Gli U2 come le merendine di quando ero bambino: non torneranno mai più

Unforgettable fire, The Joshua Tree, Rattle and Hum, Achtung Baby, Zooropa: ce n'è abbastanza per fermarsi e metterci un punto. Fine della storia. Anche se loro, dicono, sono sempre loro. Al che, ovviamente, viene da chiedersi: perché gli U2, non ci sono nella Top20 su Spotify?

Le merendine di quando ero bambino non torneranno mai più. Ecco, guardando alle tre notizie che voglio affrontare in questo articolo mi viene da partire da questa citazione di Nanni Moretti, dal nostalgico e definitivo Palombella rossa.

Stavolta, però, invece che Michele Apicella a parlarvi sono io, Michele Monina, e parlo delle merendine di quando ero bambino perché è quello che sto rimpiangendo ora, quando ero bambino. E lo sto facendo, sto rimpiangendo quando ero bambino, fondamentalmente per gli stessi identici motivi per cui in genere si rimpiange quando si era bambini, cioè perché non si è più bambini e perché si ritiene, a ragione o torto, che oggi, da adulti, si stia peggio, non solo perché si è adulti, ma perché intorno il mondo è peggiorato.

Ma qui non stiamo parlando del mondo in generale, né, lo avrete capito, di merendine (men che meno di Nanni Moretti), ma del mondo della musica, e sparlare della musica d’oggi, qualsiasi musica d’oggi si stia affrontando, addirittura qualsiasi oggi si stia affrontando, è un gioco da ragazzi, addirittura da ragazzini.

I fatti sono questi, è di queste ore l’uscita della classifica, che altro se no?, delle band più ascoltate nel mondo su Spotify. È sempre di queste ore l’eco dei concerti tenuti a Roma dagli U2, nel corso del loro The Joshua Tree 30. Sempre di queste ore è anche l’annuncio della data romana di Motta, ma questo, apparentemente potrebbe avere poco a che fare col resto, apparentemente.

Una cosa alla volta, quindi.

È uscita la classifica delle band più ascoltate su Spotify, si diceva. Al primo posto ci sono i Coldplay, band che pochi giorni fa ha toccato l’Italia, con due roboanti date a San Siro. Nei primi venti posti si vede un’alternanza, anche piuttosto buffa, tra grandi classici, come Beatles, al quarto posto, e Rolling Stones, al diciannovesimo, colossi dell’hard rock, come gli AC/DC, al tredicesimo o i Metallica, all’ottavo, e una serie di nomi assai prescindibili, dagli Imagine Dragons, al secondo posto ai Panic! At the disco. Tutto nella norma, trattandosi di Spotify, verrebbe da dire, non fosse che, a fronte della presenza dei Fall Out Boy e dei Paramore, toh, una donna nei primi venti posti, ci sono assenze che rasentano il paradossale, dai R.E.M. ai Police, passando per Oasis e Blur, ma anche Radiohead o Led Zeppelin, tanto per non farci mancare niente, toccando poi il culmine con Pearl Jam, Depeche Mode e U2.

Sì, in una classifica che ha al primo posto i Coldplay mancano gli U2. Quegli U2 che proprio nelle ultime ore hanno riportato in Italia The Joshua Tree, trent’anni dopo aver toccato già l’Italia, coi due concerti di Modena e quello di Roma, entrati nella storia.

Ora, posso capire tutto.

Posso capire che invece che gli originali a qualcuno, chi ascolta Spotify, piaccia di più ascoltare le brutte copie. Posso capire che chi si è stancato per la deriva da vecchio circense caciarone di Bono vada ancora bene la deriva da un po’ più giovane circense caciarone di Chris Martin. Posso capire che chi ha smesso di seguire la band di Dublino perché troppo votata a un pop mascherato da rock, già pensato per essere cantato negli stadi, in coro, preferisca il pop mascherato da rock, già pensato per essere cantato negli stadi dei Coldplay. Posso capire che chi ha vissuto l’epopea new wave di Bono e The Edge, seguendo poi nell’avventura americana, innamorandosi poi del suono berlinese, il flirt con l’elettronica, McPhysto e tutto quanto oggi possa entusiasmarsi per Chris Martin e soci…

No, scusate, non ce la posso fare. Io non capisco proprio niente. Io non voglio capire niente. Io non capisco come sia possibile che ci sia gente che crede nei Coldplay.

Non, quantomeno, tra quanti hanno creduto negli U2. Perché è proprio una faccenda di matrice e copia, di bella copia e brutta copia, di protagonisti e stunt man. Mi manca un passaggio logico e, onestamente, non voglio neanche saperlo.

Non capisco come si possa ascoltare la band di Fix You o quel che è, e non ascoltare affatto quella di (inserite il titolo di un brano della discografia degli U2 dal 1978 al 1993 a vostro piacere).

Non lo capisco perché è chiaro, o tale dovrebbe essere, a tutti che è con gli U2 che la faccenda del rock si è chiusa definitivamente. Un punto di non ritorno. Uno pubblica Unforgettable fire, The Joshua Tree, Rattle and Hum, Achtung Baby, Zooropa. Direi che ce n’è abbastanza per fermarsi e metterci un punto. Fine della storia.

Cioè, prima c’erano stati i Rolling Stones, poi loro, gli U2.

Una generazione gli uni, la generazione successiva gli altri. Chiaramente non solo loro, per l’una e per l’altra, ma prevalentemente loro, con il peso che le icone devono avere in quanto tali. Prova ne è proprio il tour che gli U2 stanno portando in giro ora, il ricordo di The Joshua Tree a trent’anni di distanza. Uno spettacolo, dicono le cronache, che ha messo d’accordo tutti. Quelli che trent’anni fa c’erano, allo stadio di Roma o di Modena, ma più che altro c’erano e basta, che ascoltavano quella musica lì, che in quella musica lì ci si riconoscevano, e quelli che, invece, ancora non c’erano, perché troppo piccoli, o ancora non nati, o magari già nati ma distratti. Tutti d’accordo nel dire che gli U2, se fanno quelle canzoni lì, da Bullet the blue sky a Exit, per citare le meno presenti, poi, nelle loro scalette, danno la paga al resto del mondo. Bye bye, baby. Viva gli U2, quindi.

U2 che, ovviamente, non sono tornato a vedere. Con la spocchia di chi nel 1987 c’era, ancora diciassettenne, per pochi giorni, al suo prima mega concerto, lì a ammirare i Lone Justice di Maria McKee, i Big Audio Dynamite di Mick Jones, cioè, cazzo, uno dei Clash, i Pretenders di Chrissie Hynde e soprattutto loro, gli U2. Bono, The Edge, Adam Clayton, Larry Mullen. Gli U2, cazzo.

U2 che non sono tornato a vedere con la paura di chi si è raccontato per trent’anni una storia, la sua storia, la più bella storia, con gli spigoli arrotondati dai ricordi, appunto, le parti epiche ingigantite, le parti ombrose illuminate, insomma, con la paura di chi si è raccontato per trent’anni una storia e rischia di vederla anche lievemente incrinata dall’incedere del tempo.

Io li ho visti, nel 1987, ho visto il tour che mi ha cambiato la vita. Quello che ha cambiato la vita di molti, troppo piccolo per poter vedere Bob Marley a San Siro, ma non per vedere loro, la storia.

Al punto da non tornarli a vedere, perché la storia, quando l’hai vista l’hai vista, mica servono le repliche, men che meno i revival. Anche se loro, dicono, sono sempre loro. Al che, ovviamente, viene da chiedersi, allora perché loro, gli U2, non ci sono su Spotify?

Non sono in vetta a quella top 20? Non sono proprio in quella top 20? Perché ci sono i Coldplay, soprattutto? Ecco le merendine di quando ero bambino. Ecco la nostalgia. Ma soprattutto, ecco la consapevolezza che la musica d’oggi è abbastanza una merda. Non perché per tutti l’oggi è una merda rispetto al passato, ma proprio perché oggi è una merda, senza se e senza ma.

Al punto che, non l’avessi già visto in passato, non avessi assaggiato quelle merendine quando ero bambino, sarei anche andato allo stadio a rivedermi il tour di The Joshua Tree, avrei fatto davvero il nostalgico, avrei esibito la panza, come un Grande Lebowsky qualsiasi, e vaffanculo a Spotify e ai Coldplay.

Ma io mi abbracciavo in camera sulle note degli U2, esattamente come faceva Bono, già negli anni Ottanta, cosa mai ho da dimostrare oggi?

Io provavo a ripetere le sequenze sghembe di accordi di The Edge quando ancora giocava a calcio Causio o Ian Peters, perché dovrei accontentarmi dell’oggi?

Cioè, capiamoci, Benvegnù apre per Motta? Ma siamo seri? Come se i Coldplay avessero come Opening Act gli U2. O come se i Coldplay fossero in vetta a una classifica della band più ascoltate al mondo, classifica in cui gli U2 neanche ci sono. Non è questione di nostalgia. È questione di buon gusto. Le merendine di quando ero bambino non torneranno mai più. Le merendine e gli U2 di quando ero bambino non torneranno mai più.

Un oggi, del resto, che non ci lesina dolori, e arriviamo al gran finale di questo articolo, e cioè all’apparente notizia fuori tema del concerto di Motta a Roma. Ok, Motta è uno dei nomi che più gira nel mondo indie. Ha pure vinto la targa Tenco come Migliore Opera Prima nell’ultima edizione del premio prima dell’implosione, cioè quella dell’anno scorso, insomma, è uno che potrebbe anche avere un certo valore. Uno che dal vivo, dicono quelli che ascoltano la musica indie, riesce a dare il meglio di sé. Normale che faccia concerti. Meno normale che, nell’annunciarlo, si dica che a fare l’Opening Act, cioè il set di apertura, ci sia Paolo Benvegnù.

Cioè uno dei più importanti cantautori che nel mondo dell’indie, ma l’indie vero, ci è vissuto una vita, nonché leader di una delle band che ha segnato un’epoca passata e felice in cui il rock in Italia aveva ancora un senso, gli Scisma, la band, e la fine degli anni Novanta, l’epoca.

Cioè, capiamoci, Benvegnù apre per Motta? Ma siamo seri? Come se i Coldplay avessero come Opening Act gli U2. O come se i Coldplay fossero in vetta a una classifica della band più ascoltate al mondo, classifica in cui gli U2 neanche ci sono. Non è questione di nostalgia. È questione di buon gusto. Le merendine di quando ero bambino non torneranno mai più. Le merendine e gli U2 di quando ero bambino non torneranno mai più.

X