Tra i tanti “turismi“ da promuovere nel nostro Paese, quello culturale è certamente fra quelli con le maggiori le opportunità di espansione.
L’ascesa esponenziale delle classi medie nelle economie emergenti porta con sé una domanda enorme di nuovi consumi culturali che un Paese come il nostro, per la straordinaria ricchezza del suo patrimonio storico e culturale, non può non essere in grado di intercettare.
Se esistono spazi di crescita per il nostro Paese credo possano esprimersi attraverso un modello di sviluppo trainato dalle esportazioni più simile a quello tedesco: nel nostro Paese infatti le esportazioni pesano circa il 30% del Pil, mentre in Germania raggiungono il 50%. Se fossimo in grado di colmare questo gap e di sfruttare il contributo del turismo e in particolare del nostro turismo culturale, buona parte dei nostri problemi di crescita sarebbero risolti.
Queste opportunità dovrebbero creare coesione attorno a un piano industriale in grado di rafforzare la nostra competitività: l’esperienza di questi mesi dimostra come l’Italia abbia bisogno di progetti-Paese condivisi e di grande portata, come avvenuto col il Piano Industria 4.0. Anche sul fronte del turismo dovremmo trovare la forza e la capacità di lavorare attorno ad piano strategico fatto di azioni concrete e mirate per migliorare il nostro turismo culturale.
Tuttavia la materia rimane assai divisiva, spesso oggetto di un paralizzante e noiosissimo dibattito fra i fautori della valorizzazione e quelli della tutela, con i primi tacciati di essere propugnatori della mercificazione della cultura, e i secondi di essere portatori di un approccio ingenuo e improduttivo.
Da queste sabbie mobili occorre uscire con azioni concrete e un po’ di sano buon senso, riconoscendo che valorizzazione e tutela non rappresentano due elementi in contraddizione bensì due aspetti complementari della stessa questione: o sono insieme o non sono
Da queste sabbie mobili occorre uscire con azioni concrete e un po’ di sano buon senso, riconoscendo che valorizzazione e tutela non rappresentano due elementi in contraddizione bensì due aspetti complementari della stessa questione: o sono insieme o non sono.
Tradotto nel concreto, questo significa, in primo luogo, rifuggire dalla logica del “si potrebbe vivere solo di turismo”. Il nostro patrimonio culturale rappresenta sì una risorsa strategica, ma non è l’unica: non dimentichiamoci che l’Italia è il secondo Paese manifatturiero d’Europa e non a caso il Piano Industria 4.0 ha l’obiettivo di tutelare e valorizzare il nostro “patrimonio industriale e know how produttivo” come fonte irrinunciabile di creazione di ricchezza, occupazione e coesione sociale.
Ma significa anche, al polo opposto, rifiutare gli allarmismi di coloro che ritengono che la nostra cultura possa essere trasformata in oggetto di mero consumo turistico. Il rischio ci pare molto più concreto se alla globalizzazione assisteremo da spettatori passivi, senza dotarci di una risposta strategica, di un serio piano industriale anche nell’ambito della cultura e del turismo senza il quale saremo destinati a subire un turismo male organizzato, di scarsa qualità, predatorio e consumistico.
La digitalizzazione rappresenta per l’Italia uno degli ambiti su cui promuovere un nuovo approccio di politica industriale anche al servizio della valorizzazione e tutela del nostro patrimonio culturale.
Una strategia nazionale sulla digitalizzazione del patrimonio culturale avrebbe il pregio, tra gli altri, di convogliare entrambi gli elementi – valorizzazione e tutela – favorendo un rinnovamento delle modalità di promozione, fruizione e conservazione dei beni culturali (e paesaggistici), nonché di gestione dei flussi e dell’offerta di servizi turistici. Ecco alcuni esempi concreti.
Digitalizzare il patrimonio significa innanzitutto portarlo online, rafforzando la capacità di intercettare una domanda di cultura, come si è detto, sempre più vasta e diffusa a livello mondiale
Digitalizzare il patrimonio significa innanzitutto portarlo online, rafforzando la capacità di intercettare una domanda di cultura, come si è detto, sempre più vasta e diffusa a livello mondiale. Secondo uno studio dell’Istat in Italia si contano oltre 33 siti d’interesse ogni 100 km2: quanti di questi a oggi compaiono nei radar del turismo internazionale?
Creare veri e propri “digital twins” dei nostri siti archeologici e dei nostri monumenti storici contribuirebbe al tempo stesso alla loro tutela, al loro monitoraggio e alla loro salvaguardia, anche attraverso le tecnologie Internet of Things applicate a monumenti, opere e beni artistici. Per non parlare della digitalizzazione del nostro patrimonio di biblioteche e archivi, che consentirebbe in una sola mossa di migliorarne la conservazione e promuoverne la fruizione.
Lo sfruttamento dei big data sulle prenotazioni dei voli e dei pernottamenti consentirebbe poi una programmazione coordinata e una gestione più sostenibile e intelligente dei flussi turistici, non più polarizzata intorno alle città d’arte, meno stagionalizzata e più distribuita verso i tanti luoghi di interesse di cui è costellato il nostro Paese.
Piattaforme digitali e realtà aumentata possono rappresentare le prime alleate per un turismo culturale più moderno, più visibile e quindi più accessibile. La loro diffusione aiuterebbe a esportare con maggiore facilità la nostra cultura nel mondo, facendone un volano di molti prodotti Made in Italy, senza per questo ridurre l’interesse a una fruizione diretta ed esperienziale. Alimentare la conoscenza e l’interesse per il nostro Paese, aprendo a nuove forme di fruizione, valorizzazione e persino spettacolarizzazione dei nostri beni culturali, è il primo passo per una promozione più efficace del nostro sistema turistico: il connubio fra cinema, beni culturali e imprenditorialità creativa offre infinite possibilità.
Com’è evidente, tutto questo per essere attivato presuppone l’inoculazione di dosi massicce di cultura digitale in chi amministra il nostro patrimonio culturale e una maggiore apertura alle sollecitazioni progettuali dell’imprenditorialità culturale, innovativa e creativa.
Va però messo in conto che ogni processo di trasformazione digitale incontra resistenze fortissime: l’introduzione del digitale infatti implica maggiore trasparenza, riduce le asimmetrie informative attivando maggiore meritocrazia e concorrenza; abbatte sprechi e inefficienze in cui spesso si annidano rendite di posizione e interessi economici protetti. La trasformazione digitale implica uno “shift of power”, un cambiamento anche profondo degli assetti del potere costituito, anche nell’idealizzato mondo della cultura. Occorre esserne consapevoli. Non è un caso se l’agenda digitale nel nostro Paese faccia fatica a diventare terreno di progettualità politica e di policy-making come dimostrano progetti fermi al palo da anni come l’Anagrafe unica o il fascicolo sanitario elettronico.
In un Paese come l’Italia dotato di un profilo di specializzazione produttiva molto articolato, la digitalizzazione d’altra parte offre opportunità di crescita rilevantissime non solo nell’industria, nell’agricoltura, nella distribuzione, nella logistica, nelle costruzioni, nei servizi pubblici, ma anche nel turismo culturale.
Compito di una politica concentrata nel costruire sentieri di crescita è creare le condizioni affinché il rinnovamento del settore turistico italiano abbia finalmente luogo. Tutto il resto è noia.
*Direttore Generale per la politica industriale, la competitività e le PMI al Ministero dello Sviluppo economico