Su Pornhub, finora, il 2017 sembra essere l’anno dell’hentai. In giapponese, hentai significa “anormale, pervertito”: prima di internet e, anzi, prima delle piattaforme virtuali per la condivisione di contenuti pornografici, il termine indicava i manga erotici. Ora, soprattutto fuori dal Giappone, è una categoria porno, una delle più cliccate su Pornhub, nonché la quarta parola in assoluto più digitata sul medesimo sito. Nel 2007, quando Malcom Flannigan lo creò, scopiazzando il format YouPorn e arricchendolo di tag e sottocategorie (e rendendolo così già funzionale all’algoritmo, di cui, ai tempi, si parlava ancora poco), la parola più cercata su Pornhub fu MILF. Esisteva già la categoria porno-erotica “Donne mature”, c’erano le “Granny”e in American Pie (film del 1999) si erano visti dei ragazzini che sbavavano sulla scollatura della madre di uno di loro, soprannominandola, appunto, milf, ma solo quando la parola comparve nell’indice di Pornhub, il tabù s’infranse e tutta la popolazione mondiale venne non solo informata del fatto che una donna matura è sexy, ma pure, in qualche modo, educata a riconoscerlo. La milf si fece fenomeno di costume, entrò nelle conversazioni di tutti i giorni, in ufficio, in chat, al bar e sembrò per questo che la pornografia online avesse intercettato un gusto fino ad allora nascosto, non tanto perché latente quanto perché soffocato. In verità, che Pornhub intercetti un gusto è inesatto. Lo crea? Forse. Più verosimilmente, la pornografia online trasforma un gusto sessuale (di uno o di pochi) in un trend sessuale o, meglio, in un trend e basta. Così, da categoria scabrosa di un network pornografico, milf è diventato settore di consumo, fetta di mercato, pubblico di riferimento cui dedicare libri, film, canzoni, serie TV. È accaduto sotto i nostri occhi.
In verità, che Pornhub intercetti un gusto è inesatto. Lo crea? Forse. Più verosimilmente, la pornografia online trasforma un gusto sessuale (di uno o di pochi) in un trend sessuale o, meglio, in un trend e basta
Non abbiamo mai avuto il sospetto che la scoperta della sensualità matura e la conseguente concessione (sdoganamento?) della lussuria alle over quaranta non derivasse da una progressione culturale, ma dalla pornografia online. La stessa che spesso ricorre a epiteti come “troia, fichetta, maiala insaziabile”. La stessa che, stando ai suoi numeri, dimostra che le donne si godono il sesso in modo altrettanto variegato e disinteressato (cioè meramente sessuale) dei maschi e che la disinibizione, a letto, è unisex. Quest’anno, in occasione dei suoi primi dieci anni di attività, Pornhub ha pubblicato i dati raccolti lungo tutta la decade (dal numero dei visitatori alle categorie più richieste, anno per anno). Si è così scoperto che ogni giorno si connettono al sito non meno di 75 milioni di persone, a disposizione dei quali ci sono oltre 10 milioni di video (in tutto fanno circa 1,5 milioni di ore di cinematografia hard, in larga parte amatoriale); che le donne guardano filmati porno dal telefono (71%) più che dal pc; che la parola “marito” è molto più digitata di “moglie” (418 punti percentuali in più); che la frase a sfondo coniugale più ricercata è “marito guarda moglie scopare”; che il giorno della festa del papà, nel 2015, milioni di utenti hanno cercato video di incesto (è una delle categorie più controverse e popolari ma, tra le più popolari, è la sola che non sconfina nel quotidiano, che non rimpolpa altri immaginari: resta relegata ai pochi minuti di un video che ci si concede la “perversione” di guardare in rete). Ancora, si scopre che i filmati porno che hanno donne gravide per protagoniste piacciono più alle femmine che ai maschi; che “romantic sex” è una delle categorie meno amate; che le donne trascorrono in media quasi un minuto e mezzo in più degli uomini sul sito e che i millennial vanno pazzi per i porno con i cosplay, cioè con gente travestita da Sailor Moon, Bilbo Baggins, Ariel la Sirenetta, Mercoledì Addams, Harry Potter. Durante la campagna elettorale americana, quando Hillary Clinton menzionò Alicia Machado (Miss Universo), le ricerche con dentro il suo nome impennarono immediatamente di quattro punti percentuali. Nella lunga notte elettorale che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca, il traffico su Pornhub è aumentato del 10%. In Italia, durante l’esibizione sanremese di Tiziano Ferro, gli accessi alla piattaforma sono calati del 6% e del 13% mentre cantava Al Bano. Nei titoli dei primi venti video più visti al mondo questa settimana su Pornhub, per dieci volte compare un riferimento a un familiare (mamma, sorella, fratellastro, patrigno); tre volte la parola “cagna” e due “zoccola, di cui una “zoccola latina”. Il New York Magazine ha pubblicato due giorni fa un lungo articolo di Maureen O’ Connor che esamina tutte le infografiche fornite da Pornhub e barcolla (volutamente) tra la tentazione di impiegarle per tracciare un ritratto della popolazione americana e mondiale e l’idea che la sessualità esprime antropologia ma non sociologia. Il pezzo s’intitola “Pornhub è il Rapporto Kinsey del nostro tempo”. Alfred Kinsey era un biologo che alla fine degli anni Quaranta del Novecento pubblicò due saggi sul comportamento sessuale (uno su quello femminile e l’altro su quello maschile), celebri in particolare per aver ampliato il panorama degli orientamenti sessuali (fino ad allora tutto ciò che non era eterosessuale, bisessuale o omosessuale non veniva neanche preso in considerazione), procacciando così a Kinsey l’accusa di incitare depravati, invertiti, pervertiti alla depravazione. Povero Alfred. Ampliare il nostro immaginario è quello che fa la pornografia online, ma il rapporto Kinsey non elaborava categorie a partire da un’abitudine sessuale di un paziente che si filmava durante un atto sessuale, mentre Pornhub sì
Ampliare il nostro immaginario è quello che fa la pornografia online, ma il rapporto Kinsey non elaborava categorie a partire da un’abitudine sessuale di un paziente che si filmava durante un atto sessuale, mentre Pornhub sì
Su Pornhub, la fantasia di ciascuno di noi può fondare una categoria e non è detto che accada perché in essa un numero più o meno cospicuo di persone vi si riconoscono: accade, più verosimilmente, perché quelle persone vengono indotte (una induzione seducente) a riconoscervisi, a trovarla eccitante: se è condivisibile, é anche mia, se a Trey dalla California piace succhiare chiavi mentre fa sesso, piacerà anche a me. Internet non ha regole, ma esiste una massima, denominata “regola34“, che recita: “se esiste, allora c’è la sua versione porno”. O’ Connor aggiunge un corollario: se lo fanno su Pornhub, posso farlo anche io o, meglio, posso pensare di poterlo fare. Nel suo articolo, la giornalista evidenzia un altro meccanismo del tutto inedito: gli epiteti sessuali formulati nei video porno, i nomi delle “perversioni” che, una volta condivise in rete, diventano immediatamente “pratiche sessuali”, non solo colorano il nostro linguaggio, ma lo allargano. Alla metafora sessuale si ricorre continuamente, mai quanto adesso. Quando si ricorre continuamente a una metafora, essa muore: significa, cioè, che diventa parola. Le parole dei filmati pornografici entrano nel nostro lessico e influenzano la nostra idea di mondo (al pari di localizzare, googlare e tutti gli altri vocaboli che dalla terminologia del virtuale sono entrati in quella, più vasta, del parlato quotidiano): non era mai successo. O’ Connor scrive che, sempre più spesso, le capita di ascoltare animate conversazioni tra persone in cui sente spuntare termini mutuati dallo slang pornografico che, così, perde il suo quid, cioè la pornografia. Mentre i veti post femministi correggono continuamente il linguaggio affinché il sessismo venga estirpato dalla coscienza collettiva, nelle conversazioni di tutti i giorni si sono ormai impiantate parole e immagini che arrivano da filmini di orge amatoriali, giochi erotici improntati alla sottomissione, alla soggezione, al sadomasochismo.
Mentre i veti post femministi correggono continuamente il linguaggio affinché il sessismo venga estirpato dalla coscienza collettiva, nelle conversazioni di tutti i giorni si sono ormai impiantate parole e immagini che arrivano da filmini di orge amatoriali, giochi erotici improntati alla sottomissione, alla soggezione, al sadomasochismo
“Il fatto che non mi disturbi più che nei porno le donne asiatiche siano offese, maltrattate, relegate sempre e solo a un ruolo passivo, significa che ho capito che la sessualità è solo un gioco o che l’eccesso di pornografia mi ha abituata a questo stato di cose?“, si chiede O’ Connor, che ha origini asiatiche. Vista da Pornhub, l’America è un paese razzista, sessista, sguaiato, pedofilo, patriarcale e incestuoso. Perché oggi il New York Magazine presta un’attenzione non solo antropologica ma persino politica alle preferenze sessuali degli americani? Se si fosse prestata più attenzione a quello che gli statunitensi digitavano su YouPorn nelle settimane prima delle elezioni, si sarebbe forse prevista la debacle di Hillary Clinton? La disperazione intellettuale del non trovare più un porto sicuro nel quale esercitare con ragionevole sicurezza le proprie ragioni e deduzioni, sta forse risolvendosi a rintracciare l’umano lá dove si è sempre creduto che ci fosse il bestiale? Se così fosse, sarebbe, almeno in parte, un errore. Il fatto che nell’anno dell’ossessione per la verità, mentre si pontifica di auto-fiction come unica forma di letteratura possibile e le donne scendono in piazza in tutto il mondo con un cappellino a forma di vagina per urlare che loro non sono solo oggetti di piacere e arbitrio maschili, su Pornhub la maggior parte degli utenti digiti “hentai”, cioè sesso tra fumetti inventati da uno dei popoli più sessualmente repressi del pianeta, dove la donna è spesso e volentieri umiliata, segnala l’ennesimo scollamento tra i paesi reali e i loro decodificatori? Forse. Tuttavia, lungo la distanza tra ciò che scegliamo a letto, ciò che desideriamo segretamente, ciò che abita le nostre fantasie e ciò che, invece, anima la nostra vita sociale e ci fa aderire ai nostri ruoli, corrono la nostra libertà, i nostri sogni, i nostri misteri, i nostri segreti. L’essere umano non è ciò che vota e, per ragioni parecchio diverse e più complesse, non è nemmeno il sesso che fa. È vero però che il sesso, probabilmente mai come oggi, disegna gli spazi del suo immaginario, non soltanto sessuale, e che quell’immaginario procede per categorie (algoritmi?), che non solo ordinano il senso comune, ma lo decodificano e lo formano.