è rimasto lo stesso. C’era Berlusconi, ma non si coglievano grandi differenze. E la causa è proprio la Costituzione italiana. È difficile che cambi, che venga modificata. Perché è considerata sacra. Di conseguenza, l’assetto istituzionale rimane intatto.

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