Legge elettorale, tutti perdenti al gioco del Blue whale

Un spettacolo pessimo e inquietante. Il Partito Democratico e i Cinquestelle che fanno cadere il loro patto di ferro sulla legge elettorale. L’impressione generale è quella di un Blue whale della politica

A vederla dall’esterno sembra una incomprensibile sindrome autodistruttiva: ma come, avete appena firmato un patto a quattro che conviene a tutti, vi siete appena aggiudicati la sopravvivenza delle classi dirigenti di Pd, FI, Cinque Stelle, Lega, al di là di ogni possibile rischio elettorale. In prospettiva avete il ritorno a un grande accordo in stile Prima Repubblica, la normalizzazione di ogni disobbedienza, il revival del Manuale Cencelli, gloria per tutti. Una legge, finalmente, votata con l’80 per cento dei consensi. E che fate? Vi buttate dal tetto per un emendamento irrilevante – le modalità di elezione degli otto seggi del Trentino Alto Adige, figuriamoci – nel buio suicida di una figuraccia planetaria davanti ai vostri elettori, all’Europa, ai mercati, agli osservatori internazionali?

I retroscenisti faranno ipotesi sull’identità e gli obliqui obiettivi di chi, ieri, ha fatto saltare il banco del cosiddetto Modello Tedesco, determinando il ritorno in Commissione della legge e il suo probabile, definitivo accantonamento. Ma l’immagine che passa al pubblico è quella di quattro leader – Renzi, Grillo, Berlusconi, Salvini – fino a un minuto prima legati da un patto di ferro, che all’improvviso sono costretti a saltare nel vuoto, in apparenza senza un perchè. Al voto della discordia hanno contribuito tutte le aree politiche, con analogo zelo. L’emendamento ce lo ha messo Micaela Biancofiore, icona del berlusconismo. Il passo più significativo lo ha fatto il M5S, che ha annunciato il suo voto favorevole spiazzando la maggioranza. I franchi tiratori (59 voti mancanti, oltre i grillini) li ha forniti ogni settore dell’emiciclo: Pd, FI, Lega. Persino i servizi tecnici della Camera hanno dato una spintarella, con l’errore che ha reso palese sul tabellone un voto che doveva rimanere segreto. Il “Non possumus” del Pd, reazione da molti giudicata sproporzionata, ha segnato il definitivo salto dal terrazzo. Amen.

L’immagine che passa al pubblico è quella di quattro leader – Renzi, Grillo, Berlusconi, Salvini – fino a un minuto prima legati da un patto di ferro, che all’improvviso si tuffano nel vuoto

Nel fantomatico gioco della Balena Blu – il suicidio “a tappe” degli adolescenti russi di cui tanto si è parlato – si salta nel vuoto “per prendersi una nuova vita”. Qui, par di capire, spezzoni di Parlamento lo hanno fatto per tenersi quella vecchia: la prospettiva di un rapido ritorno ai seggi, così centrale per i leader, era tutt’altro che condivisa da molti altri. E proprio come nel Blue Whale non è mancata la rituale escalation di atti autolesionistici di avvicinamento al “gran momento”. Piccole cose, all’inizio. La zuffa determinata dall’urticante Guai ai Vinti di Matteo Renzi ad Angelino Alfano («Se resti fuori non è un dramma»). Le repliche del ministro («E’ da febbraio che ci chiede di far cadere Gentiloni). Poi, i colpi di bisturi. Le bizze di Beppe Grillo a Taranto («Stiamo facendo una legge elettorale che non si capisce»). L’annuncio di un secondo referendum online dei Cinque Stelle. E poi il fuoco di fila dei “grandi”: Enrico Letta («Un voto anticipato per un capriccio»), Walter Veltroni («E’ un ritorno agli anni ’80»), Romano Prodi («Potrei spostare altrove la mia tenda») – e più oltre la sensazione di un Niet delle autorità europee, di cui Giorgio Napolitano («il voto in autunno sarebbe «un colpo alla credibilità del Paese») è considerato un po’ da tutti il portavoce.

Il “patto a quattro”, che sembrava di ferro, cade non tanto per il venir meno dell’accordo sulla legge elettorale quanto per una diffusa ostilità al suo inespresso presupposto, la convocazione delle urne in autunno. Tutti i leader, non solo il segretario del Pd, ne escono fortemente ammaccati. Nessuno sembra avere un’idea precisa di come reagire, e in particolare dalla cerchia di Renzi arrivano segnali contraddittori: da un lato l’idea che la maggioranza sia al capolinea, e il governo destinato comunque a cadere; dall’altro l’esatto opposto, l’archiviazione del tema “legge elettorale” e il proseguimento della legislatura per rimettere insieme i cocci. Un pessimo spettacolo, che rivela l’inaspettata fragilità dei quattro leader: così assertivi, così apparentemente onnipotenti nella guida dei loro mondi, così padri-padroni nel racconto che hanno alimentato di se stessi, ma in realtà così gracili, frangibili, esposti a ogni suggestione, così confusi.

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