Viva la FifaReal Madrid, come nasce (e domina) una multinazionale del pallone

Per dieci anni consecutivi è stato il club con il più alto fatturato al mondo e nel 2016 per la prima volta ha superato i 600 milioni di ricavi. Un risultato ottenuto trasformando la società in un brand globale fortissimo dove gli introiti commerciali contano più di quelli tv (mica come in Italia)

Se andate a visitare il Santiago Bernabeu, casa storica del Real Madrid, ad un certo punto del vostro percorso vi imbattete nella sala trofei. Qui, come in ogni grande stadio che si rispetti, è riassunta la storia e la gloria del club. Dietro una vetrata, sono disposte in fila undici grandi coppe. Mentre i peli delle braccia si sollevano all’istante e nella vostra testa scorrono immagini in bianco e nero di Puskas e a colori di Raul e Cristiano Ronaldo, basta aguzzare la vista per notare che sotto ogni Coppa dei Campioni/Champions League c’è la data nella quale è stata vinta, oltre che…il nome. Già, ogni coppa viene soprannominata seguendo l’ordine cronologico: quella vinta a Lisbona nel 2014, storica perché prima e fino ad unica decima Champions ad essere vinta da un club europeo, è appunto La Decima, così come quella di San Siro del 2016 è La Undecima. Un usanza che in realtà è stata diffusa dai tifosi dei Blancos e che il club ha subito fatta propria, facendo un elemento di rafforzamento dell’immagine di quello che la Fifa ha dichiarato Club del Secolo nel 2000.

L’attenzione all’immagine è uno degli elementi fondanti del Real Madrid, passato nel giro di un decennio da squadra gloriosa e vincente sul campo a vera e propria multinazionale dell’industria globale del pallone. Giusto per capire la dimensione economica del Real, mettiamo in fila due dati. Se in quest’ultima stagione ha dovuto cedere lo scettro al Manchester United, la squadra spagnola è stata per 10 anni consecutivi il club con il più alto fatturato al mondo. Era il 2005 quando il Real conquistata la prima posizione nella Football Money League, la classifica stilata da Deloitte sui ricavi delle squadre di calcio europee, già all’epoca capaci di assorbire la maggior parte del giro d’affari di tutti il globo. All’epoca, il fatturato del Real ammontava a 275,5 milioni di euro e la cosa incredibile, per chi oggi analizza per esempio i fatturati dei club italiani, che la torta totale dei ricavi non dipendeva per la maggior parte dai diritti tv, ma dal comparto commerciale. Nel dettaglio, 124 milioni di euro (45% del totale) il Real li incassava da quest’ultima voce, contro il 32% da broadcasting (88 milioni) e 63,7 milioni di euro dallo stadio (ovvero il 23%). “Ingaggiare i migliori giocatori al mondo non ha necessariamente portato a istantanei risultati sul campo, ma la loro presenza ha favorito una trasformazione nelle performance finanziarie”, commentava Deloitte.

Insomma, mentre in Italia sorridevamo sotto i baffi di come i Galacticos fossero solo una specie di pessima imitazione dei Globetrotters – insomma, che senso ha mettere assieme tutti i più forti senza un criterio tecnico-tattico, suvvia – gli sponsor e i Paesi dei nuovi mercati sgomitavano per farne parte. L’arrivo di Beckham, Zidane e Ronaldo fece sì che il club potesse organizzare una lucrativa pre season in Asia (tra Cina, Giappone e Thailandia) a caccia di aziende disposte ad incontrare i dirigenti del Real e proporre contratti di sponsorship per far parte del bouquet di marchi legati al club, nonché di licensing per vendere i prodotti marchiati con la Corona borbonica. Il tutto mentre la camiseta del Real, che già portava nelle casse madrilene 14 milioni a stagione dalla Siemens, si arricchiva di un contratto di sponsorship più remunerativo con BenQ che grazie ai bonus sportivi arrivava fino a 25 milioni di euro. Un risultato notevole all’epoca dei fatti, se si considera che i ricavi commerciali spagnoli superavano di 51,8 milioni quelli di un gigante del settore come il Manchester United – un club che a livello di solo merchandising ha praticamente fatto scuola – e doppiavano tranquillamente quelli del Chelsea, al quinto posto del ranking dei fatturati di quella stagione.

(Grafico da Swissramble)

Negli anni, la crescita del fatturato del Real è stata costante, con un tasso annuo dell’11%, passando da 512 milioni di euro del 2012 ai 620 del 2016. La crescita è stata resa possibile grazie a due fattori economici fondamentali. Il primo è quello legato ai soldi della sempre più ricca Champions League, che ogni triennio che passa vale sempre più tra bonus legati ai risultati e market pool, cioè i ricavi dai diritti tv europei. Per capirci, nella scorsa stagione il Real che si è laureato campione d’Europa si è messo in tasca di solo market pool quasi quanto aveva ricavato in totale da tutti i diritti tv del 2005 (Europa più mercato domestico), ovvero 80 milioni di euro. Che questi soldi siano importantissimi in sede di definizione del fatturato di fine stagione, lo si capisce vedendo l’esempio della Juve, che grazie alla finale conquistata quest’anno si porterà a casa in tutto almeno 100 milioni di euro, cifra che contribuirà ad irrobustire il fatturato bianconero, che al 30 giugno di quest’anno sarà sicuramente superiore agli oltre 300 milioni già registrati. La differenza tra Juve e Real Madrid, al di là dell’esito sul campo di Cardiff, è che il Real ha un volume d’affari più avviato rispetto a quello dei bianconeri, che gli permette di lavorare su ogni singola voce di bilancio in maniera capillare, per fare in modo di avere un fatturato di alto livello nonostante i ricavi europei: questi ultimi sono meno prevedibili da mettere in conto (un club può programmare la stagione per cercare di vincere la Champions, ma non è detto che il campo sia d’accordo ecco), mentre con la necessaria pianificazione si può lavorare sulla gestione caratteristica per raggiungere risultati finanziari di livello soprattutto tra stadio e parte commerciale.


La filosofia del club prevede come detto una attenta gestione della propria immagine, prima di tutto. Oggi il Real Madrid è un brand globale, conosciuto e riconosciuto da tutti, grazie ad una strategia che da una parte strizza l’occhio ai nuovi mercati (il Cafè Real Madrid di Dubai ne è un esempio), dall’altra prosegue nell’indirizzo intrapreso una decade fa con i Galacticos. L’Informe Economico del Real ogni anno spiega che “Per quanto riguarda l’evoluzione futura, il rafforzamento dell’immagine del club attraverso investimenti in grandi giocatori e il loro sfruttamento commerciale attraverso lo sviluppo di linee d’espansione del business e internazionale continua, essendo uno dei principali vantaggi del club di mantenere la propria competitività e la sua posizione come punto di riferimento nel mondo del calcio“. La politica è chiara: il club investe denaro nel calciomercato per acquistare giocatori commercialmente sfruttabili. Un grande esempio in questo senso è quello di James Rodriguez, che è stato, al primo anno a Madrid, il giocatore “con la maggiore attività commerciale”, grazie al suo essere diventato sponsor, nell’ordine, di Toyota, Huawei, Fuji TV, Dentix, Pepsi: un’esposizione che di riflesso colpisce anche il club, chiaro, come anche nei casi di Keylor Navas (testimonial di Movistar in Costa Rica) e Garteh Bale per la Sony in Spagna e Regno Unito. Per non parlare ovviamente di Cristiano Ronaldo, talmente potente da essere in pratica un brand a sé stante che però arricchisce come gli altri il Real, che applica ai calciatori la cosiddetta Clausola Figo: quando il portoghese nel 2000 arrivò a Madrid, si impegnò a cedere il 50% degli introiti dello sfruttamento della propria immagine al Real, che da allora la applica a tutti i giocatori ingaggiati. E poi c’è l’esposizione del marchio nei tour estivi, che da soli valgono il 7% dei ricavi da attività internazionali e che si sono affiancano ai 212 milioni di euro che oggi il club fattura commercialmente.

(Cincodias.elpais.com)

Oggi il Real può così avere un potere contrattuale talmente ampio, che dal punto di vista del marketing ha strappato un contratto di rinnovo di sponsorship tecnica con Adidas molto simile a quello da quasi 1 miliardo di euro già in essere con il Manchester United. A questa valanga di denaro vanno aggiunti quelli che il colosso energetico Ipic (sigla che sta per Abu Dhabi’s International Petroleum Investment Company, che altri non è che il fondo sovrano di Abu Dhabi) verserà nelle casse del Real per assicurarsi i naming rights del nuovo Bernabeu, i cui lavori dovrebbero partire fra pochi mesi dopo l’approvazione da parte dell’amministrazione cittadina del progetto della ristrutturazione dell’impianto. Il Nuevo Bernabeu sarà di 81mila posti, avrà il tetto retrattile ed una nuova grande area commerciale. E permetterà quindi di aumentare gli altri ricavi pianificabili, quelli dello stadio. Oggi il Bernabeu assicura 153 milioni di euro di ricavi, grazie anche agli investimenti praticati negli ultimi anni: tra l’attuale Bernabeu e la Ciudad Deportiva dove si allena la squadra, sono stati spesi oltre 200 milioni di euro per migliorare, nel caso dello stadio, l’esperienza del pubblico durante la partita. Il che significa lavorare sull’area cosiddetta “premium”, cioè quella vip, che per esempio nel 2015 ha inciso per il 19% dei ricavi da matchday.

In attesa del nuovo stadio, il Real oggi ha secondo Kpmg un valore d’impresa di 2,976 miliardi di euro, secondo solo al Manchester United (3,095 miliardi). Ed è una società dove regna l’equilibrio: il fatturato si divide equamente tra il 34% del marketing, il 27% da tv, il 25% da stadio e la restante parte da attività come i tour estivi e attività promozionali internazionali varie. Un equilibrio necessario, visto che il sistema di ripartizione da diritti tv interni in Spagna è stato mutato ed è oggi meno favorevole ai grandi club e più livellato, quasi come in Premier League. E per non dipendere troppo dal broadcasting, come visto, il Real si è organizzato di conseguenza. In maniera vincente.

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