Ci sono alcuni nomi – e più ancora, alcuni loro brani – che vale la pena conoscere. Vengono da diverse parti del mondo (o meglio, del Mediterraneo), ma mescolano le loro origini con il linguaggio globale della musica elettronica. I ritmi, le sonorità si richiamano, le idee si inseguono e le tradizioni, anche personali, si fondono. È la solita formula della creazione musicale: non deve stupire nessuno, in particolare i loro fan. Sono donne, sono giovani e piene di idee. E la loro musica è pazzesca.
Noga Erez è un’artista israeliana. Nata a Cesarea, vive a Tel Aviv dove ha cominciato con il jazz. Poi ha seguito la via individuale, si è chiusa in casa e con l’aiuto del beatmaker Ori Rousso ha creato nuove melodie elettroniche. “Mi ero innamorata della musica che usciva dalle mie macchine: non avevo più bisogno di strumenti acustici”. Ne ha superato i limiti, li ha mischiati a mitragliate ritmiche e, in un tessuto di suoni divertenti e freschi ha cucito messaggi che, una volta, avrebbero definito engagé. “Cosa significa essere artisti oggi? È difficile. I media attraversano una fase complicata, non solo a causa dei social network ma anche perché sono sotto attacco da parte dei leader di tutto il mondo, come Trump e come Netanyahu”, dice a Libération. “Il nostro compito, da artisti, è di completare la parte emotiva di ciò che si racconta del mondo”.
Lei lo fa con il suo ultimo album, “Off the Radar”.
Diversa è la figura di Ylia, produttrice, dj barcelloneta, cresciuta nella scena underground della capitale catalana. Il suo approccio è musicale, non cerca di cambiare il mondo ma solo di farlo ballare. Le sue melodie sono sperimentali: mescola le amate sonorità “dancefloor friendly” a suoni più coraggiosi.
Anche lei, come Noga Erez, ha origini musicali più tradizionali (pianoforte classico). Poi, come si spiega su Konbini, è passata al mondo dell’elettronica trasferendosi a Barcellona. Un universo nuovo: dove possono convivere ritmi house, la techno e l’elettronica internazionale. È come avere un mondo intero in una stanza da ballo. Anche se lei ama fare i suoi spettacoli all’aperto.
Infine, l’artista kuwaitiana Fatima al Qadiri. È al tempo stesso musicista e visual artist, figlia di diplomatici e scrittori, nata a Dakar ma cresciuta in Kuwait e poi formata negli Stati Uniti. Un universo ricchissimo e complesso che cerca di descrivere con opere molto (forse troppo) sperimentali.
Un esempio? La sua “Muslim Trance” nel 2010, dove sintetizza con sonorità techno canti sacri sciiti e sunniti cantati a cappella. Con un risultato piuttosto bizzarro. Farà molto meglio con la successiva Asiatisch, in cui riassume sonorità globali nel tentativo di dare loro una sistematicità, ancorché musicale.