ChiodiSempre più bassi stipendi e pensioni. Così le donne sono discriminate sul lavoro

Nonostante siano stati fatti alcuni passi in avanti durante gli ultimi anni, in Italia il gap di genere è ancora troppo ampio. Investire sull'occupazione femminile rappresenta un'occasione per la crescita e un serio tentativo di creare una società più equa

Penalizzate sul lavoro, ostacolate dai pregiudizi e discriminate anche nella previdenza sociale. Nonostante i positivi passi in avanti degli ultimi anni, le donne in Italia si trovano ancora a dover colmare un immenso gap pensionistico e retributivo rispetto agli uomini.

Come riportato nell’indagine conoscitiva sulla disparità nei trattamenti pensionistici elaborato dalla commissione lavoro della Camera e presentata giovedì scorso, in Italia la percentuale di uomini coperti dal sistema previdenziale è pressoché completa, pari al 99,3%. Di contro, solo l’83,9% delle donne gode di tale copertura.

Una differenza pari a 15,4 punti percentuali, più del doppio rispetto alla media europea che si attesta intorno al 7%. Non solo: quando dopo tante tribolazioni una donna si vede accreditata la pensione che le spetta ha un’altra sorpresa. Mentre un uomo guadagna mediamente 1.654 euro, una donna ne riceve 1.064, cioè 600 euro in meno, un’enormità. Esiste dunque una differenza di genere sostanziale anche per quanto riguarda le prestazioni pensionistiche.

Va dato atto comunque al parlamento, attraverso il lavoro della commissione Lavoro della Camera presieduta da Cesare Damiano, di aver intrapreso un percorso conoscitivo per indagare sull’impatto in termini di genere della normativa previdenziale. Così, dati alla mano, abbiamo anche avuto la (triste) conferma che uno dei motivi principali di questo divario riguarda la condizione svantaggiata delle donne nel mercato del lavoro. In altre parole, si lavora e si guadagna poco, ricevendo di conseguenza pensioni molto più basse.

Le più svantaggiate nel panorama lavorativo sarebbero le donne con figli: in media, un anno dopo aver fatto un figlio, le donne che mantengono il posto perdono il 10% della busta paga. Dopo due anni, le neomamme guadagnano circa il 35% in meno. Tutto ciò induce una donna su quattro a lasciare il lavoro nei 24 mesi successivi alla nascita di un figlio (dati Istat).

Il bonus bebè, introdotto nel 2015, e il bonus mamma, istituito lo scorso maggio dal governo Gentiloni e per il quale sono arrivate già oltre 200mila domande (come evidenzia la sottosegretaria Maria Elena Boschi), sono misure che possono permettere alle madri di tornare a lavorare prima e quindi di contenere la decurtazione della busta paga.

Resta il fatto, però, che in Italia lavora meno di una donna su due (47,2%). Un dato decisamente troppo basso.

Occorre invertire il trend, rilanciare l’occupazione femminile come volano della crescita. Bisogna impegnarsi attraverso misure di welfare, intervenendo sul mondo del lavoro e sul sistema previdenziale, per superare queste inaccettabili discriminazioni e realizzare una società più equa e inclusiva per le nostre figlie e i nostri figli.

*Direttrice I Woman

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