Lo Spettrismo, il finto movimento letterario più bello di quelli veri

Fu inventato nel 1916 come scherzo dal poeta americano Witter Bynnet. La sua creatura però sfuggì presto di mano al suo autore: conobbe un grande successo di pubblico e in parte di critica. E gli dimostrò che l’arte, come la vita, è del tutto imprevedibile

Era uno scherzo, divenne un caso letterario. È la storia, breve ma istruttiva, del movimento poetico dello Spettrismo. Nacque per gioco – o meglio, per prendersi gioco del mondo poetico contemporaneo – nel 1916, a opera di Witter Bynner, un poeta americano in ascesa.

Lo racconta bene AtlasObscura. Stanco della nuova ondata modernista, che considerava non-poetica né originale, Bynner, per prendere in giro i suoi commensali di una sera, chiese loro se avessero mai sentito parlare dei poeti Spettristi. Era una sua invenzione, fatta sul momento (forse ispirato dal balletto che si recitava nella sala vicino, Le Spectre de la Rose), che colse tutti di sorpresa. No, risposero. Male, molto male, concluse Bynnet.

Il giochino, però, andò avanti ancora un po’. Dopo aver confessato la sua trovata a Arthur Davison Ficke, suo amico e anche lui poeta, decisero di inventare il manifesto poetico dello Spettrismo, in una lunga seduta caratterizzata dalla forte presenza di whisky. Il risultato, assurdo e orrendo, li soddisfece. Fecero stampare il manifesto (con loro sorpresa, nessuno degli stampatori si accorse dello scherzo) e, senza volerlo, fecero nascere lo Spettrismo, il cui obiettivo era “vedere lo spettro nella nostra vita e catturare le varietà di luce dello spettro”. Tutti se la bevvero.

Arrivarono anche le prime poesie (scritte sotto pseudonimo), assurde e orrende come il manifesto. Ad esempio, Opus 200, scritta da Ficke (sotto il nome di Anne Knish), recitava:

If I should enter to his chamber
And suddenly touch him,
Would he fade to a thin mist,
Or glow into a fire-ball,
Or burst like a punctured light-globe?
It is impossible that he would merely yawn and rub
And say—“What is it?”

“Adesso capiranno che è tutto un gioco”, pensavano. E si sbagliavano: si bevvero anche le poesie. Ma non solo, le trovarono anche molto belle. Lo Spettrismo, insomma, divenne in poco tempo una moda. Tutti i giornali lo presero in considerazione, alcuni – va detto – anche criticandolo con durezza. Nessuno però, immaginò che fosse tutta una montatura, uno scherzo, una presa in giro.

Fu a quel punto che il gioco di Bynner smise di funzionare. Anzi, cominciò a ritorcersi contro di lui. Prima gli fu chiesto dal New Republic di scrivere una critica alle poesie spettriste. Lui accettò. Poi, dopo che nel 1918 aveva ammesso di essere il vero autore dello Spettrismo, il pubblico ebbe una reazione inaspettata. Alzò le spalle. Le poesie erano belle, dicevano. Cosa importa se sono nate per gioco?

Bynner fu sconvolto. A conti fatti, il pubblico preferiva le poesie che scriveva quando calzava i panni del fantomatico Spettrista rispetto a quelle che, invece, firmava con il suo nome – e che riteneva di miglior qualità. “Non capiamo la natura della contraffazione – scrissero alcuni su The Little Review – Se un uomo cambia il suo nome e scrive cose più belle, perché questo dovrebbe rendere ridicolo il pubblico?”

La domanda vale sempre. Bynner fu accompagnato per tutta la vita dal tormento dello Spettrismo. Alla fine, nelle sue ultime produzioni, arrivò perfino a rivalutarlo. Perché è vero che chi la fa, l’aspetti. Ma è anche vero che l’arte, in fondo, è incomprensibile perfino a chi la fa.

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