Vade retro, mamma: ecco il nuovo tabù della sinistra che si attacca alle parole

Le femministe che si ribellano al “dipartimento mamme” di Matteo Renzi fanno il paio con chi parla di “genitore 1 e 2”. Ma forse, più che sulla semantica, servirebbe occuparsi dei problemi delle donne con figli

JOHANNA LEGUERRE / AFP

Nel ridisegnare la struttura interna del partito, il segretario del Pd Matteo Renzi ha creato 40 dipartimenti, uno dei quali ha suscitato immediate polemiche, anche tra le file democratiche, per la denominazione “Mamme”. Ha ancora senso usare questo termine per fare riferimento alle politiche sulla maternità?

La parola mamma è una delle più evocative nella sua estensione simbolica e riporta ad un universo valoriale unico per ciascuno. È importante non avere paura di usare una delle prime parole che si imparano da bambini per fare riferimento alla più che mai cogente necessità di affrontare il tema della maternità nel nostro Paese. Certo assistiamo a modelli culturali che tendono a sostituire il termine mamma e papà con genitore uno e genitore due, ma è difficile vedere una forma di progresso affermare i diritti di qualcuno mediante la cancellazione di quelli esistenti.

La parola mamma è una delle più evocative nella sua estensione simbolica e riporta ad un universo valoriale unico per ciascuno. È importante non avere paura di usare una delle prime parole che si imparano da bambini per fare riferimento alla più che mai cogente necessità di affrontare il tema della maternità nel nostro Paese

La scelta di istituire un dipartimento mamme, riapre il dibattito, anche in maniera provocatoria, sull’opportunità di orientare l’azione politica e delle istituzioni verso una società che dia valore alla scelta di procreare. Una scelta appunto, non un destino o una costrizione, una scelta che è libera solo se non porta con sé delle conseguenze per la madre. Oggi purtroppo le mamme italiane sono costrette a dover scegliere tra la maternità e la carriera, in un Paese dove il tasso di natalità continua drasticamente a diminuire. Basti ricordare che nell’ultimo anno, come indicano i dati Istat, in Italia sono nati 86 mila bambini in meno rispetto al 2016 (-1,4 per mille).

Le italiane non generano più figli (1,27 figli per donna contro 1,94 delle donne straniere) e si è alzata l’età delle mamme (l’età media al parto è di 31,7 anni), con tutte le difficoltà che una gravidanza in età matura comporta. In Italia, infatti, una mamma lavoratrice su quattro è costretta a lasciare il lavoro a meno di 24 mesi dal parto: le lavoratrici con figli dopo soli due anni dalla gravidanza percepiscono uno stipendio più basso del 35%.

Sia ben inteso: oggi la mamma, anche alla luce delle recenti innovazioni legislative e culturali non è più la sola depositaria del rapporto genitoriale, ma rimane una figura chiave nella costruzione della famiglia qualunque essa sia. Comunque sarà nella concreta verifica delle linee di azione che saranno perseguite da questo dipartimento che si potrà dare un giudizio compiuto su un’intuizione organizzativa che ha suscitato, già nei primi giorni, un’ampia discussione.

*avvocato esperta in diritto di famiglia e tutela dei minori, responsabile Osservatorio sulle famiglie Federconsumatori

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