Viva la FifaLo spettacolo che solo gli italiani sanno regalare al Tour de France

Non sono numerose le vittorie finali azzurre alla Grand Boucle, ma quando gli italiani tagliano il traguardo per primi in Francia, lo fanno per la storia. Tre vittorie sono rimaste negli occhi di tutti: riviviamole

Ils gagnent tout! Ces Italiens sont bénis des dieux“, borbottava nel 1938 il presidente francese Albert Lebrun, di fronte ai successi calcistici azzurri. nell’estate di quell’anno, proprio in Francia, la nazionale di Vittorio Pozzo vinceva il suo secondo Mondiale, bissando il successo del 1934, quando in Italia gli Azzurri erano stati la prima selezione calcistica europea a vincere la vecchia mitica Coppa Rimet. Ma i grugniti di Monsieur Lebrun erano anche rivolti al ciclismo: sempre in quell’anno, Gino Bartali si portava a casa il Tour De France.

Insomma, questi italiani erano proprio benedetti, vincevano ogni cosa. Se si credesse alle maledizioni sportive lanciate da qualcuno, à la Guttmann nel caso del Benfica, si potrebbe dire che Lebrun abbia quel giorno lanciato una lunga ombra sul nostro calcio: da lì in avanti, l’Italia dovrà aspettare il 1982 per vincere un altro Mondiale. E anche nel ciclismo, relativamente alla Grand Boucle, le cose andranno un po’ peggiorando. Sì, ci saranno altri tre successi italiani in Francia con Bartali e Coppi nel secondo dopoguerra, ma poi si dovrà aspettare tra la vittoria di Gimondi nel 1965 (5 anni dopo Nencini) e quella di Pantani la bellazza di oltre 30 anni: il Pirata fa la doppietta con il Giro nel 1998.

L’inizio degli anni Novanta in realtà ci avevano fatto ben sperare, con i podi di Gianni Bugno e Claudio Chiappucci. Quest’ultimo in particolare centrerà il podio tre volte consecutive tra il 1990 e il 1992, vincendo anche due maglie a pois e il premio della combattività. Già, perché Claudio non riusciva a stare fermo sui pedali. Vedeva una salita la affrontava. Il 18 luglio del 1992 la tappa del Tour prevedeva l’arrivo al Sestriere. Alla partenza del peloton c’è Miguel Indurain favorito, la sorpresa Pascal Lino in maglia gialla e Chiappucci con quella a pois. Il navarro ha già battuto il varesino al Giro di qualche settimana prima e sta per vincere la classifica finale anche in Francia, per la terza volta consecutiva. Si arriva come detto al Sestriere, cioè in Italia, e Chiappucci sente d’istinto che quella tappa può essere sua. La giornata, in buona parte disegnata su quella che vide trionfare Fausto Coppi nel 1952 al termine di una fuga in solitaria, è di quella da spezzare le gambe ancora prima di salire in bici: Col De Saisies, Cormet de Roselend, Iseran, Moncenisio, Sestriere. Cinque gran premi della montagna, di cui il terzo hors categorie. Chiappucci lo chiamano El Diablo: piccolo ma furente, non ci pensa su due volte e alla discesa della prima scalata è già in testa al gruppo, tallonato da Richard Virenque, un altro che di maglie a pois se ne intende. Ma quel giorno nessuno tiene il passo di Claudio. Sull’ascesa verso l’Iseran, è da solo. Nessuno, nessuno pensa che possa farcela, sembra un suicidio, una roba da matti. Ma Chiappucci non fa calcoli, Chiappucci va finchè ne ha. E quel 18 luglio ne ha fino alla fine: 192 chilometri di fuga e vittoria, gli ultimi metri spaccati dalla fatica e il traguardo tagliato in lacrime, un capolavoro. Indurain riesce ad accorciare insieme ad un gruppetto e a limitare i danni, visto che per qualche chilometro Chiappucci era stato anche maillot jaune. Ed è qui il grande successo dellitaliano: costringere il navarro ad attaccare anziché difendersi sulle montagne, come era solito fare dopo aver regolato tutti nelle lotte contro il tempo.

Il 18 luglio del 1992 la tappa del Tour prevedeva l’arrivo al Sestriere. Alla partenza del peloton c’è Miguel Indurain favorito, la sorpresa Pascal Lino in maglia gialla e Chiappucci con quella a pois. Il navarro ha già battuto il varesino al Giro di qualche settimana prima e sta per vincere la classifica finale anche in Francia, per la terza volta consecutiva. Si arriva come detto al Sestriere, cioè in Italia, e Chiappucci sente d’istinto che quella tappa può essere sua.

Per tornare ad emozionarci al Tour con un italiano, dobbiamo aspettare solo qualche anno. Il Pirata, il compianto Marco Pantani, vincerà a Parigi nel 1998, ma al Tour ha già avuto modo di dare spettacolo. Nel 1995 vince all’Alpe d’Huez, dove nel 1990 Gianni Bugno aveva già rotto un digiuno azzurro che mancava da 38 anni. E lo aveva fatto a modo suo, attaccanto già all’inizio della salita, senz alcun timore reverenziale per un muro storico del ciclismo mondiale. Marco quel giorno, il 21 luglio aveva fatto un’impresa pazzesca, salendo i 21 tornanti in 38 minuti netti, manco l’avesse fatta in motorino. Ma i grandi campioni sono quelli che non si siedono, che vogliono miglirarsi sempre. Pantani aveva visto in quegli anni i propri successi alternarsi a momenti di sfortuna pazzesca. Durante la Milano-Torino dello stesso anno, venne investito da un furgone: gli andò bene, visto che il mezzo che investì lui e altri due ciclisti a sette chilometri dal traguardo non doveva nemmeno essere lì e inveve procedeva incredibilmente in senso opposto a quello della corsa. Poi, al Giro di due anni dopo, un gatto nero attraversa la strada e Marco cade: ritiro. Poche settimane dopo c’è il Tour e Pantani ha una gran voglia di rivalsa. Due anni prima ci ha messo 38 minuti per l’Alpe d’Huez? La Montagna degli Eroi non ha ancora visto nulla. Il 19 luglio 1997 Marco Pantani attacca: una, due, tre volte. Mulina le gambe con forza e grazia allo stesso tempo. Virenque e Ullrich si piazzano davanti al gruppo per fare selezione, poi Pantani si mette davanti per la sua selezione. Una selezione che prevede un uomo solo al comando. Virenque con la maglia a pois si stacca, ondeggia con le spalle come fanno i ciclisti quando provano a richiamare tutto il corpo alla spinta. Poi cede anche Ullrich, la maglia gialla. Il tedesco ancheggia, abbassa la testa, mentre tra due ali di folla Pantani sale tranquillo. Poi il traguardo e quell’urlo: Marco ha scalato l’Alpe d’Huez in 37 minuti e 35 secondi. Quanto ci manchi, Pirata.

Virenque con la maglia a pois si stacca, ondeggia con le spalle come fanno i ciclisti quando provano a richiamare tutto il corpo alla spinta. Poi cede anche Ullrich, la maglia gialla. Il tedesco ancheggia, abbassa la testa, mentre tra due ali di folla Pantani sale tranquillo. Poi il traguardo e quell’urlo: Marco ha scalato l’Alpe d’Huez in 37 minuti e 35 secondi. Quanto ci manchi, Pirata.

Quando nel 2014 Vincenzo Nibali vince la seconda tappa del Tour in terra inglese, a Sheffield, con indosso la maglia tricolore da fresco campione d’Italia, forse possiamo riabbracciare un nuovo italiano da trionfatore al Tour. La ribalta è tutta per Froome e Contador in fondo, per Nibali si prevede una competizione da comprimario. Ma è la strada a dover parlare. Nel pavè della quinta tappa, quella belga con arrivo a Ypres, in più di uno scivolano. Nibali rischia, ma affronta il pavè con grinta: è più forte di tutto, quel giorno. Froome cade due volte e si ritira. Nibali stacca Cancellara e Sagan e arriva terzo. Quel giorno si ha più che un’impressione che il messinese abbia messo il secondo mattone sulla Grand Boucle. ll terzo, quello bello pesante, è datato 14 luglio. I francesi quel giorno si erano presi la Bastiglia, Nibali si prende il Tour. La tappa prevede l’arrivo a La Planche des Belles Filles. La salita che porta in cima è di quelle impegnative: 11,5% di pendenza media, con punte al 28% nello strappo finale. Non è una salita storica del Tour: la prima volta viene affrontata solo nel 2012. Parliamo di un foglio bianco, tutto da scrivere. E la tappa, bella tosta, sembra preparare il terreno a una grande giornata di sport: sette gran premi della montagna, quattro sono di prima categoria. Contador cade, si fa fasciare il ginocchio, risale in sella ma deve ritirarsi poco dopo. La Astana di Nibali si mette a inseguire il gruppetto in fuga. La squadra tira, ma è il campione che deve fare la differenza nel finale. La salita prima della linea del traguardo prevede cinque tornanti, ma può segarti le gambe in un attimo. Lo spagnolo Rodriguez attacca, ma quando sembra per lui fatta, a poco più di due cholometri dal traguardo, Nibali scatta e nel giro di poco tempo raggiunge Rodriguez, lo stacca nel giro di 300 metri e va a prendersi la tappa, la maglia gialla, la gloria.

Qui, pochi giorni fa, Fabio Aru ha vinto per distacco la tappa del Tour che sta finendo. Un segno?

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