Povero Donald, non ne combina mai una giusta. Prima lo accusano di stare con i russi, poi lo criticano perché spintona il presidente del Montenegro, poi lo mettono in croce perché sbaglia a twittare, scrive “covfefe” e sembra che il mondo proprio in quel momento non abbia nient’altro da fare che prenderlo in giro. La vita del presidente, come lui stesso ha ammesso, è più difficile di quanto si pensi. Anche di un presidente che rischia (parola ancora indicibile) l’impeachment.
Eh già. Come si scrive qui, per adesso se ne parla solo sui giornali. I diretti interessati, nell’amministrazione e nei dintorni, parlano di I-word (sul modello di F-word, o N-word), perché è meglio non evocare nemmeno il termine. Se Trump verrà sottoposto a impeachment, si potrà dire che “starà impicciato”.
Si perdoni il gioco di parole anglo-romanesco, ma lo si è fatto per una buona causa: perché quelle che sembrano due parole in realtà – a guardare l’etimologia – sono sempre la stessa. Impeachment deriva dal francese empêcher, che ha sua volta ha dato l’italiano “impaccio” o “impiccio”. Percorsi diversi per uno stesso vocabolo: il latino impedicare, alla base di tutto, indicava un ostacolo (spesso una corda) che impediva il movimento libero dei piedi. Una pastoia, una punizione che impediva ai prigionieri di fuggire.
È evidente che, nonostante in inglese abbia assunto un significato molto più formale e astratto, la base di tutto resta sempre la stessa: creare un impaccio tale (o impiccio) per cui non potrà più esercitare il proprio ruolo di presidente. Sono americani, ma quando si tratta di potere, usano sempre parole latine. Non a caso il Campidoglio è, ancora oggi, il nome del luogo dove sorge il Congresso Usa.