Dunque Pisapia ha parlato. Da piazza Santi Apostoli (per questa mania della sinistra di commemorare il passato come se “l’essere stato” sia già abbastanza per aspirare alla gloria) l’ex sindaco di Milano ha lanciato un appello (un altro, sì lo so, abbiate pazienza) per chiedere l’unità al vasto arcipelago che va da MDP a Possibile, Sinistra Italiana e le realtà civiche dei territori. Pisapia è solo l’ultimo di una lunga serie di personalità che a sinistra si propongono per federare nonostante il pullulare dei distinguo e ora, dopo che ha presentato la prima bozza del suo progetto, il quadro va schiarendosi. Il che, badate bene, non significa che lo scacchiere si semplifichi. Anzi.
Iniziamo subito dicendo che da queste parti le mosse di Pisapia sono state sempre osservate con un certo sospetto: il 15 giugno proprio su queste pagine lamentavo l’operazione guastatrice di chi a forza di inseguire il PD, questo PD, finiva per essere il genio guastatore di una sinistra che storicamente è già brava a complicarsi da sola. Ma il discorso di Pisapia (e il filo rosso di tutti gli interventi che l’hanno preceduto) ha puntato subito dritto alla “discontinuità”. «Serve discontinuità ma anche innovazione», ha detto l’ex sindaco di Milano, e poi: «L’Italia è cresciuta di più quando ha saputo ascoltare le sue classi subalterne. Senza i più poveri, gli esclusi, questo Paese non cresce. Lo sciopero del voto ci spinge a ridare dignità al lavoro, solo così ripartirà lo sviluppo. È indispensabile il lavoro nel pubblico. Una questione – ha aggiunto – che non è più eludibile, un pubblico che punti su economia circolare e verde».
Chi chiedeva da tempo a Pisapia di lasciare perdere le politiche di questi ultimi anni sul lavoro, i diritti e le diseguaglianze ha avuto una risposta. Positiva. C’è lo sforzo, difficile, di chiedere a chi ha avuto lo sguardo lungo di non impiantarsi nel rivendicarlo e dall’altra parte
Insomma, chi chiedeva da tempo a Pisapia di lasciare perdere le politiche di questi ultimi anni sul lavoro, i diritti e le diseguaglianze ha avuto una risposta. Positiva. Non esaustiva, per carità, come non possono essere esaustive le risposte di una sinistra che deve essere capace di tenere insieme quelli che hanno avuto ruoli (e responsabilità) negli ultimi anni di governo insieme a quelli che con tempi e modalità diverse sono state le Cassandre di un declino annunciato e di un deragliamento a destra da parte del PD e del suo segretario: c’è lo sforzo, difficile, di chiedere a chi ha avuto lo sguardo lungo di non impiantarsi nel rivendicarlo e dall’altra parte, lì dove stanno alcuni di quelli che hanno votato le politiche che contestano, di ravvedersi con convinzione.
Ma la sinistra, una sinistra che contenda molto di più di un nugolo di seggi nel prossimo Parlamento, ha bisogno, secondo il mio modesto parere, di non disperdersi in un rigurgito di schizzinerie: le dichiarazioni d’intenti (per autonomia, distanza dal presente e, appunto, discontinuità) di piazza Santi Apostoli e del Teatro Brancaccio (dove Tomaso Montanari e Anna Falcone hanno organizzato la loro iniziativa partendo dalla Costituzione) sono molto più vicine di quello che potrebbe sembrare. Se sgombrassimo dal campo le facce e tenessimo le idee si coglierebbero due temperature politiche affini. Le diffidenze (legittime e naturali) e le simpatie non dovrebbero distoglierci dal senso di un intervento, come quello di Bersani, che avrebbe benissimo potuto essere pronunciato in entrambi i consessi: «Il Pd, e mi spiace dirlo, non è nelle condizioni e nell’intenzione di promuovere un centrosinistra largo – ha detto l’ex segretario dem – perché pensa che si riassuma nel Pd e il Pd si riassuma nel capo, rompendo le radici con una troppo grande parte del popolo».
La sinistra, una sinistra che contenda molto di più di un nugolo di seggi nel prossimo Parlamento, ha bisogno, secondo il mio modesto parere, di non disperdersi in un rigurgito di schizzinerie
Quindi è vero che alcuni ci sono arrivati proprio tardi, è vero che qualcuno sembra un po’ fuori posto, è vero che sarebbero state gradite anche le scuse, è vero d’altra parte che qualcuno sembra coltivare aspirazioni moderatamente egoriferite, è vero che c’è chi abusa del feticcio del “nuovismo”. È vero tutto. Ma il punto non è se l’uno sta antipatico all’altro e nemmeno se sono mancate le cortesie: è urgente ora dare una forma ai declamati sguardi sul futuro, capire da tutti come intendono declinare le parole di partenza che devono diventare proposte politiche chiare.
Mettere in fila “l’impegno per i diritti sul lavoro” con le riforme che si intende praticare; trasformare il “superamento delle diseguaglianze” nelle leggi che si intenderebbe percorrere e stilare le riforme che servono per “attuare la Costituzione”: un manifesto, si direbbe così, che davvero ci dica come la sinistra ha intenzione di manifestarsi. E su quelle confrontarsi, anche aspramente, per misurare le affinità. Se il confronto sulle linee guida sarà chiaro, leale e plurale allora vedrete che anche qui fuori sarà più facile e appassionante seguirne l’evoluzione. Qualcuno la chiama “unità” ma in fondo se ci pensate, si tratta di un naturale processo politico. Di politica, appunto. Senza troppi rivoli da prosopopea di personalismi: quello è già stato per troppo tempo un reality che non ha portato nulla di buono. Politica. Appunto.