Ecco perché non ci sarà mai un nuovo “Game of Thrones”

La serie prodotta da HBO a partire dai romanzi di George Martin è arrivata alla settima stagione e, dopo sei anni, si è conquistata uno spazio impensabile per un prodotto narrativo all'epoca della Peak Tv, e ha caratteristiche da prodotto di massa, pur essendo in realtà un prodotto di nicchia

Dopo sei anni dal suo debutto e a poche ora dalla messa in onda americana della prima puntata della settima stagione di Game of Thrones — tra le nuove stagioni di un prodotto più attese della storia della televisione — ormai non c’è più nessun timore a definire la serie fantasy plasmata sui romanzi di George R. Martin come uno dei prodotti narrativi più importanti e influenti del ventunesimo secolo, che è come dire che Game of Thrones sarebbe più o meno quello che è stato Star Wars per il Novecento.

Appena pochi giorni fa, in occasione dell’uscita della nuova stagione, Alison Herman su The Ringer titolava il suo articolo toccandola pianissimo: The Very Last Piece of the TV Monoculture. All’interno dell’articolo, poi, scriveva l’appunto perfetto: «As both a phenomenon and a carefully managed machine, Thrones has more in common with Star Wars than Veep», che in italiano suona più o meno come: “in quanto fenomeno e, contemporaneamente, macchina perfetta, Game of Thrones ha più cose in comune con Star Wars che con Veep.

Cosa significa? Semplice, che la serie prodotta da HBO è riuscita in una operazione impossibile: essere un prodotto di massa in un’epoca, che è poi quella degli anni che stiamo vivendo, in cui la cultura di massa è ormai un ricordo; morta, sepolta e mandata in pensione da una conformazione del mercato culturale che è sostanzialmente quella di una massa frantumata, composta da nicchie gigantesche e privata ormai ontologicamente del suo prodotto unico, la serie che tutti vedono, il gruppo che tutti ascoltano, il libro che tutti leggono.

Game of Thrones è una serie che riuscita in una operazione impossibile: essere un prodotto di massa in un’epoca, che è poi quella degli anni che stiamo vivendo, in cui la cultura di massa è ormai un ricordo

In realtà Herman non la dice proprio tutta giusta quando usa il termine Monoculture, perché Game of Thrones in realtà è un prodotto piuttosto di nicchia, e lo è anche se nelle nostre bolle informative può sembrare il contrario. E infatti per molti aspetti è veramente paragonabile a Star Wars, Star Trek o altri prodotti novecenteschi di massa, ma contemporaneamente non lo è. È difficile mettere in paragone un prodotto per il cinema con uno per la televisione, ma, giusto per intenderci, proviamo a fare due calcoli.

Un prodotto come Star Wars The Force Awakens, per esempio, ha incassato in tutto il mondo più di 2 miliardi di dollari, che, calcolati a grosse spanne, sono grossomodo 200milioni di spettatori in tutto il mondo. Se prendiamo invece una stagione media di Game of Thrones, il conto sommario degli spettatori a livello mondiale si attesta intorno ai 25 milioni — senza contare chi lo vede illegalmente, ovviamente — praticamente un decimo di quelli di Star Wars, ovvero più o meno gli stessi spettatori che fa un’edizione del festival di Sanremo, un numero che a livello mondiale significa poco o niente.

Game of Thrones sta esistendo in una fase molto peculiare del mercato televisivo e, più in generale, della narrativa: non solo non può contare sulla potenza commerciale di un lancio al cinema (e sugli incassi diretti che esso garantisce a differenza di una televisione via cavo, i cui incassi degli abbonamenti vanno puoi spalmati su tutti i prodotti del network), ma, soprattutto, è costretta a muoversi in uno scenario definito come “Peak Tv”, ovvero il periodo successivo alla cosiddetta Golden Age in cui la presenza sul mercato di troppi prodotti fa sì che nessuno di questi possa conquistare l’egemonia assoluta.

Ma allora come è possibile che Game of Thrones ce l’abbia fatta? Come è potuto succedere che abbia cambiato con questa profondità e con questa potenza l’intero mondo della narrativa televisiva? Come è possibile che i critici siano quasi tutti unanimi a definirla come un prodotto più simile a una gigantesca macchina da soldi come Star Wars piuttosto che ad altre serie di successo come Breaking Bad o The Wire, più o meno conclusesi in loro stesse, al netto di qualche spinoff? Gli ingredienti del miracolo di Game of Thrones sono almeno tre e tutti hanno a che fare con un particolare tipo di spregiudicatezza.

Game of Thrones è veramente paragonabile a Star Wars, Star Trek o altri prodotti novecenteschi di massa, ma contemporaneamente non lo è, non lo può più essere.

La prima di cui sono ampiamente forniti i creatori di Game of Thrones è la spregiudicatezza produttiva e non può essere il contrario se contiamo il fatto che riesce a stare in piedi con circa 10 milioni di spettatori (a puntata, in America) pur costando mediamente 8 milioni di dollari (a puntata). Per confronto, Sense8, una delle serie più innovative e costose di Netflix costa circa 10 milioni di dollari a puntata, e infatti è stata chiusa di recente proprio per i costi di produzione troppo ingenti.

Da questo punto di vista la produzione di GoT ha applicato una strategia perfetta che diversifica gli introiti e che non butta via niente: dagli aiuti delle film commission delle location che sceglie per girare (la sola Irlanda del Nord ci ha messo in 5 anni circa 20 milioni di dollari, rifacendone circa dieci volte tanto solo di turismo); fino a un mercato di vendita di diritti che porta circa 25 milioni di dollari a stagione.

La seconda spregiudicatezza di Got è quella narrativa, per gran parte ereditata per osmosi da quella di George Martina, ma per il resto costruita di puntata in puntata e di episodio in episodio. Cosa significa? Per esempio riuscire a partire da un universo narrativo fantasy e, mischiando il genere con altri, uscire dalla prima nicchia di riferimento e conquistarne altre, dai critici televisivi, per esempio, e tutti coloro che ancora li seguono, fino agli appassionati di geopolitica, tra i più appassionati amanti della serie

La terza spregiudicatezza, infine, è quella emotiva, che è poi quel misto di coraggio, arroganza e onestà che porta Game of Thrones a non inseguire a tutti i costi il proprio pubblico e i suoi desideri, ma, al contrario, quella che porta i creatori di GoT a farsi odiare dai propri spettatori grazie ad alcune mosse tra cui possiamo includere uccidere i personaggi più amati, chiudere linee narrative definitivamente e in una manciata di minuti, o ancora, mettere in scena una violenza cruda, senza minimamente pensare allo stomaco degli spettatori e alla loro sensibilità.