Quando leggere libri era una scusa per mangiare e ubriacarsi

I "book club" del ’700 riunivano appassionati di letteratura e libri. Ma dopo le letture comuni, si faceva sempre una bella cena collettiva. Perché la convivialità sarà meno raffinata ma è sempre più divertente

Sarà anche bello leggere libri, ma bere e mangiare è meglio. Questo era, stringi stringi, lo spirito dei club di appassionati di lettura del XVIII secolo. In un’epoca in cui circolavano molti meno volumi rispetto a oggi (e non si stava male) e ognuno costava un occhio della testa, ci si ritrovava in gruppo per leggere e/o recitare passi di nuove opere o classici. Subito dopo, però, seguiva cena – a quanto dicono le cronache, la parte preferita da tutti.

Insomma, come si scrive qui, i libri erano un pretesto. All’epoca le biblioteche erano problematiche: aperte a tutti i ceti, imponevano la convivenza forzata di diverse componenti della società. I book club erano molto meglio: ognuno metteva a disposizione degli altri la sua libreria. Una sorta di book-sharing esclusiva, fatta da persone di un certo livello, arricchita da eventi serali ogni mese: letture, recite e soprattutto, belle cene. Come scrive Paul Kaufman, esperto di bibliografia, era proprio questa la differenza. E i membri dei club dei lettori lo sapevano benissimo.

Non per niente le regole stesse dei book club erano rivolte, in modo principale, alla convivialità. Multe per chi fa uso di un linguaggio volgare, per esempio. O per chi “è ubriaco da essere offensivo per la comunità” (ma non dovevano leggere e recitare?). Per un’altra società di lettori, fondata nel 1742, le cene mensili “dovevano cadere al martedì prima della luna piena”. Ma non solo: se un membro non c’era, doveva pagare uno scellino. Se lasciava entrare un cane, doveva portare una bottiglia di vino per punizione.

L’equazione amanti dei libri = ghiottoni ubriaconi era così evidente all’epoca da diventare oggetto di satira. Una di queste la scrisse Charles Shillito nel 1788: i membri “gustano le delizie della letteratura – e del vino”. Dove ogni incontro, dedicato in realtà ai pettegolezzi e al cibo, “non lascia tempo per pensare, o per leggere”. Si fa “di tutto: si beve e si fuma”. E poi, dopo “aver mostrato il proprio reale amore per i libri”, ebbri di bellezza, “ci si separa”.

Era una bella epoca, dopotutto. Anziché goffe sedute di analisi letteraria, si andava diritti al sodo. Niente trame o sottotrame: si mangiava e ci si godeva la vita. C’è da pensare che anche gli scrittori, sotto sotto, fossero contenti di creare, almeno in maniera indiretta, così tanta felicità.

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