Il comunicato di Frontex era previsto per le 18. E invece è arrivato in ritardo, intorno alle 20, dopo cinque ore di fitta riunione nella sede di Varsavia con la delegazione italiana guidata dal direttore della polizia di frontiera Giovanni Pinto. Che alla fine ha ottenuto da parte della Agenzia per la difesa dei confini europei e dagli Stati membri solo un generico «supporto» per creare un «gruppo di lavoro» e «discutere l’operazione Triton» nel Mediterraneo centrale. Un piccolo passo, che in realtà prende ancora tempo. Ma non mostra nessuna apertura nero su bianco rispetto alla richiesta italiana di «far sbarcare i migranti nei porti degli altri Stati membri» nel caso di «intesi flussi». E se Frontex si impegna a creare un «gruppo di lavoro» per individuare cosa deve essere rivisto nell’operazione Triton, ogni decisione poi dovrà passare al vaglio dei governi. Ed è qui che saranno dolori.
Il direttore di Frontex Fabrice Leggeri si è limitato a esortare gli Stati membri a «rispettare i loro impegni per rafforzare l’operazione Triton». Tutti i partecipanti alla riunione «hanno riconosciuto che l’Italia sta affrontando una pressione straordinaria e ha bisogno di maggiore sostegno dall’Europa e da Frontex». Ma da Francia e Spagna nei giorni precedenti era già arrivato il no alla concessione dei propri porti, e nel corso della riunione i delegati non sembrano aver cambiato idea.
L’incontro, si sapeva, non poteva essere risolutivo. Né Frontex potrebbe imporre gli sbarchi dei migranti negli altri Paesi Ue che si affacciano sul Mediterraneo. Come spiega a Linkiesta Ewa Moncure, portavoce dell’Agenzia, «Triton è una missione di Frontex ospitata dall’Italia. La Guardia costiera italiana coordina i salvataggi in mare. E il piano operativo prevede che noi portiamo i migranti nel Paese che ospita l’operazione». Punto. «Difficile», dice, immaginare un’operazione a più teste. «Vediamo cosa si può fare, ma c’è la volontà di trovare soluzioni». Dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum, aggiunge la portavoce, «è l’Italia che ha chiesto aiuto. E Frontex, che era già presente nel Mediterraneo con l’operazione Hermes, ha rafforzato la sua presenza. Su tutti i mezzi dell’agenzia – navi, elicotteri, aerei – sono infatti presenti ufficiali italiani». Così come avviene per le operazioni in acque greche e spagnole.
La delegazione italiana ha ottenuto da parte di Frontex e degli Stati membri solo un generico «supporto» per creare un «gruppo di lavoro» e «discutere l’operazione Triton» nel Mediterraneo centrale
L’operational plan di Triton – che dice che «le unità partecipanti sono autorizzate dall’Italia a sbarcare nel proprio territorio tutte le persone intercettate e arrestate nelle sue acque territoriali» e che «nessuna persona recuperata dentro e fuori l’area Search and rescue della missione potrà essere sbarcata in un Paese terzo» – è quello che ora dovrebbe essere ridiscusso. Altri Stati quindi si dovrebbero aggiungere al coordinamento della missione e concedere gli sbarchi nei propri porti. Sul ruolo di Malta, poi, il piano operativo recita che in caso di salvataggio nelle acque maltesi, «per assicurare la salvaguardia delle vite di persone in difficoltà, è possibile sbarcare a Malta». Un’eccezione – non la regola – che non si è mai verificata.
«È stato concordato», si legge nel comunicato di Frontex diffuso dopo la riunione di Varsavia, «che sarà istituito senza ritardi un gruppo di lavoro per individuare ed elaborare quello che deve essere rivisto nel piano operativo di Triton». Il gruppo «redigerà un nuovo piano operativo» e «in una fase successiva verranno consultati gli Stati membri partecipanti». Una volta redatta la bozza, poi dovrà essere approvata dai governi di chi vorrà partecipare. Questo sarà il passaggio dolente. La strada, insomma, è ancora lunga. Né si sa se nella riscrittura del nuovo piano sarà accolta la richiesta italiana di condividere gli sbarchi con gli altri porti europei.
Nessuna apertura nero su bianco rispetto alla richiesta italiana di «far sbarcare i migranti nei porti degli altri Stati membri» nel caso di «intesi flussi»
Frontex oggi fornisce alle autorità italiane per l’operazione Triton 400 unità tra ufficiali e staff di supporto, 12 navi, tre aerei e quattro elicotteri. Nel comunicato si dice che Frontex, la Guardia Costiera europea e alcuni Stati membri partecipanti «sono disposti a condividere le proprie competenze operative per sviluppare il nuovo codice di condotta per le Ong». L’Agenzia di Varsavia si dice disposta a un maggiore impegno nel «combattere la rete dei trafficanti di uomini», proponendo di ampliare l’uso del suo sistema aereo di sorveglianza (Multipurpose aerial surveillance, Mas), che trasmette in tempo reale video e altri dati dal Mediterraneo centrale direttamente al quartier generale di Varsavia.
Per ultimo, Frontex si impegna anche a dare una mano in più all’Italia, rinforzando la propria presenza negli hotspot, per velocizzare i rimpatri di chi non può chiedere asilo, cosa che fa già oggi soprattutto nella gestione dei contatti con le ambasciate dei Paesi di provenienza per recuperare i documenti dei migranti («perché senza documenti nessuno può essere rispedito indietro», spiega Moncure). Molti Stati membri hanno già espresso la disponibilità a partecipare alle operazioni di rimpatrio rapido. Ma per farlo, spiegano, «bisognerà aumentare la capacità nelle strutture di detenzione per i migranti per i quali è stato deciso il rimpatrio». Ancora una volta, si offre un maggiore supporto a distanza. L’apertura dei porti di Marsiglia o Barcellona resta ancora solo una proposta della delegazione italiana.