La maledizione del lavoro per i giovani: sempre più colti, sempre meno occupati

In Italia il numero dei laureati di primo e secondo livello in materie scientifiche aumenta, specie per le donne. La percentuale di occupati in questo settore, però, stenta a decollare. Risultato? Un totale spreco di capitale umano

Eppur si muove. Spulciando tra i dati sull’istruzione universitaria e post-universitaria italiana scopriamo che una possibile luce in fondo al tunnel c’è. Che una volta tanto, in ambito accademico, non siamo ultimi. Lentamente forse ci stiamo sollevando dal fondo classifica in cui immancabilmente ci ritroviamo ogni volta che si parla di laureati.

Nelle statistiche che forse più contano in termini di impatto sull’innovazione, quelle relative ai livelli di istruzione più elevati, ovvero lauree di secondo livello e dottorandi, quasi raggiungiamo la media europea, i giovani tra i 20-29 anni con tali titoli sono in Italia poco meno che nella UE.

Forse ci si potrà stupire del fatto che un risultato in fondo così modesto possa essere giudicato positivo, ma dobbiamo ricordarci che nelle statistiche sui laureati tout court da sempre siamo di fatto all’ultimo posto, dopo Macedonia o Serbia.

Dopo una vita di 3, anche portare a casa un 6 meno può incoraggiare.

E un pizzico di ulteriore orgoglio può poi provenire dal fatto che tra le donne siamo praticamente nella media europea, decimale più, decimale meno.

In Italia ci sono tante dottorande e laureate di secondo livello in fisica, scienze, ingegneria quanto negli altri Paesi europei, e anzi, nel caso di laureati di secondo livello, più che in Germania, Svezia, Belgio.

Oltre a indicare che da noi è ancora poco frequentata la laurea di primo livello, a cui pochi si fermano, questi dati sembrerebbero essere incoraggianti per un riavvicinamento all’Europa anche in termini lavorativi.

E invece, purtroppo, le cose non stanno così.

La percentuale di persone laureate che lavorano in ambiti scientifici e tecnologici, tra aziende e istituzioni pubbliche, era nel 2016 del 14,2%, contro il 20,7% europeo.

E il gap peggiora considerando i più giovani, i 25-34enni, che escono dal periodo di studi di cui sopra. È triste dover constatare che i dati incoraggianti osservati sull’istruzione non si ripercuotono per nulla sul mondo del lavoro.

Siamo ultimi, letteralmente ultimi, solo il 16,1% tra i 25 e i 34 enni attivi (che sono occupati o cercano lavoro) è allo stesso tempo laureato e impiegato in un ambito scientifico e tecnologico. Nella UE è il 25,6%. Tutti, anche Grecia, Turchia, Macedonia, fanno meglio.

C’è stato un peggioramento di questa differenza tra Italia e UE negli ultimi anni. Aumentano insomma i giovani laureati occupati in settori tecnologici e innovativi, ma a un ritmo troppo basso.

È chiaro, vi è stato con la crisi un peggioramento anche qualitativo dell’occupazione in Italia. Gli investimenti in innovazione sono stati sacrificati, dallo Stato e dalle imprese, e con la ripresa i nuovi posti di lavoro sono più spesso in settori meno produttivi.

Una parte dei numeri visti dipende da questo, dopo il 2007 c’è stato un calo, non verificatosi in Europa, della proporzione di giovani occupati, tutti, laureati e non, in ambito scientifico e tecnologico.

Tra i laureati quindi sembra essere andata meno peggio, ma c’è poco da consolarsi, siamo di fronte a un evidente spreco di capitale umano.

Se confrontiamo la proporzione di giovani laureati di secondo livello e di assunti nel settore scientifico e tecnologico, l’Italia appare come una realtà quasi isolata, assieme alla Romania: a una proporzione di laureati non malvagia non corrisponde una conseguente percentuale di occupati negli stessi ambiti, come per gli altri Paesi.

Succede che abbiamo un sufficiente numero di 25 enni che esce da un’università con un titolo elevato, apparentemente spendibile e utile a tutto il sistema produttivo, ma poi per varie ragioni questi stessi giovani non riescono a sfruttarlo.

Va un po’ meglio per le donne, a quanto pare. Oltre a studiare materie scientifiche come le coetanee europee sono più degli uomini tra gli occupati in questi settori.

Tuttavia il problema rimane, c’è una spinta a occuparsi di più di tecnologia, molti giovani stanno capendo che è importante orientarsi verso studi scientifici, ma la volontà individuale non basta. Finchè non vi sarà una spinta di governi e imprese verso un aumento della produttività, verso investimenti in tecnologia e innovazione, molte di quelle lauree e di quei dottorati saranno sprecati e inutilizzati.

Se continueremo a considerare la priorità il salvataggio degli obbligazionisti delle banche fallite o la 14 esima ai pensionati forse finiremo per essere più simili a Cuba, con le sue guide turistiche munite di dottorato, che all’Europa?

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