La lotta contro le fake news è più pericolosa delle fake news

Ormai ci sembra di vivere in un mondo in cui tutte le news sono fake news, ma stiamo attenti, perché combattere i fenomeno con interventi normativi è molto più pericoloso

Sembrano passati degli anni, ma in realtà si tratta soltanto di pochi mesi, meno di 9 per l’esattezza, da quel giorno di novembre dello scorso anno in cui l’Oxford Dictionary scelse come parola dell’anno l’espressione “post truth”. Sembrano passati degli anni perché in questi mesi la temperatura del dibattito politico e culturale si è impennata, tanto che ormai sembra di muoversi in un mondo buio in cui le vacche sono tutte nere, un mondo in cui tutte le notizie sono false.

In questo contesto, nel nostro paese sono in molti a pensare che si debba ricorrere a una soluzione drastica. Prima, a febbraio, dei senatori — 27, per l’esattezza, capeggiati da Adele Gambaro — poi, giusto pochi giorni fa, Angelo Cardani, presidente dell’autorità garante delle comunicazioni, l’AGCOM, che ha dichiarato nel consueto rapporto annuale davanti al Parlamento, di essere favorevole a un intervento normativo per combattere il fenomeno della manipolazione della verità nel contesto dell’informazione online.

Ora, il punto è che, anche se siamo tutti abbastanza spaventati da questo fenomeno che apparentemente sembra moltiplicarsi a briglia sciolta, questa battaglia contro le fake news è decisamente più pericolosa del problema stesso e lo è per una serie di questioni che vanno dalla grave miopia, molto vicina alla incomprensione assoluta, della reale essenza del problema, fino alla soggiacente e imperdonabile convinzione che la questione sia legata a triplo filo e in via esclusiva alla informazione via web.

Fandonie. Prima di tutto perché le fake news — come racconta in un bel pezzo di qualche mese fa Robert Danton — non sono affatto un problema nuovo, bensì sono sempre esistite, quantomeno da quando esiste l’uomo sulla terra e da quando quest’ultimo ha una vita pubblica. Che cosa fu la storia della donazione di Costantino se non una gigantesca fake news? E lo sbarco degli extraterrestri che terrorizzò metà degli Stati Uniti quando Orson Wells lesse la Guerra dei mondi alla radio? O ancora, le armi di distruzione di massa che ci hanno spinto ad invadere un paese sovrano come l’Iraq condannando tuta la regione all’instabilità per decenni?

Un altro problema che tradisce l’inconsistenza delle posizioni di chi vorrebbe l’intervento normativo è che se anche possiamo pretendere di sapere cosa vogliamo evitare — bufale, falsità, scherzi, propaganda etc… — nessuno ha la benché minima idea di chi dovremmo colpire: gli autori delle bufale? i siti che li ospitano? Gli editori che possiedono i domini? I social che li fanno arrivare a tutti noi? O invece noi stessi che quasi sempre veicoliamo informazioni che non abbiamo verificato?

Ma c’è anche un’altra questione, molto più profonda, una questione che quasi tutti noi abbiamo accettato senza battere ciglio e che riguarda l’etichetta di partenza, quella che a Oxford hanno scelto come espressione dell’anno, ovvero Post Truth, post verità. Si tratta infatti di una espressione non solo priva di senso, ma anche molto pericolosa perché il fatto che ci troviamo in un regime di post verità prevede che prima non lo fossimo, e quindi che prima la verità esisteva.

A parte per le dittature e per le religioni, che condividono vocazione maggioritaria, fideismo e ortodossia, la verità non esiste e ci abbiamo messo secoli a capirlo. È stato probabilmente il lascito più importante dell’epoca moderna, ahinoi ormai chiusa, perché è su quella consapevolezza dell’inesistenza di una verità oggettiva che abbiamo potuto costruire il metodo scientifico, mettendo così in , quella cosa che ci ha permesso, facendoci strada col dubbio, d

Non stiamo vivendo alla fine della verità, stiamo vivendo alla fine dell’autorevolezza. Ed è questa la cosa che deve spaventarci, più ancora della apparente proliferazione delle notizie false, delle bufale e della propaganda. È il crollo dell’autorevolezza quello che consente a una qualunque Farfallina84 di contestare il Lancet o Science e mettere in discussione l’opinione di tutta la comunità internazionale di scienziati, di tutte le riviste specializzate e di un buon centinaio d’anni di studi negando l’utilità dei vaccini.

Da questo pastrocchio però non se ne esce a colpi di decreti legge o di innovazioni normative come vorrebbero alcuni senatori e il presidente dell’Agcom; se ne esce ripristinando gli unici presidi possibili per limitare la diffusione di falsità, di complottismi e di propaganda indiscriminata: il dubbio, il metodo e l’intelligenza. Sono queste le carte che dobbiamo giocare per uscire dal pantano in cui ci siamo infilati. Ed è una cosa che non può fare un parlamento, tocca farlo a noi, a ognuno di noi, che nel proprio piccolo deve allenarsi, studiare, acquisire un metodo per verificare le cose che legge e ascolta. Non ci sono altre strade, perché se veramente imbocchiamo quella auspicata dall’Agcom ci infiliamo in una strada che non possiamo sapere dove ci porterà.

Di una cosa possiamo essere certi: concedere ad una autorità di decidere cosa è vero e cosa è falso è l’anticamera del Medioevo, un periodo che ci siamo lasciati alle spalle esattamente facendo il percorso inverso e chiamandolo Modernità.