Viva la FifaRicchi, stronzi, ignoranti: l’invidia sociale contro i calciatori ci sta uccidendo

Quello di Donnarumma è solo l'ultimo caso di una serie di situazioni in cui i giocatori rappresentano per noi il male assoluto. Preferiamo dare la colpa a loro delle nostre insoddisfazioni, anziché pensare a migliorarci. Una storia vecchia come il mondo, che però sta peggiorando

«Signori, ricordatevi che i poliziotti guadagnano due milioni al mese e rischiano la vita». Lo diceva Pasquale Squitieri nella puntata di un programma tv di molti anni fa ormai passata alla storia (si parlava infatti di milioni di lire). Quante volte lo abbiamo pensato, detto, o scritto sui social anche noi. Già, spesso e volentieri amiamo inorridire di fronte ai grandi compensi di chi fa una vita dorata e non dovrebbe meritare quelle ricchezze, mentre i veri eroi sono quelli che si alzano dal letto ogni mattina per 500 euro al mese. E ci sono momenti nei quali queste ondate di indignazione sociale e social aumentano a dismisura: quando si parla cioè dei calciatori. Ricchi e quindi stronzi, spesso ignoranti, di sicuro strapagati per scendere in campo in maglietta calzettoni e correre dietro a un pallone. Una situazione deprecabile e ritenuta inaccettabile in un Paese che sta vedendo ogni anno la forbice sociale aumentare sempre più e dove nessuno viene risparmiato: solo nel 2016 sono stati 115mila gli italiani a fare le valigie. Studenti, neolaureati e ora pure stimati professionisti over 40 che qui non riescono più a rifarsi una vita.

Non parliamo di rabbia sociale: quella si sfoga a pugni, bastonate, cori razzisti negli stadi. Qui parliamo di invidia sociale, quella che a una qualsiasi ora del giorno ti fa prudere le mani e impugnare la tastiera per dirgliene quattro a quel Gigio Donnarumma lì che anziché andare a fare la maturità, ha preso l’aereo privato per andarsene a Ibiza e quando torna a Milano ha pure un bel contratto da 6 milioni di euro netti all’anno da firmare. Eh no caro Gigio, se un egoista che pensa solo ai soldi, un italiano medio che vede la scuola solo come fine per il raggiungimento di un fine come il posto di lavoro (mica servono a questo gli allenamenti a Milanello), un ignorantone che non si è degnato di aprire mezzo libro: parerai senza sapere il congiuntivo del verbo cuocere, vergognati. Il problema è che si guardiamo in giro, in pochi ci aiutano, anzi: sembra che il web sia disseminato di inviti continui all’invidia sociale nei confronti dei calciatori. Articoli, editoriali, persino l’intervento accorato del Ministro dell’Istruzione: tutti a spiegare a Donnarumma che quel pezzo di carta va preso, ma nessuno che si sia minimamente informato sul fatto che il buon Gigio il diploma lo avrebbe preso con un anno di anticipo, presso un istituto paritario. Ma quest’ultimo aspetto, in fondo, non importa: il pubblico vuole la testa dell’ignorante servita su un piatto d’argento, mentre intimamente immaginiamo di andare indietro nel tempo e prendere a mazzette di dollari in faccia il presidente di commissione della nostra maturità, prima di salire sul jet privato ricolmo di cibo e alcool direttamente collocato nel piazzale del nostro liceo, pronto al decollo verso Ibiza.

«Non è vero che l’uomo non sopporta la ricchezza», diceva Maurizio Mosca all’inizio dello spezzone di puntata di cui sopra. Se è la nostra ci sta benissimo. Il problema è la ricchezza altrui. Lo hanno dimostrato tempo fa due professori delle Università di Warwick e East Anglia, entrambe in Gran Bretagna. Andrew Oswald e Daniel Zizzo hanno studiato un campione di persone invitate a giocare ad un programma al computer che faceva ottenere loro casualmente somme di denaro e altri bonus. Il gioco proseguiva dando loro la possibilità di eliminare alcune vincite altrui, ma sacrificando parte delle proprie: ebbene, il 62% dei partecipanti a bruciato fino a 25 centesimi per ogni euro da erodere agli altri. Il risultato della ricerca ha quindi evidenziato che siamo disposti a tutto pur di vedere tolti guadagni considerati ingiusti. La ricerca ha inoltre evidenziato che dopo i “più ricchi”, per rappresaglia sono stati colpiti anche altri che avevano ottenuto meno. Alla fine, insomma, è come sparare alla cieca, come sopraffatti dall’invidia. Nel canto XIII del Purgatorio, Dante “puniva” gli invidiosi chiudendo loro gli occhi con del filo spinato. Meglio non vedere che bella vita fanno gli altri, a cominciare ovviamente da chi sta meglio. E se c’è di mezzo una eliminazione dagli Europei di calcio, tanto meglio. Il giorno dopo la sconfitta ai rigori della nostra nazionale contro la Germania a Euro 2016, sbucò su Facebook una foto di un sorridente Graziano Pellè in barca con la sua bellissima e biondissima compagna. Apriti cielo: se sbagli (malissimo, certo) un rigore, devi stare a casa a fustigarti per la vergogna ed espiare così le tue colpe. Certo, la foto in realtà era di un anno prima ed era stata confezionata a regola d’arte, ma l’invidia sociale aveva così trovato il giusto sfogo. Se ricordate, accadde lo stesso a Mario Balotelli, dopo il Mondiale 2014: se usciamo al primo turno non puoi andare a comandare con il macchinone, anche a te spetta un’autoflagellazione.

E nel caso di Mario doveva essere doppia, perché c’è pure l’aggravante della pelle nera: un calciatore di origini africane che prende la cittadinanza italiana e fa i big money con il pallone, sottraendo a loro dire il pane a decine di coetanei italiani costretti a sudarsi l’estate anche solo per un motorino. Anzi, facciamo tripla punizione: Balotelli era stato nominato in fretta e furia addirittura simbolo dell’anti-Camorra, sebbene lui non lo avesse richiesto. Il punto sta anche in questo: i calciatori vengono presi a esempio per il loro ruolo sovraesposto e non possono sbagliare mai. Non importa se non c’è nessuna cerimonia di investitura ufficiale e nemmeno se i giocatori ci tengano o meno: sono simboli e basta e devono spiegarci come vanno le cose con i loro comportamenti. Sono ricchi e famosi, la loro condizione sociale impone loro di essere sempre e comunque migliori di noi poracci che guadagniamo 1000 euro al mese, quando va bene.

La nostra invidia sociale colpisce tutti i calciatori, di qualsiasi censo. Perché agli occhi di tutti si è ricchi e basta: il calcio da questo punto di vista è un grande livellatore. E allora, dagli ad Antonio Cassano, che dopo mesi di stipendio arretrato chiese chiarimenti e finì relegato in panchina e subissato di «Ingrato»: se hai giocato tanti anni avrai messo qualcosa parte, puoi stare senza paga per un po’, cosa te ne frega, tanto sei ricco, il ragionamento è semplice.

Ma la nostra invidia sociale colpisce tutti i calciatori, di qualsiasi censo. Perché agli occhi di tutti si è ricchi e basta: il calcio da questo punto di vista è un grande livellatore. E allora, dagli ad Antonio Cassano, che dopo mesi di stipendio arretrato chiese chiarimenti e finì relegato in panchina e subissato di «Ingrato»: se hai giocato tanti anni avrai messo qualcosa parte, puoi stare senza paga per un po’, cosa te ne frega, tanto sei ricco, il ragionamento è semplice. Sarebbe invece molto più semplice pensare che quello del calciatore è un lavoro, con dinamiche molto simili a quelle di ogni altro mestiere. I calciatori hanno un contratto collettivo, programmano la propria vita in funzione del mestiere che fanno e se non lo fanno bene rischiano di lasciare l’azienda per un’altra magari di livello inferiore. Quando l’Italia venne eliminata agli Europei del 2004 al primo turno, i calciatori venero accolti ad insulti in aeroporto. Finì a spintoni, con qualcuno che si avvicinò troppo per urlare «Andate a lavorare!» e un azzurro che rispose di scatto «Vacci tu, a lavorare». Già: l’invidia sociale è quella che ti fa andare in un aeroporto fuori città a dire a un calciatore di trovarsi un mestiere, anziché farlo tu stesso. Mentre potremmo invece scegliere di impiegare quel tempo per migliorare la nostra vita. Dovrebbe servire a questo l’invidia.

«L’invidia e la gelosia, se volte in positivo, diventano il propellente indispensabile alla crescita e allo sviluppo. Stimolano la concorrenza nel mercato privato; spingono a comportamenti più virtuosi, apprezzabili e spendibili sul piano del ruolo e dell’immagine, nel pubblico. Di fatto, nel nostro Paese ciò non accade. Invidia e gelosia si traducono in rancore e denigrazione. Odiamo e denigriamo il nostro vicino più bravo e, invece di impegnarci per raggiungere risultati migliori e superarlo in creatività, efficienza e capacità, spendiamo le nostre migliori energie per combatterlo, per mortificarne i successi, per ostacolarne o addirittura bloccarne il cammino», spiega il Rapporto Eurispes 2016. Che parla di “Sindrome del Palio di Siena”, cioè del fatto che cerchiamo di non far vincere l’avversario anziché pensare al nostro, di successo. E laddove non riusciamo è senza dubbio colpa di chi ce l’ha fatta ed è per questo ricco, ignorante, stronzo. Un calciatore, insomma.

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