Che cosa fa un sindaco eletto nel 2013 con appena 55 voti di scarto sul suo avversario, alla vigilia di una nuova tornata elettorale per la conquista del Comune, in un paesino di 3.337 abitanti? Ma è ovvio. Parte per la sua personale crociata anti-migranti. Mette la fascia tricolore e se ne va a bloccare i cancelli dell’hotel abbandonato dove il prefetto sta trasferendo 50 richiedenti asilo. L’hotel non è nemmeno nel suo territorio, ma chissenefrega. Ieri il sindaco-Masaniello (Lionetto Civa dr. Vincenzo, da Castell’Umberto, provincia di Messina) era sulla copertina di quasi tutti i quotidiani nazionali e nelle aperture di ogni telegiornale come capopopolo della prima «rivolta anti-migranti» del Sud. Un eroe. Dalle modeste fortune della lista locale “Insieme per crescere, voi non io” (grammatica zoppicante ma comunque premiata con 1168 voti) ad ambizioni finalmente più vaste: un capolistato alle politiche? La guida della Lega Sud? Non c’è limite al sogno. E domani il copione si ripeterà a Civitavecchia, dove il sindaco è Cozzolino Antonio, del M5S, ma non importa: è già arrivata a protestare Giorgia Meloni, si attende Matteo Salvini e forse pure Luigi Di Maio, tutti in cerca dell’apertura del Tg4 se non del Tg1.
Lionetto Civa dr. Vincenzo e gli altri sono l’incarnazione quintessenziale di quello che Giuliano Ferrara, su “Tempi”, ha chiamato lo «smarrimento filisteo» delle nostre classi dirigenti sulla questione migranti, che parte dall’alto e scende giù per i rami, dai leader nazionali ai sindaci delle grandi città fino alla sparsa graniglia dei Comuni minuscoli e dimenticati. La lagna, la paura, le barricate preventive, il cavillo – l’allaccio all’acqua, i distinguo tra profughi e immigrati economici, il no ai maggiorenni ma pure ai minori e persino alle donne incinta come è successo a Gorino, che anche i neonati poi crescono – di un’Italia in balia della convinzione che il ridicolo sovranismo dei muretti cittadini sia la via maestra per il consenso. E l’inseguimento al voto della paura e della lagna produce ogni giorno risultati più surreali nel dibattito politico. Non va bene accoglierli, ma anche il fortunato slogan “Aiutiamoli a casa loro” ha già esaurito la sua spinta propulsiva. Da due giorni i giornali sono pieni di titoli sulla follia dei fondi all’Africa, e ci si chiede cosa si dovrà dire, domani, per accontentare le masse: spariamogli a casa loro? Incateniamoli a casa loro? Affondiamoli a casa loro?
Ci lamentiamo dell’Europa. Ma siamo il Paese che prima voleva Mare Nostrum e poi non gli è andato più bene, poi Frontex e manco quello gli piace più, prima ha delegato le Ong a fare il lavoro dello Stato e poi se ne è pentito, prima ha privatizzato l’assistenza e poi se ne è stufato, prima ha fatto piani di decentramento e poi se li è rimangiati, e ora non è nemmeno capace di mettere a posto sindaci di comuni infinitesimali, da Capalbio a Castell’Umberto
La questione rifugiati, profughi, immigrati o comunque li si voglia chiamare, è questione nazionale, nostra, e salvo che non vogliamo cedere ad altri pezzi di territorio italiano – consegnando ai tedeschi o ai francesi Lampedusa come a suo tempo facemmo con Sigonella agli americani – tocca a noi governarla e fermare l’escalation degli allarmi apocalittici per riportare la questione ai suoi contorni razionali. La quota di stranieri interessati a rimanere a Castell’Umberto, Gorino, Capalbio, Civitavecchia o in qualunque altro Comune del Belpaese è minuscola. Appena conquistato lo status di profughi questi vogliono la Francia, la Svezia, la Germania, il Belgio, i posti dove stanno i loro parenti e dove c’è lavoro oltre la raccolta di cocomeri: non dimentichiamo che a sbarcare è il ceto medio africano, non certo i morti di fame i quali non avrebbero i duemila euro per gli scafisti nemmeno se si vendessero i figli. Dobbiamo identificarli e dargli un pezzo di carta che gli consenta di varcare le frontiere, non tenerceli a vita. Chi non ha diritto, può essere rimpatriato. Gli accordi ci sono e vanno fatti funzionare.
Ci lamentiamo dell’Europa. Ma la modalità del nostro Paese, che prima voleva Mare Nostrum e poi non gli è andato più bene, poi Frontex e manco quello gli piace più, prima ha delegato le Ong a fare il lavoro dello Stato e poi se ne è pentito, prima ha privatizzato l’assistenza e poi se ne è stufato, prima ha fatto piani di decentramento e poi se li è rimangiati, e ora non è nemmeno capace di mettere a posto sindaci di comuni infinitesimali – da Capalbio a Castell’Umberto – imponendogli di fare il loro dovere, è oggettivamente difficile da capire. “Dobbiamo battere i pugni a Strasburgo”, si dice. Ma siamo sicuri che questa strategia della lagna permanente, del capriccio, del piagnisteo, applicata a Paesi che affrontano da anni la questione a ben altro livello e con ben altri costi – compresi gli attentati – possa suscitare reazioni diverse dal pensiero “Uffa, i soliti italiani”?
L’ultima trovata è una grande operazione di permessi umanitari, duecentomila, che l’Italia potrebbe concedere ai migranti diretti nel Nord Europa: ne ha parlato ieri il quotidiano britannico “Times” definendola una «opzione nucleare» per gestire l’emergenza sbarchi, approfittando di una vecchia e dimenticata circolare creata dopo la guerra nella ex-Jugoslavia. Vero, credibile, praticabile? In ogni caso l’indiscrezione rivela il possibile, prossimo passaggio di questa storia tragicomica: da “Aiutiamoli a casa loro” a “Spediamoli in casa d’altri”. Poi, quando ci saremo ulteriormente incasinati, ci inventeremo qualcos’altro.