Come salvarsi dall’amore salvando l’amore? Ce lo spiega Memorie di una Vagina

Nel romanzo ”Fai uno squillo quando arrivi” Stella Pulpo mette in scena un'educazione sentimentale tra Nord e Sud, tra amori "destinali" e sessualità metropolitana e social. Il ritratto di come, sentimentalmente, siamo. E di come ci potremo salvare

C’era una volta l’amore platonico. Che non è quello senza contatto fisico, ma quello raccontato dal filosofo ateniese nel Simposio: le due metà che si cercano sempre e certe volte perfino si trovano. Quando c’è è un amore assoluto, fatto anche di inconsapevolezza e chimere e pure violenza: la tensione del volersi ha sempre qualcosa o dell’eterno, o del noir desir. L’amore non è bello, e forse le due metà che si trovano restano assieme solo se sufficientemente stupide.
Perché poi c’è l’amore intelligente, civilizzato, o almeno che tenta di civilizzarsi. La sessualità contrattuale, metropolitana, quella che ci fa contare le avventure su Tindr, cercare una misura nella mancanza di misura, sfogarsi con le amiche contro il pezzo di merda tormentando con la forchetta un Nai-tsom al ristorante eritreo. A volte si finisce in coppia, altre in discussioni sull’assegno divorzile: That’s life, cantava Frank Sinatra. Ci vuole saggezza, e pure esperienza, intesa come somma di errori anche nel fare (nel senso di vivere) l’amore, pare.
E poi c’è questo romanzo, che è un po’ una sintesi narrativa di questi due aspetti. Fai uno squillo quando arrivi, di Stella Pulpo (autrice del blog Memorie di una vagina, e apprezzata columnist di questo giornale) è una educazione sentimentale di una trentenne tarantina che vive e lavora a Milano. Con un passato sentimentale pesante/devastante, e un presente affettivo decisamente metropolitano. C’è (o c’è stato) l’amore romantico, platonico, assoluto. C’è (o ci sarà) l’amore consapevole, educato, rispettoso. Salvo inattesi e imprevisti ritorni.

Questo libro è un’educazione sentimentale. Ci si può educare davvero ai sentimenti?
Sì e no. L’amore che la protagonista, Nina, vive per Alessandro è un amore che arriva e ti rivolta come un calzino, ti fa molto bene ma ti fa anche molto male. Ma non è l’unico tipo di amore che esiste. C’è anche un amore di tipo diverso, più, gentile, più rispettoso delle convenzioni sociali.

E alla fine Nina torna a quello…
Che non vuol dire che si smetta di imparare, o che si smetta di fare errori. Comunque l’amore grande, l’amore romantico, alla fine dei segni li lascia. E non è detto che siano solo cicatrici. Permette di imparare molto di se stessi, anche. Forse un’educazione è possibile, ma è un’educazione che non finisce mai. Non si finisce mai di fare stronzate.

La protagonista alla fine risulta migliorata. La sua amica Bianca le dice: sei diventata più matura…
Eh, sì, si impara. Del resto lo dico nel libro: gli amori sono diversi, e non ce ne è uno migliore dell’altro. Bisogna comunque riflettere sui propri fallimenti sentimentali.

Spesso non è facile
Non è facile. Quando finisce una storia la prima reazione è di dolore. E si finisce per prendere le distanze dall’ex “stronzo”, ma anche da se stessi. La protagonista del romanzo, grazie a un espediente narrativo è obbligata a confrontarsi col suo grande amore fallito. E a rendersi conto non solo delle responsabilità del suo ex, ma anche delle proprie. Grazie a questo migliora, cresce.

Bisogna smettere di considerare l’ex come il PDM, pieno di merda?
Certo. Col procedere del romanzo emerge la presa di consapevolezza di Nina, che capisce di essere un po’ una merda anche lei. Per usare termini meno coloriti: che ha le sue responsabilità anche lei. Si è sempre i fatti suoi. Non è immune da torti. Capisce che la sua sintesi storica sulla vicenda non è assoluta. E questo è importante farlo.

Nel libro Alessandro sembra avere un’emotività semplice, basic
Un po’ è un fatto voluto. Non vorrei essere sessista, ma questa inconsapevolezza degli uomini rispetto alla verbosità emotiva delle donne mi sembra un fatto evidente.

Le amiche. La rete di amicizie intorno alla donna sofferente in amore non è più dannosa che virtuosa, perché le amiche tendono a darti ragione? Ci si autosostiene a vicenda.
Be’ in un certo senso è così. Ho passato anni a screenshottare l’impossibile. Ma nel libro ho scritto “forse il tipo giusto è quello che non hai bisogno di screenshottare alle amiche”. Comunque con gli amici tendi a sfogarti, stai a parlare per ore quando le cose vanno male. Difficilmente quando vanno bene stai lì a raccontare, scrivere, parlare, screenshottare i di lui messaggi e girarle alle amiche. Spesso gli amici hanno una visione molto negativa di storie e partner.

Il racconto si svolge in parte a Milano, in parte a Taranto. C’è quasi la sensazione che si parli di Milano a un pubblico che non la conosce, che non la vede…
Non volevo essere milanocentrica. Non è detto che tutti sappiano cosa sono le Fonderie Milanesi, o l’Ortica. Tutti, persino nelle riunioni di marketing, pensano che il target delle cose siano i milanesi. Che un po’ è vero, un po’ no. Poi mi piaceva l’idea di raccontare i posti di Milano anche a chi non lo conosce. E ho cercato di farlo anche con Taranto.

La milanesità. La protagonista ci fa sempre i conti. Dice “dovrei essere milanesizzata, ma non lo sono del tutto. Invece magari sono più verace, meno magra”, ecc.
La milenesizzazione è un processo inevitabile. E non del tutto negativo. Vero anche che il non essere milanese è un tratto ancora più distintivo dell’identità milanese di oggi.

D’altra parte in questo libro oltre agli aspetti sociali, sociologici, di costume, milanesi, esiste anche un tipo di socialità tutta diversa, appunto quella meridionale. Due punti di vista completamente diversi.
La principale differenza è che nelle parti ambientate al Sud ci sono tante scene corali. Per esempio le processioni, anche solo viste come puro folklore, indicano una massa di persone che si raccolgono. Poi le cene in villa, le giornate a mare. Una socialità ricca. Invece a Milano ci sono incontri “one to one”. Con l’amica sposata, con l’amica single all’uscita del lavoro. Al Sud c’è una rete sociale più avvolgente, che poi è la differenza tra provincia e metropoli.

Nelle scene al Sud si vedono elementi inconcepibili. In una pagina del libro c’è una nidiata di figli che invadono un ristorante. E non sembra una scena negativa, ma fa pensare invece a una sorta di potenza “biologica” pronta a scatenarsi. A colonizzare il posto.
Un gruppo di persone che in maniera ineluttabile occupa lo spazio fisico, ma soprattutto acustico, di un locale pubblico, al Sud. Milano, invece, ci educa molto rispettare gli spazi.

È come se ci fossero due fili nel libro. Da una parte una socialità amorosa e non, educata. Dall’altra un filo “tellurico”, di amore e vita quasi violeta, irrazionale, energica. Quasi due elementi in conflitto?
È un libro “bipolare”, che rispetta l’ambivalenza di chi ha dovuto cambiare per crescere. Vero, c’è questa differenza. Ma alla fine ciò che poi fa quadrare la linea generale del romanzo è il confronto tra passato e presente. Un’evoluzione. È una scelta.

Ma alla fine la traccia del primo amore di Nina, rimane anche nella fase successiva.
Il loro è un amore violento. Che fa male a tutti. Fa danni attorno. È impossibile debellare un amore forte, originario. Anche se nuoce a tutti, contiene qualcosa che ti guida. È qualcosa che non è necessario tenere in vita, perché resta sempre. È un’energia che non è da uccidere. Bisogna trovare un equilibrio con la consapevolezza che la parte tellurica dentro di te c’è. E resta fino alla fine. Bisogna accettarla. E capire come funziona.

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