Resistere! Resistere! Resistere!
Ascolti Recidiva, prima prova solista di Mara Redeghieri, per poco più di una decade voce degli Ustmamò, ormai una vita fa, e ti viene da gridare così, manco fossimo partigiani o nipoti di partigiani (questo lo siamo tutti, e non manchiamo di rivendicarlo).
Resistere, perché mai come oggi c’è bisogno di farlo, anche solo a voler guardare al mondo della musica.
Ma andiamo con ordine. Nel 2003 gli Ustmamò, band che si muoveva sul fronte elettronico in quella grande magnfica famiglia che ruotava intorno a Ferretti/Zamboni, nelle loro molteplici versioni, si sciolgono. Così, un po’ come succede in certe favole senza lieto fine, ti svegli una mattina e la magia è finita.
E dire che la strada da loro indicata, fatta prima di suoni che si rifacevano alla tradizione popolare emiliana tanto quanto al punk, poi con virate decise verso quell’elettronica bristoliana che all’epoca aveva Bristol come capitale e che veniva genericamente etichettata come trip-hop, era talmente avanti da apparire contemporanea ancora oggi, a distanza di quella che in musica si può definire serenamente come un’era geologica. Una musica, quella degli Ustmamò, che aveva nella voce, nel flow, usiamo un termine che magari con la loro musica potrebbe apparentemente non avere a che fare, e nella figura stranita e fascinosissima di Mara Redeghieri uno dei punti di forza, se non il punto di forza assoluto. Sentirla mentre cantava le sue filastrocche bislacche, ma pregnissime di contenuti, un modo tutto appenninico di raccontarci la realtà attraverso figure retoriche e poetiche talmente originali da sembrare buffe, è stata a lungo una consolazione in un momento in cui di consolazione si aveva assai bisogno, le destre tornate al potere. L’idea che dagli appennini venisse la resistenza, in musica, ci ha sempre rassicurato, e sapere che a cantare quei giorni fosse proprio lei, con quella voce lì, con quel modo di appoggiare le parole, quelle parole, con quel viso lì, ci disponeva a mostrare il petto a qualsiasi colpo di mitraglia.
Mara torna a rendere i buoni più buoni e i cattivi più cattivi, come nelle favole. Le sue filastrocche appenniniche, le sue associazioni di idee bizzarre, le sue storie nitide nel loro essere auliche ci raccontano l’oggi come una canzone di una Levante o di un Fedez non potrebbe mai fare
Oggi, mentre l’oscurità dell’inverno sembra essere tornata tutto intorno a noi, sempre che se ne sia mai andata, Mara Redeghieri decide di tornare, e lo fa esattamente con la modalità che conosciamo. Dedicatasi per anni allo studio e alla riproposizione della musica tradizionale della sua terra, con particolare attenzione ai canti anarchici, e cosa se no?, Mara torna a rendere i buoni più buoni e i cattivi più cattivi, come nelle favole. Le sue filastrocche appenniniche, le sue associazioni di idee bizzarre, le sue storie nitide nel loro essere auliche ci raccontano l’oggi come una canzone di una Levante o di un Fedez non potrebbe mai fare. Che si tratti del neo presidente americano in Strump, o la storia dei nuovi partigiani, come li chiama lei, i migranti di UomoNero, che si tratti dell’egoista da commedia goldoniana di Cupamente, ai canti universali di Madre Dea o Romantica siderale, passando per i sinistri ritratti di Augh o Io essere umana. Canzoni di cui sentivamo il bisogno, e neanche sapevamo di sentirlo, finché Mara Redeghieri non è tornata a portare un pizzico d’estate nel nostro inverno, manco fosse la protagonista di Frozen. Sentite le poesie, perché questo sono, dal titolo Recidiva, titolo poi prestato all’intero album, o Nella casa e provate a non commuovervi, se ci riuscite (non accadesse significherebbe che non avete un cuore, prendetene atto). Sentite, poi, perché si parla di canzoni, mica solo di parole, l’uso moderno, contemporaneo e al tempo stesso futuribile, dell’elettronica, roba da armare le braccia dei più volenterosi di Napalm, rivolti contro quell’eletropop orribile con cui ci stanno devastando orecchie e palle negli ultimi anni. Sentite come gli strumenti si fondono con le macchine, come su tutte svetti la voce. Sentite, in una parola, un’artista vera, tornata in scena solo nel momento in cui ha sentito di avere di nuovo qualcosa da dire, a quattordici anni dal suo addio alle scene. Sentitelo e, se non la conoscevate, per ragioni di anagrafe o di ignoranza personale, innamoratevene come si deve fare di fronte alla pura bellezza.
Resistere! Resistere! Resistere! E Mara, ti prego, stavolta non lasciarci più soli.